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L’incubo di Adriana non è finito: ora è in un altro Cie

Non finisce l’incubo di Adriana, la trans brasiliana che dal 24 gennaio è rinchiusa in un centro di identificazione ed espulsione. Dopo otto giorni di sciopero della fame e grazie all’attenzione di alcune personalità politiche, le avevano detto che sarebbe uscita dal Cie per essere portata in un centro protetto prima di essere rilasciata grazie al rinnovo del permesso di soggiorno. Ma, tempo due giorni, le hanno spiegato che ciò non è più possibile a causa dei suoi precedenti penali.

Che la condizione di detenzione nei Centri di identificazione ed espulsione per gli stranieri, entrati senza regolari documenti nel nostro Paese, sia pesante e dura lo si sa. Poco si sa che a finirci dentro, non sono solo i migranti appena sbarcati e in attesa di essere identificati, ma anche stranieri presenti in Italia da tempo, magari da decine di anni o da quando erano bambini. Si tratta quindi di persone perfettamente integrate che, avendo perso il lavoro – come capita anche a molti italiani soprattutto in un periodo di crisi come quello attuale -, si vedono negato il rinnovo del permesso di soggiorno e diventano, per l’attuale legge italiana, dei clandestini da rimpatriare.

Adriana rientra in quest’ultimo caso, con l’aggiunta che si tratta di una transessuale e i Cie, quindi, risultano un ambiente ostile per chi ha un orientamento sessuale diverso. Adriana era arrivata in Italia ben 17 anni fa per lavoro, ma dopo anni passati a fare la cameriera con un contratto regolare ha perso la sua occupazione e di conseguenza anche il permesso di soggiorno, diventando così una irregolare. Per questo quando è stata fermata senza documenti dagli agenti di polizia è stata identificata e poi trasportata in uno dei principali Cie italiani, quello di Brindisi. Qui però per lei è iniziato un incubo, Adriana infatti è una trans brasiliana di 34 anni ma senza documenti a comprovare la sua identità sessuale e per questo è finita rinchiusa nel reparto maschile del Cie di Brindisi tra centinaia di uomini. In condizione, quindi, di costante rischio di abusi e violenze, mentre le terapie ormonali che pure le sono necessarie sono state sospese. Una condizione che l’aveva spinta a entrare in sciopero della fame, in attesa del promesso trasferimento in un Cie femminile e, soprattutto, della pronuncia della commissione provinciale competente in merito a una richiesta di pro- tezione per motivi umanitari.

Il Brasile infatti è uno dei Paesi con il più alto numero di vittime di transfobia. «La sua famiglia non sa che è trans e se tornasse nel suo Paese correrebbe enormi rischi – spiega Cathy La Torre che sta seguendo il caso sul piano legale per il Movimento Identità Transessuale ( Mit) –, mentre qui in Italia è da 17 anni e non costituisce di certo un pericolo sociale». Inoltre si aggiunge il problema che in Italia non esistono centri destinati alla detenzione o all’accoglienza di persone trans. Un problema importante per le persone trans che non appartengono al sesso riportato sui documenti e che mettono in grosse difficoltà imbarazzo anche le strutture che non sono adeguate ad accoglierle. Il 20 marzo, la questione di Adriana è stata sollevata in Parlamento con una interrogazione rivolta al ministro degli Interni Minniti, presentata dal deputato Erasmo Palazzotto di Sinistra Italiana. Si chiede se il Viminale sia a conoscenza delle condizioni di detenzione di questa persona trans nel Cie di Brindisi, se conosce i rischi per la sua incolumità, se si sia già attivato per il suo trasferimento in una struttura più adeguata. Nell’interrogazione si chiede inoltre l’attivazione di un protocollo sulla gestione, trattenimento e accoglienza delle persone trans, con attenzione sia agli spazi sia alle garanzie sulla continuità delle terapie ormonali e farmacologiche adeguate. Sempre secondo Cathy La Torre, l’esponente del Mit e della segreteria nazionale di Sinistra Italiana che ha sollevato pubblicamente il caso di Adriana, «questo episodio così grave e lampante deve aprire sul piano politico tutta la partita delle persone trans detenute nelle carceri o nei Cie o accolte nei Cara».

Sembrava che tutto si stesse svolgendo per il meglio. Venerdì scorso, infatti, era arrivata la notizia della sua liberazione: un permesso di soggiorno di sei mesi, in attesa della decisione della Commissione sulla sua richiesta di asilo. Poi però è arrivato il dietrofront come un fulmine a ciel sereno: nella giornata di domenica, Adriana è stata trasferita dal Cie di Brindisi a quello di Caltanissetta. A raccontarlo all’Ansa è stata lei stessa: «Ho pianto per un’ora! I miei cari mi aspettavano a casa qui in Italia: poi – aggiunge- sono stati molto gentili gli operatori e mi hanno fatto fare una telefonata per avvisare». I giudici del tribunale di Napoli avrebbero annullato il decreto di espulsione ma, a causa dei suoi precedenti penali, hanno stabilito che Adriana deve essere ancora trattenuta in un Cie in attesa che la Commissione ministeriale territoriale valuti se ci sono i presupposti per concederle asilo politico. La speranza di Adriana è quella di ottenere al più presto una protezione umanitaria, lei proviene da una zona pericolosa del Brasile dove ogni anno vengono uccisi 200 trans. Ora Adriana riferisce di trovarsi da sola, in un container del Cie di Caltanissetta, dove la polizia e tutto lo staff stanno facendo il possibile per farla stare bene. I suoi legali e l’associazione Mit confidano nell’interessamento del Dap e del ministero della Giustizia affinché Adriana trascorra almeno decentemente la sua permanenza nel Cie.

Da ildubbio.news