Quello di Ponte Galeria, a Roma, è il Centro di Permanenza per i Rimpatri (Cpr) più grande e più longevo d’Italia. Esiste dal 1998, quando questi centri furono istituiti dalla legge Turco- Napolitano.
di Damiano Aliprandi da il dubbio
Più volte è stato al centro delle cronache, dalle rivolte fino ai suicidi. Alcuni davvero drammatici. Basti pensare a Ousmane Sylla, un ragazzo della Guinea di 22 anni che non poteva essere espulso perché mancano gli accordi fra l’Italia e il suo paese. Sul muro della cella aveva scritto: “Mi manca mia madre, voglio tornare in Africa” e poi si era impiccato la notte del 3 febbraio. Ed è terribile. Ai fini del rimpatrio (questa è la ratio dei Cpr), è risultato quindi del tutto inutile il trattenimento di questo ragazzo, così come di altri.
L’appello degli accademici per la chiusura – Da anni diverse organizzazioni che si occupano dei diritti umani chiedono la sua chiusura. A loro, una settimana fa, per la prima volta, si è aggiunto un nutrito gruppo di accademici romani lanciando un’iniziativa mai avvenuta nella Capitale. L’azione, che vede in prima linea figure di spicco del mondo universitario, vuole sollecitare l’intervento diretto del sindaco di Roma. L’istanza che mira all’immediata chiusura del centro, firmata da oltre trenta professori di diritto e medicina, tra cui l’ex Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, il professor Mauro Palma, sottolinea come la presenza del Cpr sia “gravemente lesiva dell’identità e dell’immagine della Città di Roma”.
I firmatari denunciano le condizioni precarie della struttura, l’alto livello di degrado e le tragiche morti che vi sono avvenute. Secondo gli accademici, tutto ciò minerebbe profondamente i valori su cui Roma si fonda, come sancito dallo Statuto della città. “L’esistenza del Centro e la sua funzione privativa della libertà senza alcuna prospettiva positiva è incompatibile con i principi di accoglienza, solidarietà e di tutela dei diritti umani di cui la città è portatrice”, si legge nell’istanza. La richiesta al Sindaco è chiara: chiedere al ministero dell’Interno la chiusura immediata del Cpr e prevedere forme risarcitorie per la comunità territoriale, considerando il danno arrecato all’immagine e all’identità cittadina. L’iniziativa non si ferma qui. Gli accademici si dicono pronti a depositare un’azione popolare in Tribunale in caso di inerzia da parte dell’amministrazione comunale. Un precedente simile si è già verificato con successo a Bari, aprendo la strada a questa nuova sfida nella capitale.
Tra i sottoscrittori figurano nomi illustri come Luigi Ferrajoli, Marco Ruotolo, Flavia Lattanzi e molti altri, rappresentanti di diverse discipline accademiche, ma uniti nell’obiettivo di porre fine a quella che considerano una situazione insostenibile. L’azione del mondo accademico romano potrebbe segnare un punto di svolta nel dibattito sui centri per il rimpatrio, ponendo l’accento non solo sulle condizioni di vita all’interno di queste strutture, ma anche sull’impatto che esse hanno sull’identità e sui valori delle comunità che le ospitano. Resta ora da vedere se il sindaco di Roma recepisca questa pressante richiesta, in un momento in cui il tema dell’immigrazione e della gestione dei centri per il rimpatrio si inserisce in un contesto più ampio di criticità evidenziate da una recente ricerca di Amnesty International, sollevando serie preoccupazioni sui diritti umani e sulla dignità delle persone trattenute.
L’indagine e le denunce di Amnesty International – L’organizzazione, dopo aver visitato due centri di permanenza per i rimpatri, tra i quali proprio quello di Ponte Galeria, ha pubblicato un’indagine intitolata “Libertà e dignità: osservazioni sulla detenzione amministrativa delle persone migranti e richiedenti asilo in Italia”. Il quadro che emerge è a dir poco preoccupante. Secondo Serena Chiodo dell’Ufficio campagne di Amnesty International Italia, “la detenzione amministrativa dovrebbe essere una misura eccezionale e di ultima istanza”. Invece, l’organizzazione ha riscontrato un uso “eccessivo e sistematico” di questa pratica, che priva le persone migranti e richiedenti asilo dei loro diritti fondamentali. Particolarmente allarmante è la presenza nei centri di individui in situazioni di estrema vulnerabilità: persone con gravi problemi di salute, richiedenti asilo in fuga da persecuzioni legate al loro orientamento sessuale o al loro attivismo politico, e persone con responsabilità familiari. “Questi inutili ordini di detenzione gettano nel caos le loro vite, la loro salute e le loro famiglie”, denuncia Chiodo.
Amnesty: “Violazioni del diritto internazionale” – Il rapporto critica aspramente le recenti misure adottate dal governo italiano nel 2023, che hanno esteso il periodo massimo di detenzione a 18 mesi e introdotto “procedure di frontiera” per i richiedenti asilo provenienti da cosiddetti “paesi sicuri”. Queste politiche, secondo Amnesty, violano il diritto internazionale che richiede una valutazione individuale per ogni caso. Le condizioni all’interno dei centri visitati – Ponte Galeria a Roma e Pian del Lago a Caltanissetta – sono state descritte come “estremamente restrittive, spogli e carenti dal punto di vista igienico- sanitario”. I detenuti non possono muoversi liberamente nemmeno all’interno delle strutture, i cellulari personali sono proibiti e le condizioni abitative sono al di sotto degli standard minimi accettabili. “Le persone sono costrette a trascorrere tutto il loro tempo in spazi recintati, in condizioni che per molti aspetti sono peggiori di quelle carcerarie”, afferma Chiodo, sottolineando come l’assenza di attività e la mancanza di informazioni sul futuro provochino “enormi danni psicologici” tra i trattenuti. “È urgentemente necessaria una svolta significativa”, conclude Chiodo, ricordando che la detenzione legata alla migrazione dovrebbe essere utilizzata solo in circostanze eccezionali e mai per coloro che cercano protezione internazionale.
La gestione privata poco virtuosa del Cpr di Ponte Galeria – Il Cpr di Ponte Galeria è una struttura, fuori dal centro abitato, realizzata in cemento e ferro. Le zone di trattenimento sono realizzate su moduli architettonici regolari con due o più stanze, con annessa area esterna comune. Tutti i moduli sono separati tra loro, dalle aree di passaggio e dall’area amministrativa da spesse cancellate in barre di ferro alte fino a otto metri.
Nella zona maschile alle barre di ferro sono stati aggiunti dei pannelli in spesso vetro per limitare ulteriormente eventuali tentativi di evasione o di sommossa. Si apprende direttamente dal sito del garante regionale Stefano Anastasìa che dal 1° febbraio 2022 si è insediato il nuovo ente gestore la Ors Italia parte della multinazionale Ors Group, con sede centrale in Svizzera, aggiudicataria dell’ultima gara d’appalto pubblicata nel giugno 2021 dalla Prefettura di Roma. Come le precedenti gare, l’appalto è stato aggiudicato in base al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Il gruppo Ors è attivo da più di 30 anni nei settori dell’accoglienza e della detenzione amministrativa dei migranti per conto di governi e autorità in tutta Europa e gestisce strutture di accoglienza e trattenimento in Svizzera, Germania, Austria, Italia e Spagna. Ma la gestione è virtuosa? Sempre dalla scheda del Garante regionale del Lazio, Stefano Anastasìa, apprendiamo che vi è una carenza di personale, anche sanitario, allarmante, peggiorata con l’ultimo capitolato d’appalto. E senza meraviglia, la scarsa qualità del cibo risulta pessima.
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