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L’invasione che non c’è. I numeri

I numeri non cambiano la testa delle persone, è difficile utilizzare argomenti razionali per riorientare un dibattito pubblico intriso di razzismo e xenofobia. Certo, in Italia negli ultimi decenni molte cose sono cambiate. Certo, negli ultimi cinque anni sulle coste italiane è sbarcato un numero consistente di persone. E certo, in alcune occasioni, anche grazie ad una persistente e prevalente gestione emergenziale dell’accoglienza, questi sbarchi hanno causato tensioni a livello locale. A cosa serve fare fact-check? A che servono i dati che proviamo a mettere in fila qui sotto (tutti ricavati da fonti ufficiali: Istat, Eurostat, Ministero degli Interni, Unhcr, Oim)? Ci aiutano a trovare argomenti per contrastare una campagna che, usando strumentalmente il disagio sociale e il disorientamento delle persone, utilizza informazioni false e fuorvianti per spiegare le proprie ragioni e giustificare politiche sbagliate. In Italia non c’è nessuna invasione, i taxi del mare non esistono e se l’accoglienza fosse meglio organizzata e più diffusa non ci sarebbe nessun business. Ci dicono è che da anni le frontiere italiane sono di fatto chiuse per quelli che in base a una classificazione ormai sempre più obsoleta, sono definiti migranti economici.  Qui sotto, insomma, proviamo a mettere in fila dei numeri, gli stessi che dovrebbero usare le istituzioni quando pensano a come rispondere a una crisi che non è cominciata ieri e non finirà – qualsiasi cosa ci raccontino – domani.

Stiamo davvero assistendo a un’invasione?

No, non c’è nessuna invasione in corso, i dati sul numero complessivo di cittadini residenti stranieri sono piuttosto chiari: negli ultimi anni la presenza straniera è rimasta stabile, se si eccettua un effettivo aumento nel biennio 2014-2015, quando la crisi libica, quella siriana e l’avanzata dell’Isis in Iraq creano le condizioni per un incremento straordinario degli arrivi in tutta l’Europa.

Nell’infografica che segue sono rappresentati i numeri relativi alla popolazione residente in Italia, ai cittadini stranieri residenti (tutte le persone di nazionalità straniera, compresi i quasi 40mila tedeschi e i 23 mila spagnoli), ai richiedenti asilo – dato relativo a un solo anno, perché poi a queste persone viene riconosciuta la protezione internazionale, oppure viene notificato loro un decreto di espulsione – e ai rifugiati (ovvero coloro che hanno ottenuto la protezione internazionale) presenti nel nostro Paese. Nel complesso i cittadini stranieri residenti nel nostro paese sono 5 milioni, quasi 1 milione di persone sono nate in Italia.

La grandissima parte dei residenti stranieri non è arrivata oggi, né l’anno scorso, ma è il risultato di 50 anni di migrazioni. I rifugiati e richiedenti asilo sono un numero molto piccolo: una grande manifestazione, una cittadina di media grandezza, il doppio degli italiani emigrati nel 2016.

 

 

E negli altri Paesi europei come va?

La crisi dei rifugiati degli scorsi anni ha avuto un impatto molto forte in diversi Paesi: alcuni hanno accolto e aperto le loro frontiere, altri le hanno chiuse. Il confronto sui dati del 2017 di alcuni tra questi è utile per mettere in una giusta prospettiva cosa è successo anche in Italia: qui ci sono meno rifugiati e meno richiedenti asilo che altrove. Persino la Francia, che certo non ha aperto le frontiere, ha riconosciuto il diritto di asilo a più persone. Di seguito il dato assoluto e quello relativo all’incidenza sulla popolazione totale, perché è diverso accogliere 100mila persone in un Paese da 60 milioni di abitanti e in uno da 10. Si badi, il dato Unhcr sul numero di rifugiati è calcolato sulla base delle domande approvate negli ultimi 10 anni.

 

Come si può notare, Germania, Austria, Francia e Grecia hanno concesso lo status di rifugiato a un numero più alto di persone per milione di abitanti che non l’Italia. Le ragioni sono diverse, una tra tutte: nei Paesi del Nord si è arrivati soprattutto seguendo la rotta balcanica, strada per la quale sono passati più rifugiati siriani, afghani, iracheni. Il dato assoluto rimane: in Italia non ci sono più rifugiati e richiedenti asilo che altrove. Anzi.

 

2018: diminuiscono i flussi, cambiano le rotte

I dati sugli sbarchi dell’Unhcr 2018 segnalano che gli arrivi via mare sono diminuiti e che la Spagna e la Grecia ricevono per ora un numero di persone simile a quello dell’Italia (in Grecia nel 2015 arrivarono 800mila persone). L’idea che i primi sei mesi del 2018 (o gli ultimi sei del 2017) rappresentino un’emergenza è quindi una fake news. Gli arrivi sono diminuiti enormemente dal luglio 2017 in poi a seguito degli accordi stipulati dallo scorso governo con le autorità libiche e, prima, dall’Unione Europea con il governo turco. Si tratta di accordi sbagliati per varie ragioni, ma laddove il Governo in carica mantiene la priorità di ridimensionare i flussi verso l’Europa, a prescindere dal rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale, deve smettere di allarmare l’opinione pubblica e dire che quegli accordi hanno già avuto un effetto sui flussi. Il governo italiano in carica usa invece dati degli anni passati per mantenere alto il tema in agenda. Il momento di relativa calma andrebbe invece usato per migliorare l’organizzazione dell’accoglienza e per negoziare soluzioni europee condivise in maniera pacata.

Quanto e perché diminuiscono gli sbarchi?

Le ragioni per le quali il numero di persone che sbarcano sulle coste italiane ha avuto un balzo a partire dal 2014 ed è poi diminuito nella seconda metà del 2017 sono molteplici. Il primo elemento riguarda la fine della guerra civile ad alta intensità in Libia (2013) e il caos successivo, che ha determinato l’apertura della rotta senza più controlli del regime di Gheddafi – che aveva stipulato un accordo con l’Italia. Il calo del 2017 e il crollo dei primi 6 mesi del 2018 si spiega poi con gli accordi con Paesi terzi, il lavoro dell’OIM nei Paesi di provenienza, il famigerato accordo con la Libia e quelli con le tribù del sud del Paese dove si usano spesso metodi disumani nei confronti dei migranti. Ci sono meno navi attive nel Mediterraneo centrale e la campagna di vera e propria criminalizzazione delle Ong che prestano soccorso in mare ha reso molto più difficile il loro lavoro. Il dato del 2018 è comunque parziale e relativo: la maggior parte degli sbarchi avvengono sempre nel periodo maggio-settembre. Certo è che una diminuzione dei flussi c’è stata.

Ricollocazione dei richiedenti asilo e riforma della convenzione di Dublino: l’Europa non solidale

 

Nel settembre 2015, al culmine della crisi umanitaria siriana, l’Ue adottò un sistema di ricollocazione delle persone che arrivavano in Grecia e in Italia. In teoria si trattava di condividere lo sforzo fatto dai due Paesi che in quella fase erano sotto una pressione migratoria straordinaria . Quell’accordo, definitivamente adottato con l’Agenda europea sulla migrazione nel settembre 2015, si è concluso nel settembre 2017 ed è stato riavviato in forma ridimensionata nel 2018. I numeri parlano di un rispetto quasi nullo degli accordi, con alcuni Paesi che adempiono in parte ai propri impegni e altri (Ungheria, Danimarca, Regno Unito, Polonia) che si rifiutano di accogliere anche un solo rifugiato.

Problema: l’Italia ha dichiarato di trovarsi politicamente d’accordo con quei Paesi che dicono no all’immigrazione per ragioni ideologiche (Ungheria e Polonia, ad esempio); nello stesso tempo a Bruxelles chiede un sistema di ricollocazione davvero condiviso e una profonda riforma del Regolamento di Dublino. Qual’è la vera posizione del governo italiano?

Finti rifugiati, veri migranti economici? Mica tanto

 

Uno degli argomenti preferiti di chi sostiene che non sia necessario accogliere le persone che arrivano dal mare recita: “Non sono veri rifugiati, sono immigrati che mentono per poter entrare nel nostro Paese”. È davvero così? I numeri dicono che una percentuale che oscilla tra il 40 e il 50% delle persone che fanno domanda ottiene una qualche forma di protezione legale da parte della autorità italiane. E siccome l’onere della prova (il dover dimostrare di essere in fuga da una guerra, una persecuzione personale, una discriminazione) è a carico di chi chiede il riconoscimento dello status di rifugiato, questo significa che un numero consistente di persone non è affatto un migrante economico.

Il dato sui dinieghi in prima istanza (prima cioè del ricorso) non si discosta di troppo dalla media europea segnalata dall’European Asylum Support Office (come abbiamo segnalato qui) in ogni caso, coloro che usano canali irregolari per entrare e cercare lavoro hanno una ragione: a causa della sostanziale chiusura dei flussi – il numero di ingressi per motivi di lavoro programmati ogni anno –  è quasi impossibile entrare regolarmente in Italia. L’esempio del 2017 è perfetto: il decreto stabilisce la possibilità di concedere 30.850 permessi di lavoro, 13.850 sono conversioni di permessi di persone già presenti in Italia, 20.000 sono permessi stagionali. Nessun nuovo ingresso per lavoro non stagionale, insomma. Il decreto flussi del 2008 prevedeva 150mila ingressi, sebbene per la maggior parte per motivi di lavoro domestico e assistenza e provenienti da Paesi che avevano siglato accordi con l’Italia in materia.

Alberghi di lusso? Il vizio di un’accoglienza emergenziale

I dati sull’accoglienza spiegano perfettamente perché l’allarme emergenza sia fuorviante: a fronte di un aumento della necessità di accoglienza dal 2015, il sistema ordinario di accoglienza SPRAR diffuso sul territorio (poche persone per comune) è rimasto sostanzialmente fermo, i centri di prima accoglienza straordinari allestiti in modo emergenziale accolgono invece 100mila persone in più. E’ la gestione emergenziale a favorire la cattiva accoglienza, a lasciare spazio a un improprio utilizzo delle risorse pubbliche, a determinare maltrattamenti e condizioni di vita non dignitose all’interno dei centri. L’emergenza non è stata creata dai migranti in arrivo, ma dal rifiuto di molti amministratori locali ad aderire allo Sprar e dal forte ritardo con cui l’Italia ha deciso di ampliare il sistema di accoglienza ricorrendo a interventi improvvisati e emergenziali.

Ancora a fine 2012 lo Sprar aveva una capienza di soli 3000 posti. A fine 2017 aveva una capienza di circa 24mila, ma il totale delle persone accolte era pari a 186mila: più di 151mila persone erano accolte in strutture straordinarie, spesso di grandi dimensioni. Proprio la cattiva accoglienza è stata al centro di più o meno spontanee proteste e manifestazioni di intolleranza a livello locale.

Fonte: Cronache di ordinario razzismo