L’Iran ha emesso la prima condanna a morte ai danni di un manifestante
In Iran, prima condanna a morte per le proteste dopo la morte di Mahsa Amini. Altri cinque detenuti sono stati condannati a una pena dai 5 ai 10 anni e altre 756 persone mandate a processo per i “disordini”Dall’inizio delle manifestazioni diventano così oltre 2mila le persone rinviate a giudizio.
di Gloria Ferrari
In Iran c’è stata la prima condanna a morte nei confronti di una persona che ha partecipato alle proteste degli ultimi due mesi per la morte di Mahsa Amini, la 22enne arrestata e uccisa nel carcere di Teheran per non aver indossato correttamente il velo. È quanto ha stabilito domenica 13 novembre un tribunale della capitale, che ha deciso di mandare a morte un individuo (non si sa bene se sia un uomo o una donna) incriminato per aver «dato fuoco a un edificio governativo», e colpevole inoltre di aver disturbato l’ordine pubblico e aver organizzato un «complotto finalizzato a commettere un crimine contro la sicurezza nazionale». La persona in questione è inoltre accusata di essersi comportata come «nemico di Dio» per via della corruzione che a causa sua si sarebbe ulteriormente diffusa sulla Terra. Secondo la legge iraniana, si tratta di uno dei reati più gravi per cui essere condannati.
Sull’identità del detenuto non si hanno notizie certe e il tribunale, nel suo comunicato, non fornisce ulteriori dettagli. C’è tuttavia una certa somiglianza tra questa condanna e la storia diffusa lo scorso ottobre da una donna sui social network, la madre di un 22enne che online aveva lanciato un appello per salvare il figlio, condannato proprio per gli stessi reati. Non è chiaro se si tratti della stessa persona, ma in quel caso la magistratura aveva negato di aver emesso una condanna simile.
Oltre a questa, un altro tribunale della capitale ha emesso una sentenza con l’accusa di «cospirazione per commettere crimini contro la sicurezza nazionale e disturbo dell’ordine pubblico» ai danni di altre cinque persone, che rischiano di passare in cella dai 5 ai 10 anni.
La magistratura ha inoltre fatto sapere che presto potrebbero essere condannate altre persone. Sono più di 750 le persone, residenti in tre province diverse, che domenica sono state incriminate con varie accuse, tipo «istigazione all’omicidio» e «propaganda contro il regime». Nello specifico 164 di loro subiranno un processo nella provincia meridionale di Hormozgan, 276 a Markazi e 316 nella provincia di Isfahan. Altre 2mila invece erano già state incriminate nelle settimane precedenti, mentre 100 giovani sono stati rimessi in libertà dopo aver promesso di non partecipare mai più a delle proteste.
In generale le OGN che sul campo si occupano di diritti civili raccontano di oltre 15mila arresti dall’inizio delle proteste, molti dei quali avvenuti per «danneggiamento alle forze di sicurezza» e «danneggiamento alla proprietà pubblica». Altre 326 persone avrebbero perso la vita. Si tratta ovviamente di numeri non verificabili.
Nonostante il pugno duro mostrato da Teheran fin dall’inizio delle manifestazioni, nelle strade del Paese non cessano le proteste. L’ultima protesta è avvenuta nella provincia sudorientale Sistan-Baluchistan, dove in centinaia hanno espresso forte dissenso contro la repressione portata avanti dalle autorità nel capoluogo Zahedan. Qui il 30 settembre avrebbero perso la vita più di 90 persone che manifestavano per lo stupro di una ragazza di quindici anni avvenuto – secondo gli abitanti del luogo – per mano di un poliziotto.
Le donne iraniane sono diventate in tutto il mondo un simbolo e un “mezzo” attraverso cui esprimere dissenso e lanciare segnali. In una dinamica dove anche i Paesi occidentali si stanno inserendo con comunicati e azioni che il governo iraniano considera tentativi di interferire con le vicende nazionali. L’ultimo è stato il presidente francese Emmanuel Macron, che venerdì scorso ha ospitato a Parigi quattro attiviste iraniane, elogiandole per il coraggio con cui stanno portando avanti le proteste. Un gesto che ha scatenato l’ira del Governo iraniano. L’Eliseo ha detto di aver accolto nel suo palazzo Masih Alinejad, attivista che spinge le donne iraniane a svincolarsi dall’obbligo di indossare il velo, Shima Babaei, attivista iraniana anche lei, che si batte per scoprire la verità sulla scomparsa del padre (di cui non si hanno notizie da quando ha tentato la fuga verso la Turchia), Ladan Boroumand, che ha fondato un’organizzazione per i diritti umani a Washington, e Roya Piraei, figlia di Minoo Majidi, una donna uccisa all’inizio delle proteste. Per Teheran si è trattato di un atto vergognoso e di una «violazione delle responsabilità internazionali della Francia nella lotta al terrorismo e alla violenza».