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L’Isis e il genocidio ezida a Shengal

Nel 2014 lo Stato islamico ha decimato la comunità ezida residente nella città del Kurdistan, che lentamente si è riappropriata delle proprie terre. L’Onu e altre istituzioni nel mondo hanno riconosciuto il massacro, mentre l’Italia non ha mai riconosciuto lo sterminio

di Michele Sferlinga da lavialibera

Alla fine di maggio una delegazione italiana composta da alcuni esponenti della società civile, legati all’associazione Verso il Kurdistan Odv, ha compiuto un viaggio nella città irachena di Shengal, un piccolo complesso urbano abitato per lo più da esponenti della comunità ezida, dove dal 2014 è in corso una forma di autogoverno che prende il nome di Autonomia democratica di Shengal. Obiettivo del viaggio è stato ultimare il progetto di realizzazione di un presidio sanitario nella regione di Serdest, oltre a raccontare il dramma vissuto nel 2014 dalla comunità ezida, vittima di una ferocissima repressione da parte dell’Isis.

Tornati da questa intensa esperienza, i membri dell’associazione nata nel 2002 ad Alessandria, in Piemonte, da anni attiv con numerosi progetti di solidarietà e cooperazione con il popolo curdo, hanno deciso, su richiesta esplicita degli abitanti di Shengal, di lanciare una campagna di raccolta firme da sottoporre al governo italiano per il definitivo riconoscimento del genocidio del popolo ezida avvenuto nel 2014.

Una storia di violenza

Gli ezidi, o yazidi, sono una popolazione ristretta nata e cresciuta nella regione del Kurdistan, oggi concentrati nella porzione irachena intorno alla città di Sinjar o Shengal. Nella loro millenaria storia, il popolo ezida è sopravvissuto a 74 ferman, termine utilizzato per indicare gli editti con cui veniva ordinato per motivi religiosi, economici o politici il massacro dell’intera popolazione. L’ultimo risale al 2014, quando si è consumato un brutale tentativo di sterminio avvenuto per mano dell’Isis.

Nella loro millenaria storia, il popolo ezida è sopravvissuto a 74 ferman, termine utilizzato per indicare gli editti con cui veniva ordinato per motivi religiosi, economici o politici il massacro dell’intera popolazione

In quelle prime giornate di agosto, dopo aver già conquistato la città di Mosul, gli uomini dello Stato islamico hanno attaccato Shengal, ormai rimasta priva di un esercito. In poche ore, mentre migliaia di civili fuggivano in direzione del Monte Shengal, all’interno della città le milizie dell’Isis hanno compiuto un autentico massacro. A distanza di anni, si contano più di 5mila ezidi uccisi, circa 7mila tra bambini e donne rapite, poi vendute come schiave sessuali.

Negli anni successivi la popolazione ezida di Shengal è riuscita lentamente a riappropriarsi delle terre conquistate dallo Stato islamico, grazie al movimento di resistenza nato fin da subito con il sostegno del popolo curdo del Rojava, delle truppe Ypg/Ypj. Con la nascita delle forze ezide di autodifesa Ybs/Yjs dopo più di un anno, nel novembre 2015, Shengal è stata liberata.

Fin dalla liberazione di Shengal, il movimento di resistenza ezida ha organizzato la nuova struttura della società a partire dal modello del confederalismo democratico già sperimentato nel Rojava, basato sui principi di autodifesa e autoamministrazione. Nel concreto, comitati e assemblee di quartiere discutono e prendono le decisioni inerenti alla vita quotidiana. Ogni assemblea è presieduta da due co-presidenti, un uomo e una donna.

La partecipazione diretta rappresenta dunque il caposaldo della vita politica della città, con livelli di coinvolgimento della popolazione molto elevati. Il principio democratico è applicato anche all’organizzazione delle forze di difesa, in questo caso con maggiori difficoltà a causa del mancato riconoscimento da parte del governo iracheno dell’Autonomia democratica. Dopo i fatti del 2014, le Nazioni unite hanno incaricato l’Indipendent international commission of inquiry on the syrian arab republic – una commissione istituita nel 2011 dal consiglio dei Diritti umani – di investigare sui crimini dell’Isis sul popolo ezida.

Fin dalla liberazione di Shengal, il movimento di resistenza ezida ha organizzato la nuova struttura della società a partire dal modello del confederalismo democratico già sperimentato nel Rojava, basato sui principi di autodifesa e autoamministrazione

Al termine del rapporto They came to destroy: Isis crimes against the Yazidis si afferma che è possibile definire quanto avvenuto a Shengal come genocidio. Attraverso le diverse testimonianze raccolte, la commissione ha determinato come l’Isis abbia compiuto una serie di attività criminali per distruggere e annientare il popolo ezida di Shengal. Per questo motivo, l’Onu ha riconosciuto ufficialmente il genocidio degli ezidi, rispetto a quanto stabilito dalla convenzione per la Prevenzione e repressione del delitto del genocidio. Le Nazioni unite non sono l’unico organismo politico ad averlo fatto. Oltre a istituzioni sovranazionali come il parlamento europeo, altre assemblee nazionali quali il bundestag tedesco, il parlamento australiano, olandese e quello inglese hanno dichiarato il pubblico riconoscimento del genocidio.

L’immobilismo italiano

E in Italia? Il 26 marzo 2019 venne approvata all’interno della commissione Affari esteri e comunitari della camera una risoluzione che impegnasse il governo, tra le altre cose, “ad assumere iniziative per sensibilizzare la comunità internazionale e valutare le modalità più opportune per riconoscere il genocidio yazida”. Nonostante questo atto non abbia generato alcun effetto politico concreto nella legislatura precedente, grazie al costante lavoro svolto dalle tante realtà associative attive su questo tema, negli ultimi mesi alcuni passi avanti sono stati raggiunti. A livello locale, in molti comuni italiani è stata approvata una delibera per il riconoscimento del genocidio, così come avvenuto a Firenze, dove è stato sancito l’impegno “a rappresentare in ogni sede istituzionale la necessità del riconoscimento del popolo ezida come vittima di un genocidio”.

Sul piano nazionale, il 12 luglio 2023 il senatore di Alleanza Verdi Sinistra Tino Magni ha presentato un’interrogazione parlamentare al ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale affinché venissero chiarite quali iniziative intendesse assumere il governo italiano “per sensibilizzare la comunità internazionale […], anche al fine di riconoscere ufficialmente il genocidio ezida”.

A livello locale, in molti comuni italiani è stata approvata una delibera per il riconoscimento del genocidio

Nella risposta pubblicata il 23 ottobre scorso, si legge come «il governo continuerà a fornire assistenza alla comunità ezida in Iraq, a sollevare nei fora multilaterali, ma anche in tutte le occasioni utili a livello bilaterale, la questione delle violenze sessuali”, sostenendo “in tutte le sedi propizie iniziative volte a rafforzare il sistema di perseguimento dei responsabili di violazioni del diritto internazionale umanitario”. Non, dunque, un autentico riconoscimento del genocidio come avvenuto negli altri paesi, bensì un impegno, una promessa, a sollevare la questione durante gli incontri istituzionali con i rappresentanti degli stati.

Eppure, l’importanza di questo riconoscimento ufficiale era stata sottolineata anche l’11 ottobre durante una sessione del comitato permanente sui Diritti umani nel mondo, istituito presso la commissione Esteri della camera dei deputati e presieduto da Laura Boldrini, con un’audizione proprio dei rappresentanti dell’associazione Verso il Kurdistan e dell’ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia (Uiki onlus). Dopo i puntuali interventi dei rappresentanti delle associazioni, in quell’occasione era stata ribadita l’importanza e la necessità di attuare questo riconoscimento anche da parte del parlamento italiano, dando concreta attuazione alla risoluzione approvata quattro anni prima.

Il riconoscimento di quanto avvenuto a Shengal come genocidio “comporta una serie di riconoscimenti per la popolazione che ha subito quel tipo di genocidio”, talvolta anche in termini monetari, grazie all’erogazione di indennità economiche, spiega Antonio Olivieri, co-presidente dell’associazione Verso il Kurdistan, che ha lanciato una campagna di raccolta firme per spingere le istituzioni italiane a questo atto.

Il riconoscimento del genocidio “comporta una serie di aiuti per la popolazione, anche in termini monetari”, spiega Antonio Olivieri, co-presidente dell’associazione Verso il Kurdistan

“Quando abbiamo fatto l’incontro con l’autonomia di Shengal loro ci hanno chiesto una sola cosa: far riconoscere il genocidio, come è stato riconosciuto da altre parti, per cui noi ci siamo impegnati in questo senso”, continua Olivieri. Non si tratta dell’unico impegno preso dall’associazione italiana verso la popolazione yazida. Dal viaggio compiuto nel maggio 2023, continua Olivieri, “siamo tornati a casa con ben quattro/cinque progetti”. Idee da sviluppare in ambito sanitario, scolastico e lavorativo, in quanto, conclude Olivieri riportando il pensiero degli stessi abitanti rimasti a Shengal, “le prime cose da fare per far ritornare le persone sono le scuole e le strutture sanitarie”.

Articolo realizzato da Michele Sferlinga nell’ambito del Progetto FormTOinform, con il contributo di Mindchangers, ideato e realizzato da Gruppo Abele e Casacomune con la supervisione e partecipazione di lavialibera, Cinemambiente e Progetto Ruta

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