Menu

Lo strappo del Daspo di Capodanno

L’ultima trovata del ministro dell’interno è stato il Daspo di Capodanno, cioè la direttiva impartita ai prefetti per la creazione di zone rosse in aree strategiche delle grandi città da cui disporre l’allontanamento coattivo dei soggetti aggressivi o molesti. La misura è, a prima vista, circoscritta ma non è così e anzi, se la si avalla, è forte il rischio della sua prossima estensione alle manifestazioni politiche e, in generale, all’area del dissenso.

di Livio Pepino da Volere la Luna

L’ultima trovata del ministro dell’interno, alla disperata ricerca di meriti per difendere l’incarico dagli assalti dell’ex padrino Salvini, è stato il Daspo di Capodanno, cioè la disposizione impartita ai prefetti delle grandi città di assumere provvedimenti per «vietare l’indebita permanenza» in centri storici, stazioni e aree di divertimento giovanile di «persone responsabili di attività illegali» e di «disporne l’allontanamento» per garantire «l’“ordinato vivere civile” che rappresenta il naturale obiettivo di uno Stato di diritto, libero e democratico». Ciò seguendo l’esempio di Bologna, Firenze e, da ultimo, Milano dove il Prefetto ha istituito apposite zone rosse al fine di fronteggiare «la presenza di soggetti molesti e aggressivi, dediti alla commissione di reati e non in regola con la normativa in materia di immigrazione, tale da incidere negativamente sulla percezione di sicurezza dei cittadini e dei turisti che fruiranno di quelle aree». La frontiera della sicurezza, nell’Italia dei (quasi) 6 milioni di poveri assoluti, dei 1000 morti l’anno per infortuni sul varo e di un femminicidio ogni tre giorni, è stata fissata, dunque, nella militarizzazione dei punti centrali delle città e nell’allontanamento dei soggetti molesti e aggressivi (id est, migranti e marginali) per consentire ai turisti e ai cittadini per bene di festeggiare nelle piazze l’arrivo del Capodanno!

Inutile dire che ciò non ha nulla a che vedere con l’ordinario (e doveroso) controllo del territorio, che dovrebbe essere realizzato tutti i giorni dell’anno, in tutte le città e in ogni loro parte (e che – sia detto per inciso – sarebbe assicurato, assai meglio che da militari in divisa, da agenti di prossimità che conoscono il territorio). Qui il messaggio è tutt’altro. Pressapoco questo: chi vuole delinquere o infastidire il prossimo lo faccia in periferia e lasci il centro, le luci d’artista e i concerti di fine anno ai turisti e a chi se li può permettere. Anzi, per assicurare anche la sicurezza percepita di questi ultimi, chi vive situazioni di povertà e marginalità resti nelle sue periferie ed eviti di permanere indebitamente in spazi che non sono suoi. Val la pena di aggiungere che il ministro non è stato solo in questa brillante operazione e che, mentre gran parte dei telegiornali ha sparato la notizia fin dai titoli di apertura, a protestare o, comunque, a prendere le distanze sembrano essere rimaste quasi solo le Camere penali e Magistratura democratica (che, in un comunicato ad hoc ha denunciato, tra l’altro, che quelle poste in essere sono state «evidenti compromissioni della libertà di circolazione e della libertà personale, adottate in forza di un’ordinanza prefettizia ed eseguite a discrezione delle forze di polizia nell’individuarne i destinatari, con espresso pregiudizio verso le persone migranti, in palese violazione delle riserve di legge e di giurisdizione costituzionalmente garantite a presidio delle libertà fondamentali»: ).

Segno dei tempi tristi in cui viviamo, ma anche epilogo di un percorso che comincia da lontano, incoraggiato anche nel nostro Paese dal proclama del premier laburista inglese Tony Blair dell’aprile 1997 secondo cui «non saranno più tollerate le infrazioni minori» ed «è giusto essere intolleranti verso i senzatetto nelle strade» e dall’esempio degli Stati Uniti, dove «i poveri di strada, che a milioni invadono i centri urbani, sono quotidianamente presi di mira da un diritto penale crudele che li sanziona se dormono per strada, se vi si siedono, se vi lasciano i loro carrelli rigurgitanti di misere cose, se piantano una tenda sotto i ponti dell’autostrada o sulle rive di un fiume, se dormono di notte nei parchi pubblici o perfino nella propria macchina, se si stendono sulle panchine, se hanno con sé una coperta o fanno i loro bisogni fuori da toilettes convenzionali – per loro peraltro inaccessibili, perché quasi tutte ormai a pagamento – o se chiedono l’elemosina» (così E. Grande, Guai ai poveri. La faccia triste dell’America, Edizioni Gruppo Abele, 2017).

Ricordate l’assessore del Pd Graziano Cioni, fustigatore dei lavavetri fiorentini, diffidati, con ordinanza 25 agosto 2007 dal persistere in «occupazioni abusive di suolo pubblico composte da secchi, attrezzi, ombrelloni», idonee a provocare disagi e, addirittura, a «porre a repentaglio l’incolumità personale propria e altrui»? Negli anni successivi le ordinanza sindacali in tema di sicurezza si sono susseguite con un ritmo quasi quotidiano con disposizioni di ordinaria manutenzione della città ma anche di carattere genuinamente razzista (come il divieto di indossare in pubblico il burqa o le restrizioni alla vendita di kebab), di cervellotica limitazione delle forme più elementari di socialità e libertà (come dormire sulle panchine o sedervisi in numero superiore a due, bere, fumare o masticare chewing gum per strada, riunirsi in determinati luoghi), di attacco alla libertà di circolazione (come il coprifuoco in ore notturne nelle vie del centro) o, addirittura, di curiosa quanto inutile goffaggine (come la regolamentazione del traffico per gli animali o il divieto di lanciare riso durante le cerimonie nuziali). Ciò ha dato la stura a molteplici “pacchetti sicurezza”. Si è cominciato con la legge 24 luglio 2008 n. 125 e il successivo decreto Maroni, in cui si indicava il dovere dei sindaci di intervenire con appositi provvedimenti «per prevenire e contrastare le situazioni urbane di degrado o di isolamento, le situazioni in cui si verificano comportamenti che determinano lo scadimento della qualità urbana; l’incuria, il degrado e l’occupazione abusiva di immobili; le situazioni che costituiscono intralcio alla pubblica viabilità o che alterano il decoro urbano; la prostituzione su strada o l’accattonaggio molesto». Poi è stata la volta dei numerosi provvedimenti legislativi noti con i nomi dei ministri dell’interno proponenti (dal decreto Minniti [n. 14/2017] al decreto Lamorgese [n. 130/2020] passando per i decreti Salvini [nn. 113/2018 e 53/2019]) che hanno arricchito il nostro sistema del cosiddetto Daspo urbano, diretto a colpire con l’allontanamento dai luoghi incriminati e con il divieto di tornarvi chi ostacola o turba l’accesso o la permanenza in stazioni, porti, aeroporti, presidi sanitari, scuole, siti universitari, musei, aree e parchi archeologici, complessi monumentali, luoghi di cultura o di interesse turistico, fiere, mercati, teatri, parchi ovvero i parcheggiatori abusivi e i bagarini e chi è colto in stato di ubriachezza o nell’atto di compiere atti contrari alla pubblica decenza. Infine – ed è ormai cronaca – sono arrivati i provvedimenti del Governo Meloni: ultima la direttiva Piantedosi, in attesa dell’approvazione del disegno di legge n. 1660 , comprensivo di un’ulteriore estensione del Daspo all’area deli disagio e della marginalità

Non inganni, in questo contesto, il fatto che il Daspo di Capodanno sia stato previsto per una categoria limitata di soggetti, considerati devianti e marginali. La previsione è grave in sé e tanto basta. Ma c’è di più. Essa consolida un precedente dotato di forte capacità espansiva. Lo dimostra la storia del Daspo, introdotto, con l’articolo 6 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, per i tifosi violenti e, per questo, salutato addirittura con favore da tutti gli osservatori (o quasi). Poi – come in pochi avevamo preconizzato – esso è diventato uno strumento ordinario di governo delle città. Se lo si avalla diventerà presto una misura utilizzata dal Governo per controllare il dissenso e limitare le manifestazioni politiche (come già si è tentato di fare sul crinale del nuovo millennio). Anche per questo la direttiva Piantedosi non deve passare sotto silenzio.

Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi sostenerci donando il tuo 5×1000 

News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp