“Non è quindi un ritorno alla normalità che dobbiamo esigere, ma un altro modello di città”
di Cédric Kheirôn da lundi.am traduzione di Salvatore Turi Palidda
Le immagini di Parigi recintata sconvolgono l’opinione pubblica. Molti media si rammaricano di ciò che presentano come una deviazione dal “solito ordine” della città, una deviazione che dovrebbe essere accettata in nome della celebrazione (una sorprendente inversione logica). Ma non è il contrario?
Se queste immagini ci scioccano, non è forse proprio perché rendono visibile l’“ordine consueto” della città sotto il regime capitalista? Non lo deviano; lo manifestano in modo sorprendente e questo ritorno del rimosso è doloroso, suscita rabbia o negazione. Queste sono le griglie che separano marciapiedi, ponti, piattaforme e carreggiate maggiormente rappresentate nei rapporti.
Al di là delle perdite per i ristoratori, emerge un disagio: come legittimare gli spazi pubblici separando così le persone, teoricamente dotate di pari diritti? Tuttavia, gli spazi pubblici funzionano già attraverso la differenziazione. Uomini e donne non hanno le stesse opportunità. Di genere e sessisti, gli spazi pubblici sono anche di convalida (validisti) e operano secondo logiche di razzializzazione o LGBTfobia. Meno pubblicizzati, i blocchi di cemento del canale Saint-Martin volti a prevenire le tende rendono la zona una terra di nessuno militare. Ma la città capitalista lavora da tempo per mettere a sdiagio od ostacolare, rendere invisibili o espellere gli indesiderabili.
A Parigi e nei suoi dintorni sono state predisposte delle corsie riservate. Intrappolato in un ingorgo, l’automobilista può solo notare che, proprio accanto a lui, una corsia è libera, ma a lui è vietata. E mentre un cartello luminoso annuncia la Porte de la Chapelle a 32 minuti (per cinque chilometri), un altro lo avverte che la guida senza autorizzazione sulla corsia “JO 2024” è punibile con una multa di 135 euro. Questo tipo di organizzazione dei flussi è poco accettata in Francia. Le prime autostrade urbane a pagamento (la A14) risalgono solo al 1996 e si stanno diffondendo con difficoltà. Ma esistono e la discriminazione basata sul denaro non si ferma qui. Dall’istituzione della zona a basse emissioni della Grande Parigi, le restrizioni sono aumentate (Crit’Air 3 dal 1° gennaio 2025).
A Parigi, comunque si paga da sempre per poter parcheggiare. Oltre a ciò, numerosi studi, in particolare quelli dell’Osservatorio delle disuguaglianze, dimostrano la discriminazione di fronte alla mobilità, in particolare per i residenti dei quartieri popolari.
Più in generale, in occasione dei Giochi Olimpici sono state privatizzate intere porzioni di spazio pubblico, a cominciare dalla Senna e dai suoi dintorni per la cerimonia di apertura. Ma la questione dei “beni comuni urbani” è vecchia. A Parigi, la metà dello spazio pubblico è riservato alle automobili, mentre nel centro di Parigi l’auto rappresenta meno del 4% degli spostamenti. Le grandi pubblicità affisse sugli edifici in fase di ristrutturazione agiscono come una privatizzazione del paesaggio urbano. I ristoratori invadono abbondantemente i marciapiedi, una tendenza accentuata dopo la pandemia di Covid e trasmessa per un certo periodo dai parcheggi per monopattini elettrici, ora vietati, o dalla moltiplicazione delle riprese tv e cinema o di eventi commerciali vari (campi sportivi, parchi e giardini -rpivatizzati- edifici pubblici, banche , musei ecc).
Caso emblematico: la piazza di fronte alla Torre Eiffel, circondata da barriere durante Euro 2016, barriere sostituite da un modello più estetico, ma da allora mai rimosse. Dopo l’incendio di Notre-Dame del 2019, potremmo anche assistere all’oscenità degli appetiti privati, con alcune proposte che chiedono di sfruttare l’opportunità di riconfigurare gran parte dell’Île de la Cité per scopi commerciali.
Complementare a tutto ciò si nota il moltiplicarsi dei ontrolli d’identità senza che vi sia alcun motivo plausibile per sospettare la commissione di un reato.
Così molte persone sperimentano ciò che alcune categorie sociali considerate apriori sospetti devianti subiscono regolarmente e quotidianamente. Ancor peggio, i QR Code rendono impossibile l’accesso ad alcune aree ai non residenti, ostacolando quella che sembrava una libertà fondamentale: quella di muoversi. Ma a Parigi ci sono già residenze chiuse. La più famosa è Villa Montmorency. Parigi ne conta più di cento. E se la capitale resta ancora relativamente poco colpita da questo fenomeno, in Francia si registra una forte crescita, che colpisce ad esempio Marsiglia. La particolarità delle misure di Parigi 2024 è che sono concentrate nel tempo e nello spazio, e non più diluite; che sono espliciti e non più impliciti; che sono materiali e non più immateriali. L’urbano capitalista diventa improvvisamente evidente e concreto. Nel 1968 Henri Lefebvre pubblica Il diritto alla città (Le droit à la ville). Da allora, molti ricercatori, in particolare David Harvey, hanno continuato e aggiornato la critica della città liberista [in Italia e in particolare su Milano si veda l’eccelente libro di Lucia Tozzi e la rivista online gratuita ArcipelagoMilano.org].
Parigi 2024 si presenta come una gigantesca messa in scena delle loro analisi. Perché Parigi 2024 non rovescia il regime urbano capitalista: lo rende visibile.
Per quanto ci riguarda, non è quindi un ritorno alla normalità quello che dobbiamo pretendere, ma un altro modello di città.
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