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L’orrore di Stato in Australia: carcere per i bambini di dieci anni

Il Governo laburista del Qeeensland abolisce lo “Human Rights Act”, introdotto nel 2019 per impedire che i minori venissero trattati come detenuti adulti.

di Alessandro Fioroni

Il governo della regione nord-orientale australiana del Queensland ha letteralmente scioccato l’opinione pubblica sospendendo lo Human rights act. L’intento delle autorità è quello di mettere dietro le sbarre anche i bambini, abbassando la soglia di punibilità a 10 anni. Il partito laburista al potere, già il mese scorso aveva fatto approvare una serie di provvedimenti per consentire la detenzione di minorenni. Una reclusione a tempo indeterminato in strutture di sorveglianza gestite dalla polizia, perché le modifiche alle leggi sulla giustizia minorile, incluso il carcere per i giovani che violano le condizioni per la cauzione, hanno saturato i posti in quelli che venivano chiamati comunemente riformatòri.

La brutale misura è stata resa possibile dunque dalla rinnovata sospensione del Queensland Human Rights Act, introdotto nel 2019, che proteggeva i bambini che non potevano in alcun modo essere detenuti in carcere come fossero adulti. All’inizio di quest’anno, la Commissione per la produttività australiana ha riferito che il Queensland ha il più alto numero di minori in detenzione rispetto a qualsiasi stato.

Tra il 2021 e il 2022 è stata registrata una media giornaliera di 287 incarcerazioni, rispetto alle 190 del Nuovo Galles del Sud, il più popoloso dell’Australia Tutto ciò nonostante le spese altissime per il bilancio pubblico: ogni giorno di prigione infatti arriva a costare oltre 1800 dollari australiani, e più della metà dei bambini del Queensland incarcerati vengono condannati per nuovi reati entro 12 mesi dal loro rilascio. Un rapporto pubblicato dalla Justice Reform Initiative nel novembre 2022 ha mostrato che il numero di detenuti giovanili del Queensland è aumentato di oltre il 27% in sette anni.

La nuova stretta securitaria sta seriamente preoccupando il commissario per i diritti umani dello Stato, Scott McDougall, che ha descritto la protezione dei minori in Australia come molto fragile: “Non abbiamo una legge nazionale. Alcuni dei nostri stati e territori hanno dispositivi di protezioni dei diritti umani nella legislazione. Ma non sono costituzionalmente radicati”. Lo dimostra proprio la detenzione nelle cosiddette case della polizia, annesse ai commissariati e ai tribunali. Questi luoghi sono composti da piccole celle di cemento senza finestre, normalmente utilizzati per gli adulti in attesa di comparire davanti un giudice o per essere trattenuti durante la notte.

Secondo McDougall ciò provoca danni irreversibili ai bambini rinchiusi in una “scatola di cemento” con un solo bagno e altri piccoli detenuti. I bambini non hanno accesso all’aria fresca o alla luce del sole. Dopo due o tre giorni la salute mentale inizia a deteriorarsi. Inoltre il 90% dei giovani imprigionati sono in attesa di processo trattenuti in custodia cautelare.

La decisione del Queensland nasconde però un elemento che potrebbe essere definito razzista. Nonostante i nativi costituiscano solo il 4,6% della popolazione, i bambini indigeni costituiscono quasi il 63% di quelli in detenzione. Un tasso di incarcerazione 33 volte superiore a quello dei bianchi. Sembrano essere così ignorate tutte le soluzioni alternative che affrontino il comportamento dei bambini senza sottoporli a un processo.

Eppure secondo diverse organizzazioni per i diritti dei nativi: “Ci sono state innumerevoli opportunità per questo governo di perseguire alternative alla carcerazione, insegnando ad essere responsabili al di fuori di una cella di prigione”. Un ulteriore rischio per la protezione dei diritti umani è il parlamento del Queensland, che è composto da un solo ramo. Non esiste una camera alta per esaminare le leggi, così il partito al governo può approvare nuovi provvedimenti pressoché incontrastato.

da il dubbio

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