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L’urlo di Patrick Zaki “Non ho fatto nulla, sono un innocente!”

È durata pochi minuti la prima udienza del processo al ricercatore egiziano dell’università di Bologna. Rinviata al 28 settembre. Draghi interviene al G20 delle religioni ma non cita Patrick

È durata cinque minuti la prima udienza del processo (inappellabile) a Patrick George Zaki davanti al Tribunale civile di Mansoura, sua città natale, accusato ora non più di terrorismo ma di aver diffuso notizie false attraverso un articolo di giornale pubblicato nel 2019 con cui lo studente cairota testimoniava la difficile vita di una famiglia di cristiani copti – la sua – in Egitto. Il giovane ricercatore dell’università di Bologna è comparso davanti alla corte in manette, mostrando tutti i segni di 19 mesi di carcerazione preventiva sul suo corpo appena trentenne.

Un’immagine che Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, ha definito «terrificante». «Non ho commesso alcun reato», è riuscito a dire Patrick durante l’udienza lampo che è stata poi aggiornata al 28 settembre prossimo. «Ho solo esercitato il mio diritto alla libertà di parola», avrebbe aggiunto chiedendo di essere rilasciato, secondo quanto riferito dall’Egyptian Initiative for Personal Rights (Eipr), l’ong egiziana con cui collaborava Zaki.

La madre di Zaki, Hala Sobhy Abdelmalek ha parlato con l’agenzia AFP al Cairo rilasciando alcune dichiarazioni. «Tutto quello che sappiamo è che viene giudicato per un articolo pubblicato nel 2019 sul sito di informazioni Daraj», ha detto la donna. In particolare, si tratta di un articolo intitolato «Deportazioni, omicidi e restrizioni: una settimana nella vita dei Copti d’Egitto» : une semaine dans la vie des Coptes d’Egypte «e racconta la quotidianità della comunità copta, di cui lo stesso Zaki fa parte.

PATRICK INVECE è tornato in carcere, non si sa in quale, se di nuovo nella famigerata prigione di massima sicurezza di Torah, a sud del Cairo, o se in qualche cella situata nella stessa al-Mansoura. Quando il furgone blindato azzurro con il quale è stato portato via si è allontanato, parenti amici e compagni sono riusciti a riferirgli la data di rinvio dell’udienza. «28 settembre, 28 settembre», urlavano, secondo le agenzie locali. Altrimenti nessuno gliela avrebbe comunicata. Oltre alla sua avvocata Hoda Nasrallah, erano presenti in aula rappresentanti delle ambasciate di Italia, Canada e Germania, e un avvocato dell’Unione europea.

LA DECISIONE DEL GIUDICE del tribunale di Mansura è, secondo Noury, «comunque una notizia che evita lo scenario peggiore, quello di una sentenza emessa dopo la prima udienza: una condanna immediata e inappellabile. Questo processo infatti non prevede un appello: se Patrick verrà condannato non ci sarà un ricorso ma solo la possibilità di una richiesta di grazia al presidente al-Sisi. E il fatto che sia stata un’udienza lampo – aggiunge – è emblematico di come funziona la giustizia egiziana. D’altronde è già successo con Ahmed Santawy, lo studente dell’Università di Vienna, che è stato arrestato nel febbraio di quest’anno, quindi un anno dopo Patrick, ed è stato già condannato a quattro anni per reati simili, inventati e pretestuosi. Però ora vedo quattordici giorni di luce, sia pur offuscati da quell’immagine orribile di un uomo innocente nella gabbia degli imputati. È un tempo utile per preparare la difesa e soprattutto per tentare di fare qualcosa sul piano politico». Il portavoce di Amnesty international Italia spera in una qualche voce libera che si alzi a New York, dove il presidente egiziano Al Sisi è atteso per prendere parte all’Assemblea generale dell’Onu e per il primo incontro con il presidente Usa Joe Biden, e dove porterà l’inutile «Carta dei diritti umani» in Egitto che ha appena fatto preparare.

Un’altra occasione su cui Noury riservava speranze per far sentire a Patrick Zaki di non essere stato lasciato solo di fronte alle aberrazioni del regime egiziano era quella di ieri sera, a Bologna. Il sindaco Virginio Merola e il governatore dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini hanno espresso grande solidarietà con il «nostro cittadino Zaki», ma senza prendersi la briga di riferirlo al premier Draghi, incontrato alla Business school durante un evento dedicato a Nino Andreatta, poco prima che il primo ministro si recasse al Salone del Podestà di Palazzo Re Enzo per intervenire a conclusione del G20 Interfaith Forum. «Se ne parliamo al premier? – ha risposto Bonaccini alla domanda di un giornalista – È qui oggi per un’altra questione, in ogni caso credo che non ci sia neanche bisogno di parlargli e che sia pienamente informato. Naturalmente, ci aspettiamo che il governo italiano, sulla vicenda, possa incidere».

MA MENTRE I COLLEGHI e gli amici di Patrick partecipavano ad una fiaccolata per sostenerlo, e mentre continuano gli appello perché il governo rispetti almeno la volontà del parlamento concedendo la cittadinanza italiana al giovane che ha scelto Bologna come sua seconda città, Mario Draghi, davanti ad una platea di leader religiosi e rappresentanti di 70 Paesi diversi tra cui arcivescovi della Chiesa copta ortodossa che si sono detti preoccupati per Zaki e per i loro fedeli che vivono in Egitto, ha pronunciato parole di condanna per «ogni estremismo religioso» e in difesa della «libertà religiosa, di opinione e di espressione». Poi, riguardo il ruolo della politica Draghi ha ammesso: «In certi momenti della storia, il non agire è immorale». Poi è ripartito per Roma.

Eleonora Martini

da il manifesto