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È malato, si cura con la cannabis finisce in cella per 4 piantine

Fabrizio Pellegrini, pianista di 47 anni, ha la fibromialgia ed è recluso a Chieti da circa un mese

Mentre la Camera dei deputati si appresta finalmente ad avviare la discussione di un disegno di legge per la legalizzazione della cannabis, nel Paese si continua a faticare per liberarsi degli effetti letali di decenni di politiche proibizioniste sulle vite dei consumatori, e persino dei pazienti.

Come Radicali, infatti, abbiamo costantemente denunciato che in ambiti inerenti la libertà e il diritto di cura – come quello della cannabis terapeutica – il proibizionismo mostrasse il proprio cortocircuito. Ed è proprio tra i malati – e tra i loro amici e familiari – che il fronte per la legalizzazione ha trovato i più strenui attivisti negli ultimi tempi. Ovvero tra persone che hanno vissuto e vivono sulla propria pelle, e su quella dei propri cari, le contraddizioni di un sistema che risponde con la pena e la sanzione a quello dovrebbe essere un semplice diritto di scelta, o di cura.

Questo groviglio di contraddizioni si incarna talvolta in maniera feroce, in storie come quella di Fabrizio Pellegrini. Pianista di 47 anni, dal fisico estremamente esile, malato di fibromialgia, che si trova recluso nel carcere di Chieti da circa un mese per aver coltivato 4 piante di cannabis nel suo appartamento. Non è la prima volta che Pellegrini vive l’esperienza del carcere: dal 2001 a oggi sono stati aperti ben 8 procedimenti a suo carico per lo stesso reato: coltivazione di cannabis, sempre (quattro-cinque piante). Procedimenti che si sono risolti a volte con gli arresti domiciliari altre con la reclusione: in un caso per oltre 10 mesi.

La fibromialgia – di cui soffre dal 1999 – è infatti una malattia connotata da una sofferenza cronica del sistema immunitario, che negli stadi avanzati, come appunto quello di Pellegrini, causa l’erosione lenta e progressiva delle articolazioni, con un dolore incessante, soprattutto alla colonna vertebrale, e la conseguente impossibilità di riposare, di dormire.

Quasi per caso Pellegrini scopre che l’assunzione di cannabis gli consente di recuperare una maggiore mobilità e un po’ di sonno. Ma rifornirsi al mercato nero costa, e oltretutto la qualità risulta scadente, così Pellegrini comincia a coltivare delle piante sul suo balcone. E così cominciano e si susseguono gli arresti, le perquisizioni, gli ingressi in carcere, i procedimenti. Ma nonostante le difficoltà, le umiliazioni, le complicazioni il dolore è troppo forte e non appena fuori Pellegrini ricomincia a coltivare. Nel 2007, poi, in Italia il thc, principio attivo della cannabis, viene ammesso in terapia e qualcuno gli consiglia di cercare un medico che gli prescriva il farmaco. Dopo vari tentativi ottiene una prescrizione. Peccato, però che per avere la prima fornitura, sufficiente per un solo mese di terapia, si trova costretto a sborsare circa 500 euro. La prima volta riesce a mettere insieme i soldi grazie a una colletta, ma la spesa per la terapia va ben oltre la portata delle sue finanze. Così decide di tornare a coltivare, sperando di potersi godere il raccolto prima del prossimo arresto, che puntuale arriva qualche mese dopo.

Oggi si trova nuovamente in carcere, dove le sue condizioni di salute sarebbero incompatibili con la detenzione. Andrea Trisciuoglio, segretario dell’associazione Lapiantiamo e Rita Bernardini, che gli hanno fatto visita, lo hanno trovato in stato di grave sofferenza.

Eppure una soluzione ci sarebbe, e sarebbe anche abbastanza semplice. Negli ultimi due anni in Abruzzo le cose sono cambiate ed è stata approvata una legge regionale tra le più avanzate del nostro paese. Una legge che prevede che il farmaco sia a carico del servizio sanitario regionale, quando il trattamento cominci in ospedale. A questo scopo, il consiglio regionale abruzzese ha addirittura predisposto un fondo annuo di 50mila euro. Ci vorrebbe un medico, uno specialista ospedaliero che avvii il trattamento in una struttura pubblica e prescriva la prosecuzione di trattamento a casa. Talmente banale, come soluzione, che è imbarazzante per il nostro Stato, ma che la dice lunga sul percorso di liberazione da pregiudizi e tabù su questa sostanza. Insomma: si faccia avanti un medico. Ma si facciano avanti anche le istituzioni, perché Fabrizio Pellegrini sia scarcerato al più presto, come chiedono anche i compagni dell’associazione radicale “Mariateresa Di Lascia”, che hanno annunciato l’avvio di un satyagraha.

Insieme rilanceremo la lotta nonviolenta e continueremo a raccogliere le firme sulla legge di iniziativa popolare della campagna Legalizziamo! (www. legalizziamo. it) che come Radicali Italiani e Associazione Luca Coscioni abbiamo promosso in collaborazione e con il sostegno delle più importanti realtà antiproibizioniste. Una proposta di regolamentazione tra le più avanzate del consumo, della produzione e del commercio di cannabis – per contrastare davvero le narcomafie – che prevede anche il più ampio accesso possibile alla cannabis terapeutica. Porteremo avanti la nostra lotta fino a che il parlamento non si assumerà le proprie responsabilità e condurrà il nostro paese fuori da questi anni bui. Per Fabrizio Pellegrini e per tutte le vittime del proibizionismo.

Riccardo Magi segretario di Radicali Italiani e

Antonella Soldo membro della Direzione

da il dubbio