Nei primi giorni di gennaio i detenuti del carcere di Fuorni (Salerno) hanno comunicato ai media che avrebbero organizzato una protesta per l’emergenza sanitaria e il sovraffollamento dell’istituto. La “battitura” è cominciata alle 9:30 del 13 gennaio, quando fuori dalla casa circondariale c’erano qualche giornalista e pochi familiari. Dall’esterno, alcuni fischi hanno interrotto per un attimo il rumore delle pentole sbattute contro le grate mentre la moglie di un detenuto, dando le spalle alle telecamere, leggeva una lettera in cui erano esposte le questioni principali: lentezza delle procedure di sorveglianza; mancanza di farmaci e divieto di coprire il vuoto dei magazzini con i redditi privati; attese importanti per prestazioni mediche essenziali; mancanza di spazi interni per gestire gli isolamenti sanitari dei detenuti contagiati.
Il fracasso è stato forte, forse perché la battitura ha coinvolto tutte le sezioni dell’istituto. Il pensiero è andato a ritroso nel tempo, a due anni fa, quando gli istituti di pena furono travolti dalle rivolte e il collasso cominciò esattamente da Fuorni.
Quanto stava accadendo mi sembrava di averlo vissuto più volte. Nella casella di posta elettronica sono ricomparse le denunce dei familiari: “Salve. Non so se potete fare qualcosa in merito. Ma non so che altro fare. I detenuti a Santa Maria Capua Vetere sono nella stessa cella, sia negativi al Covid che positivi… Mio fratello è negativo ma condivide la cella con un positivo”.
Anche l’anno carcerario si è aperto con tragedie che si ripetono da tempo: il primo gennaio un ragazzo di ventotto anni, Ahmeti Desiad, si è suicidato proprio nel carcere salernitano. Una nota del garante regionale ha ricordato che a settembre 2023 era previsto il fine pena del ragazzo. I suicidi in Italia sono arrivati a cinque nel solo mese di gennaio, mentre anche il personale amministrativo e quello in divisa stanno dando segnali di gravi scompensi provocati da una diffusa depressione. Sono i sintomi della sofferenza crescente negli istituti di pena che riflette il collasso emotivo che si vive all’esterno: come in uno specchio, l’immagine di quanto accade dentro racconta e anticipa quanto sta per verificarsi fuori.
Infatti, anche il mondo dei liberi sembra tornare vorticosamente indietro. Il tempo attraversato finora non è servito a nulla. I due anni che dovevano servire per riorganizzare la macchina amministrativa sono trascorsi invano e rimaniamo fermi nella stessa casella come in un gioco dell’oca. Lavoriamo, ci fermiamo quando contagiati oppure entriamo in un indefinito regime di “auto-sorveglianza”, consumiamo il reddito recuperato e, se non ci sono altri intoppi, questa “unità di produzione” si riproduce all’infinito con costi sociali sempre più elevati.
Anche i programmi del governo non sembrano cambiati. Il 19 gennaio il ministro Cartabia ha riferito al Senato e alla Camera con stucchevole retorica: «Se vogliamo farci carico fino in fondo dei mali del carcere – in primo luogo perché non si ripetano mai più episodi di violenza, ma più ampiamente perché la pena possa davvero conseguire la sua finalità, come previsto dalla Costituzione –, occorre concepire e realizzare una strategia che operi su più livelli: gli improcrastinabili investimenti sulle strutture penitenziarie, un’accelerazione delle assunzioni del personale, una più ricca offerta formativa per il personale in servizio e la diffusione dell’uso delle tecnologie, tanto per le esigenze della sicurezza, quanto per quelle del trattamento dei detenuti».
Il problema principale è costituito dall’affollamento degli istituti di pena, che a oggi si attesta intorno al centoventi per cento e rappresenta una criticità anche per la tenuta del contagio interno, a causa della mancanza di spazi per effettuare gli isolamenti sanitari. Le parole del sottosegretario alla giustizia Francesco Paolo Sisto, in audizione alla commissione bilancio del Senato, dovrebbero indicare la strada tracciata dal ministero: «Il fondo complementare del Pnrr – ha detto Sisto – prevede 132,9 milioni di euro, dal 2022 al 2026, per la costruzione e il miglioramento di padiglioni e spazi per le strutture penitenziarie per adulti e minori, una prospettazione complessiva che tiene conto anche dei fondi per i lavori di ristrutturazione di quattro istituti per minori».
In concreto, la strategia per arginare il male strutturale della “bestia” è sempre la stessa: costruire nuovi spazi e ristrutturare i vecchi per spalmare i numeri dei detenuti in forza. Tuttavia, questa soluzione riesce soltanto nell’immediato ad alleggerire la pressione sugli istituti perché, rimanendo invariati i livelli di incarcerazione, i nuovi contenitori sono destinati nel breve periodo a colmarsi. L’effetto che si riversa sul sistema, invece, a distanza di tempo è opposto, perché i nuovi numeri ricadono a cascata sul comparto dell’esecuzione penale.
LE PROPOSTE DI RIFORMA
Mentre il ministero della giustizia attende inerme il terremoto imminente, la commissione Ruotolo poco prima della vigilia di Natale ha consegnato al guardasigilli le proposte di riforma dell’ordinamento penitenziario.
L’intervento sull’esecuzione penale è necessario e non può essere procrastinato, essendo parte degli accordi presi con la Commissione europea per avere i fondi del Pnrr. Tuttavia, i creditori europei non sanno (o fingono di non sapere) che l’assenza di equilibri tra le compagini politiche al governo del paese non consentono di operare alcuna modifica strutturale, nonostante il collasso registrato nelle carceri durante il primo lockdown. L’establishment si finge rassicurato (anche se il capo del Dap Petralia ha rassegnato le dimissioni in questi giorni), sperando che la baracca continui ad assorbire urti e pressioni rimandando l’esplosione alla legislatura successiva.
Per questi motivi, la commissione ha lavorato con le mani legate intervenendo principalmente sul quotidiano detentivo disciplinato dal regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario. Le proposte di modifica inciderebbero in positivo sulle condizioni di vita dei reclusi rimuovendo alcuni ostacoli che risultano da tempo immotivatamente vessatori. Per esempio, i commissari propongono la presenza stabile di un funzionario comunale per le pratiche civili e, su richiesta del direttore, di un funzionario della questura e degli uffici consolari per rendere effettive tutte le procedure di rilascio dei documenti e dei permessi per detenuti stranieri che, allo stato dei fatti, sono quasi impossibili a meno che la persona non trovi un legale disposto ad affrontare una guerra di lunga durata contro l’ipertrofica macchina burocratica.
La commissione si è soffermata sulla salvaguardia degli affetti, per questo ha proposto di stabilizzare le videochiamate con i familiari in alternativa ai colloqui in presenza (frutto della normativa emergenziale introdotta in seguito alle rivolte di marzo 2020). Riguardo alle comunicazioni, il lavoro della commissione tenta di rompere un tabù che aggrava inutilmente la distanza tra il dentro e il fuori, prevedendo l’accesso alla corrispondenza sia telefonica che telematica. Alcune modifiche cercano di arginare l’annoso problema del prezzo del vitto e soprattutto del sopravvitto dei beni di prima necessità, che dipende principalmente dal costo richiesto dalle ditte appaltatrici (quasi sempre le stesse) della distribuzione. Un problema enorme che incide sul welfare dei detenuti e affligge in particolare chi non ha una famiglia che possa garantire le spese quotidiane della detenzione. La proposta, eliminando la gara di appalto per la distribuzione, vuole consentire ad alcune aziende selezionate di operare direttamente negli istituti.
Altre possibili migliorie riguardano l’implementazione delle tecnologie anche sul piano della sicurezza interna (come la bodycam per gli agenti) e la tutela della salute, con la previsione di una direttiva rivolta alle regioni per ripristinare i reparti ospedalieri, prevedendo la possibilità, anche da parte del personale medico che opera in istituto, di chiedere l’affidamento in prova quando la condizione psichiatrica del detenuto sia gravemente compromessa.
La relazione è molto accurata e mette sottosopra il regolamento di esecuzione vecchio di vent’anni, ma la commissione è cosciente di aver affrontato soltanto un aspetto del problema senza affondare le mani nella metastasi originaria: “Altro presupposto essenziale per assicurare una ‘decente’ condizione detentiva è il superamento delle condizioni di sovraffollamento […]. Si tratta di questione che, quanto a soluzioni praticabili, fuoriesce dai confini del mandato della commissione, ma investe, per così dire, i presupposti dei suoi lavori. Non si può, allora, che auspicare interventi che siano in grado di arginare una situazione che rischia di pregiudicare gli sforzi qui proposti per un miglioramento della qualità della vita nell’esecuzione penale”. Tuttavia, dal governo ancora nessun segnale e al di là dei proclami della ministra, le proposte prendono polvere sulla scrivania.
Il comparto sindacale della Uil della polizia penitenziaria ha definito questo ennesimo tentativo del legislatore un “vorrei ma non posso”. Più duri sono stati i toni del sindacato autonomo di polizia penitenziaria che, forte del proprio ruolo, attacca frontalmente il lavoro della commissione soprattutto rispetto alle nuove direttive sulla formazione del personale: “Innovazione del sistema penitenziario: adesso è la Polizia Penitenziaria che deve essere rieducata?”.
Insomma, le informazioni dal fronte non sono rassicuranti e anche il modello dei circuiti escogitato per controllare la tensione del conflitto quotidiano ormai mostra segni di progressivo cedimento. La notizia della “rivolta” del 29 gennaio scorso nel carcere di Ariano Irpino racconta questo fallimento. Quell’istituto ha conservato l’originaria destinazione punitiva: progettato negli anni Settanta, costruito dopo l’emergenza terremoto, ancora oggi raccoglie i detenuti trasferiti per motivi di sicurezza. Una sorta di discarica per rifiuti speciali, totalmente isolata dalle istituzioni del territorio, governata quasi esclusivamente da logiche contenitive. Sono due le sezioni dedicate ai detenuti problematici, individuati dall’art. 32 del regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario. Un vulcano sommerso che accumula energia senza fermarsi. Come fate a non sentire il calore che sale dal ventre della terra?
Luigi Romano