Trump torna a minacciare la chiusura totale del confine con il Messico. La commissione diritti umani: serve un dialogo
Il sogno americano della carovana dei migranti per ora conta 42 persone arrestate dalla polizia di frontiera statunitense, e 98 deportazioni che la polizia migratoria messicana ha «messo in scena». Il tutto dopo che domenica, attorno alle 11.00 del mattino, centinaia di centro-americani hanno provato a superare il doppio muro nei pressi di Tijuana. Alcuni migranti sono stati colpiti da proiettili di gomma, la polizia Usa ha sparato gas lacrimogeni anche in territorio messicano e elicotteri da guerra a stelle e strisce hanno sorvolato per ore i cieli fuori dalla loro competenza. Una vera aggressione extra territoriale che mette in pratica le minacce che il presidente Donald Trump ha più volte twittato.
Diversi migranti sono stati arrestati e nella mattinata di lunedì espulsi: 36 dei deportati sono honduregni e sono stati arrestati dalla polizia municipale della città di confine. Gli altri 62 sono stati invece fermati dalla polizia federale. Tra loro, molte donne.
IL GIORNO DOPO LE CARICHE e gli arresti il campo d’accoglienza «Benito Juarez» si è trovato circondato, già dall’alba, dalla polizia federale messicana in assetto antisommossa. Immediatamente è scattato l’allarme, poi rientrato, di una possibile retata di massa per perseguire chi aveva provato a scalvare il confine. Alfonso Navarrete Prida, segretario di Stato del governo uscente, Peña Nieto, ha dichiarato al termine delle tensioni domenicali che i 500 migranti che avevano provato a passare per materializzare il loro sogno americano sarebbero stati riportati d’origine a forza. Ha inoltre dichiarato in diretta tv che, oltre ai 100 già arrestati, sarebbero stati attivamente ricercati e catturati anche gli altri 400.
La Commissione nazionale dei diritti umani (Cndh) – che ha già preventivamente chiesto un incontro con il nuovo presidente del Messico che si insedierà il 1 dicembre, Andres Manuel Lopez Obrador – ha duramente criticato la gestione della piazza a Tijuana e lungo il muro di confine. Denunciando sia la violenza della polizia locale sia l’uso di gas lacrimogeni e di proiettili di gomma da parte della polizia di frontiera statunitense. La Cndh, presieduta da Luis Raúl González Pérez, ha poi invitato il governo uscente a continuare il dialogo con Trump per evitare nuove tensioni al confine.
Per Trump il dialogo è fatto di minacce e provocazioni «dovrebbero rimpatriare nei loro Paesi quei migranti come bandiere sventolanti – ha detto ancora utilizzando Twitter – molti sono spietati criminali. Lo facciano con gli aerei, con i bus o come vogliono, ma quelle persone non entreranno mai negli Stati Uniti». Quindi ha nuovamente intimato la chiusura definitiva della frontiera, non solo per le persone ma anche per i mezzi.
TIJUANA È UNA POLVERIERA: il centro d’accoglienza è troppo piccolo per ospitare i 5.000 della carovana. E altri «caravanisti» stanno per arrivare dalla vicini città di Mexicali. Per tutti ci sono solo sei docce a disposizione. Nonostante la repressione e le parole del presidente Usa l’assemblea generale della carovana ha rinnovato l’intenzione di resistere e di continuare a cercare un modo per attraversare il confine. Certamente resta impensabile accettare i tempi con cui la burocrazia nordamericana affronta le richieste d’asilo: a fronte degli oltre 2.000 messicani in lista d’attesa, a cui si aggiungono i partecipanti della carovana e le migliaia di haitiani bloccati al confine dopo il passaggio di governo da Obama a Trump, vengono esaminate non più di 100 domande al giorno. Significa aspettare mesi.
MESI INSOSTENIBILI dopo oltre 4mila km e un mese di sofferenze e soprattutto senza che nessun governo – della città, dello Stato e della nazione (tanto meno quello Usa) – offra condizioni degne e umane di attesa. Domenica abbiamo comunque visto le potenzialità politiche e collettive che l’inedita forma di mobilitazione della carovana ha creato: una manifestazione con migliaia di persone che aveva l’obiettivo politico di far pressione sulle autorità Usa. E il superamento di quella barriera rappresenterebbe il fallimento del sogno primatista dei vari Trump.