Marijuana. La Cassazione assolve un rasta: l’uso è religioso
- luglio 10, 2008
- in vittime della fini-giovanardi
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Non va condannato l’adepto rasta sorpreso con una busta di marijuana: la sua religione, infatti, impone l’uso quotidiano di «erba sacra» da consumare da soli fino a 10 grammi al giorno. Lo si evince da una sentenza della Cassazione, con la quale è stata annullata la condanna a un anno e 4 mesi di reclusione inflitta dalla Corte d’appello di Perugia ad un 44enne per illecita detenzione al fine di spaccio di marijuana. L’imputato, trovato in possesso di quasi un etto di erba, da cui potevano essere ricavati 70 spinelli, aveva presentato ricorso alla Suprema Corte, spiegando che, data la sua religione, era giustificata la detenzione della sostanza e la conferma che fosse destinata solo ad uso personale. I giudici hanno accolto il ricorso: «Non sfugge infatti che, secondo le notizie relative alle caratteristiche comportamentali degli adepti di tale religione di origine ebraica–si legge nella sentenza n. 28720–la marijuana non è utilizzata solo come erba medicinale, ma anche come ‘erba meditativa’, come tale possibile apportatrice dello stato psicofisico inteso alla contemplazione nella preghiera, nel ricordo e nella credenza che ’l’erba sacra’ sia cresciuta sulla tomba di re Salomone, chiamato il Re saggio, e da esso ne tragga la forza, come si evince da notizie di testi che indicano le caratteristiche di detta religione”. I giudici della Corte d’appello, secondo la Cassazione, non hanno «operato una logica ricostruzione del fatto», essendo «pacifico» che fu proprio l’imputato a consegnare spontaneamente ai carabinieri una busta contenente marijuana non preconfezionata, precisando subito che il possesso dell’erba era «da lui destinato ad esclusivo uso personale, secondo la pratica della religione rastafariana di cui si era detto adepto».
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