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Mario Moretti: la dignità della sconfitta

Partendo dalla visione di una registrazione che Mario Moretti effettuò alcuni anni fa con i ragazzi di una scuola di giornalismo, alcune mie brevi considerazioni sull’uomo, sul guerrigliero, sul capo brigatista: esemplare esempio di coerenza etica e politica e di orgogliosa dignità nella sconfitta. E sulla vicenda che vide le Brigate Rosse protagoniste del conflitto sociale che attraversò l’Italia dalla fine degli anni ’60 alla prima metà degli anni ’80. Uno scontro di classe e una guerra civile a bassa intensità che lo Stato italiano non ha mai voluto riconoscere e su cui, a partire proprio dalla storia delle Br e da quella più personale di Moretti, ha imbastito una narrazione infarcita di menzogne, dietrologia e fantapolitica.

di Vincenzo Morvillo

«La vera sconfitta non è aver perso [la rivoluzione ndr]. La vera sconfitta è l’aver introiettato l’idea della sconfitta. Di non poter vincere e cambiare le cose».

Un bagno di realtà durissimo che dovrebbe far riflettere chiunque si professi oggi comunista ed aspiri ad un sovvertimento del sistema capitalistico vigente e delle sue iniquità sociali.

Un bagno di realtà che non viene da una persona qualunque. Ma da uno di quelli che la rivoluzione hanno provato a farla per davvero.

Anzi da colui che da sempre è stato identificato come il capo delle Brigate Rosse.

Quel giudizio così definitivo, ma anche così desolante nella sua drammatica veridicità, lo pronunciava Mario Moretti durante un incontro che tenne, nel lontano 2004, con i ragazzi di Via Pace.

Una classe di aspiranti giornalisti interessati alla storia delle Brigate Rosse e al rapimento Moro. La registrazione dell’incontro la si può trovare su Youtube. Otto puntate di un’ora ciascuna (qui il link).

Settantasette anni, quarantadue dei quali passati dietro le sbarre, Moretti torna ogni notte a dormire in carcere, vivendo in regime di semilibertà.

Un uomo di una coerenza etica e politica esemplare. Come d’altronde tante altre compagne e tanti altri compagni brigatisti.

«Potrò aver sbagliato tutto ma so di essere sempre stato dalla parte giusta. Quella degli oppressi», dichiara senza reticenza.

Ma soprattutto, Moretti fu uno dei massimi dirigenti delle Brigate Rosse che si assunse la responsabilità, insieme a Renato Curcio e Barbara Balzerani, di dichiarare chiusa, nel 1986, la vicenda di quell’organizzazione.

Auspicando inoltre una soluzione politica al conflitto armato degli anni ’70, alla quale lo Stato non ha mai voluto dare seguito.

La liberazione di Mario Moretti dunque – come di altri compagni segregati in istituiti di pena o persino al 41bis – oggi che sono trascorsi più di quarant’anni da quei fatti e che l’Italia è un paese profondamente mutato (in peggio) ed in cui si fatica a intravedere anche solo l’ombra di una protesta (figurarsi la lotta armata) sarebbe un dovere morale e politico per delle istituzioni democratiche che si rispettino.

La chiusura di una vicenda che oramai dovrebbe essere materia solo per gli storici.

D’altronde Togliatti amnistiò i fascisti dopo un anno. Mentre qui sono passati cinquant’anni dall’inizio di quel conflitto e trentacinque dalla sua fine anche formale, ma ancora l’Italia ha difficoltà ad affrontarlo serenamente. Non solo sul piano storiografico ma soprattutto politico.

La surreale richiesta di estradizione fatta inoltrare, due anni fa circa, dalle istituzioni italiane alla Francia per dieci rifugiati appartenenti ad organizzazioni armate comuniste o a gruppi extraparlamentari – operazione denominata con uno spiccato senso del gotico Ombre Rosse – evidenzia un concetto persecutorio e vendicativo della Giustizia inaccettabile per un paese che si definisca liberale.

Un atteggiamento che per giunta sfiora il grottesco se si pensa che i dieci fuoriusciti hanno età comprese tra i settanta e gli ottant’anni.

Continuando così, li si arresterà nella bara!

Ma si sa, le Brigate Rosse facevano più paura dei fascisti. Finanche al Pci e ai suoi indecorosi eredi “di sinistra”.

E allora Moretti marcisca in galera. E col sovrapprezzo dell’ingiuria e dell’infamia che lo additano, da sempre, come “doppiogiochista”.

La “Sfinge delle Brigate Rosse” lo soprannominò, con ignominioso disprezzo, quel gretto mistificatore di Flamigni. Pasdaran dell’ideologia piccista e fanatico portabandiera dei complottisti italici.

Marcisca in galera Moretti. A monito dell’imperativo che non sia mai possibile sovvertire l’ordine delle cose esistenti.

Moretti tuttavia personifica, con la sua permanenza in carcere e per chi la Storia voglia leggerla venendo fuori dai coni d’ombra proiettati dalla propaganda tossica degli apparati del potere e dagli organi di stampa, la vergogna di uno Stato che ha costruito, sull‘insorgenza degli anni ’70, una narrazione infarcita di menzogne, dietrologia e fantapolitica.

Una narrazione che ha il solo scopo di coprire alcune verità inconfessabili per gli assetti istituzionali e soprattutto per i due principali partiti che hanno dominato la scena italiana durante i quarant’anni di Guerra Fredda: Dc e Pci.

Il cui “compromesso” ha sprofondato l’Italia in un regime di democrazia bloccata durante tutta la seconda metà del ‘900.

Verità inconfessabili che servirono e servono tutt’oggi a coprire la meschinità, la vigliaccheria e le atrocità – come sottolinea lo stesso Moretti parlando con i ragazzi del corso di giornalismo – di quella classe dirigente che governava il Paese durante il conflitto sociale.

Innanzitutto, dunque, si dovrebbe avere il coraggio di riconoscere che dalla fine degli anni ’60, per tutto il decennio dei ’70 e per tutta la prima metà degli anni ’80, l’intera penisola fu attraversata da una guerra civile a bassa intensità.

Che in quella guerra non fu certo il movimento extraparlamentare e rivoluzionario a sparare il primo colpo, bensì gli organi della repressione: Polizia e Carabinieri.

Le stragi di Avola, Battipaglia, Reggio-Emilia, in cui le forze dell’ordine spararono sui manifestanti per uccidere, stanno lì a dimostrarlo.

Poi seguirono le bombe. Piazza Fontana, gli attentati sui treni, Piazza della Loggia. E i tentativi di colpo di stato militar-fascista, come il “fallito” Golpe Borghese o quello della Rosa dei Venti.

Bisognerebbe riconoscere che le Brigate Rosse – come i Nap, Prima Linea e altre “organizzazioni armate per il comunismo” – nacquero all’interno di quel conflitto sociale violentissimo. Uno scontro di classe che vide studenti e movimento operaio saldarsi come non era successo altrove in Europa.

Bisognerebbe riconoscere che le Brigate Rosse erano espressione delle lotte di fabbrica e, come ricorda sempre Moretti, avevano dalla loro migliaia di operai.

Non erano quindi quei “quattro fanatici ideologizzati” e scollegati dalla realtà che avevano all’improvviso deciso di mettersi a sparare, come la propaganda di Stato ha voluto raccontare.

Non si dura quasi vent’anni in clandestinità se non si ha un blocco sociale e territoriale che sostiene e ti accompagna nella tua battaglia.

Le Br erano il risultato di quelle contraddizioni profonde che esplosero all’interno della società italiana ed ebbero il coraggio e la coerenza – è sempre Moretti a ricordarlo – di fare ciò che in ogni manifestazione si chiedeva e si urlava. La lotta armata e la Rivoluzione.

Gli eredi del Pci, ed anche qualche altro compagno molto “antagonista”, di tutto ciò dovrebbero prendere atto una volta per tutte.

Come sottolinea lo stesso Moretti, infatti, ragionare  in termini manichei e binari di ‘buoni’ e ‘cattivi’, ‘assassini estremisti’ e ‘democratici difensori dello Stato’… non ha senso.

La violenza non fu esercitata solo dalle Brigate Rosse o da altri gruppi armati, anzi. La violenza dello Stato – come già accennato più sopra – era ed è esercitata sempre con grande dispiegamento di forze e di mezzi al solo scopo di mantenere un assetto politico, economico e culturale anche se profondamente iniquo.

O si inquadra quel periodo quindi all’interno di un processo storico che produsse un conflitto di classe infuocato in quasi tutto l’Occidente capitalistico; o le stesse morti, in un campo e nell’altro, finiscono per non avere alcun significato.

«Il mero giudizio morale sulla storia dell’insorgenza armata e delle Br, come anche un mio eventuale pentimento di fronte ai parenti delle vittime, non avrebbero alcun senso. Sarebbero solo un atto di pura ipocrisia».

Queste le parole dell’ex capo brigatista.

Appare pertanto evidente che, sulla base di tali logiche premesse, le istituzioni di questo Paese dovrebbero finalmente riconoscere anche la loro enorme responsabilità nella morte dell’onorevole Aldo Moro.

Ad uccidere il Presidente della Democrazia Cristiana, infatti, prima ancora che fisicamente le Brigate Rosse, furono moralmente e politicamente la dirigenza Dc e i vertici del Pci con il loro ottuso e infantile atteggiamento, fatto di veti e ricatti incrociati nel perseguire la cosiddetta “linea della fermezza”.

Lo riconobbe lo stesso Cossiga, allora Ministro dell’Interno e poi Presidente della Repubblica. «Moro lo abbiamo ucciso noi», disse il picconatore con la K.

Una fermezza che l’arco costituzionale cosiddetto non avrebbe poi perseguito nel corso dei rapimenti D’Urso e Cirillo.

D’altronde fu lo stesso Moro ad accusare i suoi compagni di partito nelle lettere a loro indirizzate dalla prigione del popolo. Intimando di non volere nessun rappresentante delle istituzioni al suo funerale.

Ancora. Bisognerebbe avere la correttezza etica e politica di ammettere che le Brigate Rosse e la lotta armata per il comunismo non furono sconfitte perseguendo “metodi democratici”, bensì leggi speciali, sospensione dei diritti costituzionali, torture e omicidi a sangue freddo.

Nessuno recrimina, considerando che si era ‘in guerra’. Si chiede solo un atto di onestà da parte dello Stato!

Infine, riteniamo che sarebbe anche giunto il momento di smetterla con la storia di un Moretti spia al servizio della Cia o di qualunque altra intelligence straniera.

Se Moretti avesse davvero servito lo Stato da agente infiltrato nella più grande organizzazione armata comunista dell’Occidente non avrebbe scontato 42 anni di galera. Probabilmente neanche mezzo…

Almeno questo, per logica anche piuttosto elementare, andrebbe riconosciuto.

Basti pensare agli stragisti Franco Freda e Giovanni Ventura. A Stefano Delle Chiaie o all”agente Zero’, Guido Giannettini. Che di galera ne hanno fatta poca o nulla.

Perciò, alla luce di quanto fin qui affermato, sarebbe ora di smetterla, riteniamo, con questa costruzione complottista, ormai più ridicola che drammatica, sulle Brigate Rosse etero dirette o infiltrate.

Dietro le Br c’erano le Br. Ovverosia, operai, tecnici, studenti. In una parola, una parte non piccola del proletariato prima incazzato e poi anche armato.

La storiografia seria oramai lo riconosce.Soprattutto all’estero, ma in misura crescente anche in Italia.

Se poi ci si ostina a continuare ad “informarsi” leggendo Flamigni, Imposimato, D’Adamo, ecc; o guardando trasmissioni tipo quelle del recentemente scomparso Andrea Purgatori – in cui neanche Diogene con la lampada potrebbe individuare i fatti storici – liberi di farlo.

Ma si non si ha la libertà invece di pretendere che quella paccottiglia cialtronesca debba assurgere a verità.

Una paccottiglia mistificatoria, una subcultura dietrologica che, per giunta, continua a tenere in galera un uomo, un comunista, un compagno serio, integerrimo, leale e mai pentito come Moretti.

Per questo, ancora una volta, chiediamo la libertà per lui. E l’amnistia per tutti quei compagni e per tutti i prigionieri politici che, per un motivo o per l’altro, ancora sono costretti a vivere rinchiusi nelle patrie galere.

da Contropiano

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