Massama, la piccola Alcatraz sarda che rischia di diventare Guantanamo
45 detenuti hanno scritto al ministro Orlando per lamentare le condizioni della struttura
Di nuovo clima di tensione all’interno del super carcere sardo di Massama. Nei mesi scorsi – come già riportato da Il Dubbio – i detenuti avevano inscenato una protesta per denunciare la situazione al limite della sopportazione. Per evitare che la situazione esplodesse, il funzionario ministeriale aveva avviato una mediazione per cercare di riportare la calma dentro il carcere. All’inizio del mese di aprile vi era giunto a far visita anche Mauro Palma, il Garante nazionale dei detenuti e aveva promesso che avrebbe sollevato il problema a chi di competenza. Così aveva fatto, ma le richieste del Garante sono rimaste tuttora inattuate. Per questo motivo 45 detenuti di Massima hanno inviato una lettera al ministro della Giustizia preannunciando nuove proteste. Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione socialismo, diritto e riforme si è fatta portavoce della protesta e denuncia l’aggravarsi della situazione.
«Nel carcere di Massama – conferma Maria Grazia Caligaris – convivono 284 detenuti, quasi tutti di altre regioni, e in regime di alta sicurezza, per 260 posti. Si tratta prevalentemente di ergastolani che, nel rispetto della legge sull’ordinamento penitenziario, dovrebbero poter disporre di una cella singola e di un lavoro. Il maggior disagio è legato alla difficoltà di avere un dialogo costante con il direttore».
Quello di Massama è una piccola Alcatraz sarda che sorge nel nulla e dove sono ristretti – grazie ad una direttiva del Dap emanata nel 2014- molti detenuti condannati per reati legati alla mafia. Il carcere – struttura consegnata alla fine del 2012 – fin dall’inizio aveva evidenziato delle carenze. Risulta che nei muri dei corridoi e di alcune celle sono visibili i segni dell’umidità, in alcune pareti l’intonaco è cadente, alcuni tubi sono arrugginiti. Il carcere è ancora in fase di rodaggio nonostante siano passati quasi quattro anni. Non c’è un posto dove fare attività fisica, la scuola, la biblioteca, il teatro. I detenuti, quasi tutti in regime “ex 41 bis”, possono uscire dalla cella per sole quattro ore al giorno. Ma il degrado c’era anche quando vi erano ristretti esclusivamente i detenuti comuni. Nel 2013 cominciarono già le prime proteste. ” Questo non è un carcere, ma un lager creato per spersonalizzare il detenuto e non per prepararlo a un graduale reinserimento nella società. Si parla tanto di regimi duri per mafiosi, ma qui il regime punitivo lo subiamo noi”, così denunciarono i detenuti comuni appena giunti nel carcere appena consegnato.
A lamentarsi però non sono solo i detenuti, ma anche gli agenti della polizia penitenziaria che dicono di non essere in grado – a causa della carenza di personale – di far svolgere le attività e puntano anche loro il dito contro la direzione del carcere. Nel frattempo i detenuti denunciano di essere ristretti in condizioni che violano le norme di legge e i regolamenti di esecuzione. In particolare lamentano il sovraffollamento delle celle, che riduce lo spazio disponibile al di sotto dei parametri legali, una regolamentazione dei colloqui con i familiari che penalizza i detenuti provenienti dalle altre regioni, la mancata fruizione di attività ricreative, rieducative e culturali e la totale assenza di contatti con il magistrato di sorveglianza e le associazioni del volontariato. Un carcere completamente abbandonato e privo di funzione riabilitativa.
I numeri messi a disposizione dal Dap però non tornano. Secondo i dati reperibili sul sito del ministero della Giustizia, aggiornati al 30 settembre, i detenuti risultano 284 su una capienza regolamentare di 260 posti. Quindi, secondo questi dati, ci sarebbero “solamente” 24 ristretti in più. Ma visionando la scheda completa del carcere di Oristano – sempre reperibile sul sito del ministero – risulta che il numero esatto delle stanze di detenzione che possono ospitare un massimo di due persone, sono 123. Quindi il sovraffollamento risulterebbe maggiore. Ma il dato cresce ancora di più se prendiamo in considerazione gli ergastolani che per legge hanno il diritto – non rispettato nel carcere – a una cella singola. Ecco spiegato perché – come denunciano i detenuti – in una cella adibita a solo due posti letti, è stata aggiunta una terza branda. Se i dati venissero confermati, la piccola Alcatraz assomiglia sempre di più ad una Guantanamo. Le proteste, nel frattempo sono riprese, sperando che arrivi presto una soluzione.
Damiano Aliprandi da il dubbio