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Matrimoni a Riace: il nuovo asso nella manica di Salvini

Comunque in realtà, ognuno si sposa per il motivo che crede, e di esempi siam pieni.
L’istituto del matrimonio è pragmatico per sua intima natura, e in barba alle romanticherie da abito bianco e corredo per il “vissero per sempre felici e contenti”, la verità è che esistono molti amori senza matrimonio, e almeno altrettanti matrimoni senza amore.

“L’amore ha l’amore come solo argomento” cantava De Andrè.

La storia ci insegna che il matrimonio è da sempre una formula per costruire dinastie, strutturare alleanze, ripartire territori, poteri, ricchezze. La storia ci insegna che il matrimonio è stato sempre “politico”, non lo diventa oggi a Riace. Anche nelle famiglie di estrazione rurale e contadina, tra i “popolani” più o meno poveri, il matrimonio è sempre stato un utile strumento per la gestione dell’economia familiare, come ben dimostra la tradizione delle unioni programmate dai capi famiglia a cui i figli e le figlie loro malgrado si rassegnavano per il superiore interesse della ragion comune. Il matrimonio nel passato remoto come in quello prossimo, è stato solo raramente una questione esclusivamente di coppia, ed ha avuto sempre implicazioni sociali e ricadute “collettive”. Ad oggi, nonostante la contemporaneità abbia raggiunto una certa emancipazione sessuale, genitoriale, di genere, e di classe, è innegabile che il matrimonio continui a conservare una spiccata connotazione pragmatica, una valenza squisitamente contrattuale.

Un contratto che né garantisce né suggella l’amore, ma che è utilissimo o meglio indispensabile ad acquisire il diritto di rivendicare la correlazione ad un’altra persona non consanguinea. Il riconoscimento di una correlazione implica tutta una serie di cose: il poter far visita in ospedale alla persona ricoverata; poterla assistere a casa assentandosi dal lavoro se necessario; avere detrazioni in busta paga se disoccupata e di fatto a carico; darle diritto di beneficiare tramite la pensione di reversibilità dei contributi che non vuoi regalare allo Stato; etc. etc. etc. Una correlazione, per essere socialmente valida deve essere quasi sempre istituzionalmente riconosciuta, e questo riconoscimento si da nella formula del “legame parentale”. Se invece resta non formalizzata, assume i caratteri pirandelliani di una realtà a metà. Sono molte le “coppie” che sono state “costrette” al matrimonio dal bisogno di soddisfare esigenze di vita quotidiana presenti e future, tra queste anche il solo per poter procedere all’inoltro di una richiesta di trasferimento in altra sede del posto di lavoro per “ricongiungimento”.

Se poi invece parlando di migrazioni vogliamo fingere che tutto questo non si più vero né valido, che il matrimonio sia un atto squisitamente sentimentale e romantico, e che ci scandalizza la possibilità che possa essere foriero di “interessi” altri perché questa alterità non può che qualificarsi come sciagura o perfino crimine, possiamo anche farlo, ma è per l’appunto una finzione, una sceneggiata, una ridicola farsa.

Avete forse dimenticato la legge che vietava di contrarre matrimonio con gli “irregolari”? Era la n°94 del 2009. Quella emanata perché già in molti e molte si erano avvalsi del matrimonio come strumento politico di ottenimento del “diritto di restare”, quella che per un certo periodo costrinse molti e molte a celebrarlo a S.Marino, quella che poi venne abrogata per incostituzionalità! Dichiarata illegittima con la sentenza n°245 del 2011 perché in contrasto con l’articolo 29 comma 1 della nostra Costituzione, ma anche con gli articoli 8 e 12 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Ci avete già provato ad accusare e osteggiare chi ha percorso questa strada, sicché, niente di nuovo sotto al sole!

Resta vero oggi come lo è stato all’epoca di quel passaggio legislativo, che normalmente nessuna autorità si permette di esigere prova provata dell’adempimento delle promesse di rito da parte degli sposi. A questa conclamata “normalità” però fanno eccezione i casi di cittadini/e italiani/e che decidono di coniugarsi con cittadini/e non comunitari/e! Sembrerebbe pregiudizievole, ma andiamo avanti.

L’accusa è che il matrimonio fittizio con un/una cittadino/a non comunitario/a si configuri come favoreggiamento dell’immigrazione clandestina! Bizzarro direi, perché a tal proposito va invece detto che laddove un/una italiano/a decide di coniugarsi con un/una soggiornante irregolare, produce di fatto l’emersione di questo individuo dalla sua condizione di clandestinità. Produce la sua regolarizzazione e “legalizzazione”, ovvero l’esatto contrario di quanto gli si vorrebbe imputare.

Dunque chiedo a Salvini e compagnia bella se perseguite il favoreggiamento dell’immigrazione illegale, o il favoreggiamento della legalizzazione dei migranti? Lo chiedo perché tanto per non confonderci ulteriormente, dovremmo tutti/e ricordarci o comprendere ex novo che la clandestinità la producono e favoreggiano i governi, non gli innamorati o gli attivisti per i diritti umani.

I cittadini/e del bel paese che contraggono matrimonio con migranti irregolari non identificati, non reperibili, e spesso anche non espellibili (come nei casi in cui provengono da paesi con cui non sono stati sottoscritti accordi di rimpatrio), in realtà non rendono “servigi criminali agli invasori”, ma un servizio civico alla collettività scegliendo di correlare a se stesse queste persone “ombra”, questi reduci fantasmatici delle politiche migratorie, questi inquietanti “illegali”. Li fanno riemergere alla luce della società civile con un nome, un cognome, una data e un luogo di nascita, un indirizzo, una famiglia! Una possibilità di esistere tra gli altri e con gli altri, come uomini e come donne, come persone, esseri umani con pari dignità e diritti.

Dunque cos’è che esattamente non vi sta bene? Non eravate voi ad incalzarci con la provocazione del : “Portateveli a casa vostra”? Noi lo facevamo già da prima che voi ce lo chiedeste, stronzi!

Questa roba dei matrimoni è così vecchia ma così vecchia, che perfino io l’ho contratto nel lontano 2004 un matrimonio anti rastrellamento e deportazione. Se poi ad oggi è reato, mi tolgo un sasso dalla scarpa nel confessarlo sorniona perché ormai é prescritto. Mi rammarico solo del fatto che in quanto una valgo uno e salvo uno, che non ho potuto essere poligama e sposarne cento.

Detto questo cos’altro dire. Forse soltanto che davvero non mi capacito di come si possa gridare allo scandalo, simulare di “cadere dal pero”, costringerci a revival d’ogni sorta rispetto a tutto ciò che avevamo superato dalle leggi razziali in qua.

Un’altra cosa però la voglio dire: se la disobbedienza trova luogo e modo per agire a norma di legge, invece di rodervi il fegato e inondarci di bile, fatevi due domande su ciò a cui vorreste obbedissimo.

Monica Scafati