Maysoon Majidi, 28enne curdo-iraniana prigioniera da 9 mesi in Calabria: «È estremamente depressa». Dubbi sui testimoni e sui traduttori. All’udienza di mercoledì saranno ascoltati i poliziotti, la sentenza è attesa per il 5 novembre. La madre “Imprigionata con accuse assurde”. Zerocalcare: ” «È una delle poche volte che conosciamo la biografia di una persone accusata di essere scafista. Sappiamo tutto di lei, il suo lavoro artistico è pubblico così come il suo attivismo nelle rivolte delle donne iraniane, e sappiamo che il suo profilo non è certo compatibile con l’attività di scafista. Eppure appena arrivata in Italia scatta l’accusa e viene messa in galera»
«Maysoon Majidi ha ricominciato lo sciopero della fame». A dirlo è il suo avvocato, Giancarlo Liberati, che ieri mattina l’ha sentita per telefono dopo averla incontrata nella mattinata di mercoledì. La regista e attivista curdo-iraniana, detenuta in Calabria, prima a Castrovillari e ora a Reggio, da oltre nove mesi per l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, aveva già scelto di smettere di nutrirsi lo scorso maggio, arrivando a pesare appena 38 chili. «È estremamente depressa, nel corso del nostro incontro ha pianto ripetutamente», racconta il consigliere regionale Ferdinando Laghi, che giovedì è andata a farle visita in carcere. C’è anche tanta solidarietà per lei, però. «Maysoon ha collezionato ben due pacchi di lettere e cartoline che certamente l’hanno rincuorata – dice ancora Laghi -. Continuiamo a starle vicino e a sostenere la sua causa».
L’ATTESA è tutta per la prossima udienza, fissata per mercoledì a Crotone. La procura sostiene che Majidi, 28 anni, fosse «l’aiutante del capitano» dell’imbarcazione che il 31 dicembre dell’anno scorso è arrivata sulle coste calabresi con 77 persone a bordo, ma le prove risultano poche e contraddittorie: due testimoni l’hanno riconosciuta, ma ormai sono irreperibili (almeno per il tribunale) e la loro versione dei fatti non è stata videoregistrata, dunque la difesa non ha la possibilità di effettuare una perizia sulla traduzione delle loro parole. Non solo: a maggio, la trasmissione televisiva Le Iene era riuscita a raggiungerli in Germania e, intervistati, i due hanno detto di non aver mai riconosciuto Majidi come scafista perché la barca era guidata «da un uomo turco».
Gli investigatori hanno anche un video preso dal cellulare della donna in cui lei rassicura il padre sulle sue condizioni e ringrazia il capitano della nave. E però la faccenda è quantomeno controversa: il breve filmato sarebbe infatti un segnale richiesto dai veri scafisti per sbloccare l’ultima fase del pagamento del viaggio. Secondo l’avvocato Liberati, Majidi avrebbe speso circa 50.000 dollari per arrivare in Italia, tra i soldi che si sono resi necessari per arrivare in Turchia dall’Iran, quelli per la traversata in mare e «circa 16.000 dollari» estorti con una truffa. Prove che lei, su quell’imbarcazione, era una passeggera e non un’organizzatrice.
MERCOLEDÌ, ad ogni buon conto, verranno interrogati e controinterrogati i testimoni della polizia giudiziaria, poi all’udienza successiva, fissata al primo ottobre, sarà la volta dei consulenti tecnici e degli interpreti, la cui affidabilità viene già messa in dubbio. Il 22 ottobre sfileranno i testi della difesa (due passeggeri del viaggio del 31 dicembre e il fratello dell’imputata) e il 5 novembre dovrebbe arrivare la sentenza di primo grado. A quanto si apprende, dopo essersi visto respingere per tre volte l’istanza di scarcerazione, alla prossima udienza sarà direttamente Majidi con una dichiarazione spontanea a chiedere di poter andare almeno ai domiciliari. Il rischio, per lei, è di prendere fino a 16 anni di carcere, una multa di 15mila euro per ogni persona a bordo della nave e addirittura il rimpatrio in Iran, dove, in quanto curda, la sua incolumità sarebbe a rischio.
LA 28ENNE regista e attivista è arrivata in Europa dopo un percorso tortuoso: dopo che l’Iraq le aveva negato il permesso di soggiorno e dopo essere per un breve periodo tornata a casa in Iran, ha deciso di partire con suo fratello alla volta dell’Europa. Al suo arrivo a Crotone però è stata arrestata e così è cominciato il suo personale inferno tra le aule di giustizia italiane. All’ultima udienza, lo scorso 24 giugno, il collegio presieduto dal giudice Mario D’Ambrosio ha accolto le tesi della pm Rossella Multari e ha negato a Majidi la concessione degli arresti domiciliari. Ascoltato il verdetto, dalla gabbia in cui era rinchiusa, la donna ha mostrato a tutti i presenti in aula quelle che ritiene essere le prove della sua innocenza. Due foto: nella prima ci sono lei e il fratello sottocoperta, nell’altra si vede il timoniere della nave insieme a una donna, cioè verosimilmente i due scafisti.
IL CASO di Maysoon Majidi fa discutere ormai da diversi mesi, gli attestati di solidarietà sono tantissimi, così come ormai è largamente diffusa la convinzione che lei sia innocente, vittima di false accuse e «danno collaterale» delle politiche migratorie del governo, che mirano alla criminalizzazione totale di chi arriva per mare e punisce in maniera severissima gli scafisti. Che spesso però sono soltanto migranti come gli altri ai quali viene messo in mano un gps e indicata a grandi e incerte linee la rotta da seguire per arrivare a terra. Se tutto va bene.
Mia figlia Maysoon Majidi, artista e attivista. Accuse assurde contro di lei
Mia figlia Maysoon Majidi, attivista per i diritti umani e per i diritti delle donne in particolare, si trova dall’inizio dell’anno reclusa in un carcere italiano sulla base di accuse inconsistenti, dopo essere sbarcata in Italia per chiedere asilo.
Io aspetto notizie dagli avvocati che seguono il caso e una convocazione dei giudici per dimostrare che mia figlia non è una trafficante, come appare nell’atto di accusa.
Mia figlia è fuggita dall’Iran rifugiandosi nella regione del Kurdistan iracheno insieme a mio figlio Rajan. In Iraq Maysoon si è impegnata e ha lavorato come giornalista. Poi, in seguito alle minacce ricevute dall’Iran, i due fratelli hanno cercato di andare in Turchia. Purtroppo però lì hanno subito un furto da parte di trafficanti; per permettere loro di raggiungere l’Europa, la nostra famiglia ha dovuto raccogliere nuovamente dei soldi per pagare il viaggio. Questa volta sono riusciti a imbarcarsi e ad arrivare in Italia, dove hanno chiesto asilo. Però, per la mancanza di un interprete che potesse tradurre le parole di mia figlia, lei non è riuscita a difendersi e a ribattere all’accusa di essere una scafista. Perciò da allora è in carcere.
Ismael Majidi
All’Università si è impegnata in politica per la difesa dei diritti umani. Le guardie l’hanno picchiata e torturata molte volte, causandole un ricovero in ospedale
Faccio appello a tutte le associazioni e organizzazioni che si impegnano nella difesa dei diritti delle persone perché si occupino del caso di mia figlia: la mia è la richiesta di un padre disperato che, tra l’altro, ha già subito due ictus. La madre di Maysoon è morta quando lei aveva tredici anni.
Maysoon fin da piccola ha dimostrato capacità artistiche: si è espressa con le matite colorate ancor prima di andare a scuola, sempre incoraggiata da noi di famiglia. Nella classe che corrisponde alla quarta elementare ha cominciato a scrivere poesie, alla scuola media è diventata redattrice della rivista della scuola e nell’ultimo anno ha vinto il primo premio tra gli studenti narratori in Iran. Appassionata d’arte, come dicevo, si è iscritta all’Università per studiare teatro e regia teatrale (mi ha inviato esempi dei suoi lavori). Si è poi impegnata in politica e nell’attivismo per la difesa dei diritti umani. Questo ha causato interventi pesanti da parte delle guardie dell’Università, che l’hanno picchiata e torturata molte volte, causandole un ricovero in ospedale a Sanaa. Tale è stata la situazione in cui si è trovata, che Maysoon ha perfino pensato di donare i suoi organi nel caso le torture le avessero causato la morte. Ribadisco che le accuse fattele sono prive di fondamento e chiedo perciò giustizia.
Zerocalcare: «Solidali con i curdi, ma solo a volte»
Ai festival di cinema abbiamo visto le sedie vuote, come quella di Jafar Panahi a Venezia, oppure la scelta di chi per esserci, come Mohammad Rasoulof a Cannes, ha imboccato la via dell’esilio. Ma accanto ai nomi più noti ci sono tantissime storie di artisti e artiste iraniane costretti a lasciare il paese. Galera, intimidazione, censura e impossibilità di firmare lavori per anni sono la norma. Tra loro, c’è Maysoon Majidi. «È una delle poche volte che conosciamo la biografia di una persone accusata di essere scafista. Sappiamo tutto di lei, il suo lavoro artistico è pubblico così come il suo attivismo nelle rivolte delle donne iraniane, e sappiamo che il suo profilo non è certo compatibile con l’attività di scafista. Eppure appena arrivata in Italia scatta l’accusa e viene messa in galera, dove si trova ormai dall’inizio dell’anno».
Sono le parole di Zerocalcare, che raggiungiamo al telefono; il fumettista conosce bene il contesto da cui proviene Majidi, curdo-iraniana, avendo viaggiato più volte in quei territori, esperienze su cui si basa il libro No Sleep Till Shengal.
La vicenda di Maysoon Majidi ci dice molto sul sistema dell’accoglienza in Italia, nonostante conosciamo la condizione delle artiste, a maggior ragione le donne, che fuggono dall’Iran.
Certo, anche perché Majidi è riconoscibile ma il punto è che non sappiamo invece quante persone innocenti vengano accusate di questo crimine, persone di cui non sappiamo nulla, la cui vita non ci è nota, ma che arrivano qui fuggendo dalla repressione come quella messa in atto dall’Iran.
Majidi proviene da un contesto complesso come quello del Kurdistan, di cui spesso ci dimentichiamo…
Maysoon Majidi ha tutte le caratteristiche di quelle categorie umane che ci interessano «a intermittenza». Lei nello specifico è sia curda che attivista per le donne iraniane. Siamo stati tutti solidali e contenti quando i curdi combattevano contro l’Isis e poi ce li siamo dimenticati, solo perché il terrorismo islamico in questo momento non è la minaccia più allarmante in Europa. Ma loro non hanno mai smesso di combattere, come le iraniane non hanno smesso di scagliarsi contro il regime. Ci eravamo innamorati di loro, ma quando arrivano in Italia chiedendo asilo le sbattiamo in galera.
Cosa si può fare per sensibilizzare di più rispetto alla violenza che subisce chi cerca rifugio in Italia?
Bella domanda! Come fare non lo so, di sicuro è un problema annoso che non nasce con questo governo, purtroppo l’opinione pubblica che vediamo oggi è frutto di un discorso sbagliato sia della destra che della sinistra. La destra ha sostenuto sempre le stesse ricette repressive, la sinistra a partire da un’ideale internazionalista è arrivata prima a parlare di controllo dei flussi e poi di rimpatri, spostandosi sempre più a destra, e così anche il baricentro del discorso pubblico è cambiato. Certo, con questo governo siamo arrivati a livello di disumanizzazione mai visti. Leggevo la reazione di Salvini allo scippatore investito e ucciso: mi sembra assurdo che un ministro possa dire qualcosa del genere.
Lo scafista viene visto poi come il responsabile delle traversate, ma la realtà è spesso più complessa.
Nell’opinione pubblica c’è grande confusione, si è creata quest’immagine dello scafista come se fosse un trafficante senza scrupoli mentre sono quasi sempre dei poveracci, capri espiatori di chi davvero lucra su tutto questo.
La comunità artistica in Italia dovrebbe prendere la parola per la liberazione di Maysoon Majidi?
Di sicuro se tutti quegli artisti, attori, personaggi che durante le rivolte iraniane si tagliavano le ciocche di capelli, insomma se tutti coloro che hanno espresso solidarietà per quel movimento prendessero la parola, questo potrebbe di certo aiutarla. Ma io penso sempre che questi casi più eclatanti dovrebbero funzionare come catalizzatori per innescare un dibattito che arrivi a cambiare la legislazione sull’accoglienza.
articoli a cura di Mario di Vito, Ismael Majidi, Lucrezia Ercolani per il manifesto
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