Forse fu Andreotti il primo a sdoganare l’espressione, a renderla discorso pubblico. Disse: «In termini romaneschi, se l’è andata cercando». Si stava parlando dell’avvocato Giorgio Ambrosoli, ucciso dal mafioso banchiere Sindona che voleva evitare il crac fallimentare delle sue attività finanziarie, in una trasmissione televisiva, La Storia siamo noi, era il 2010 e c’era questa intervista a Andreotti e l’intervistatore chiese: «Secondo lei, perché Ambrosoli è stato ucciso?» E Belzebù rispose: «Questo è molto difficile, io non voglio sostituirmi né alla polizia né ai giudici. Certo è che era una persona che, in termini romaneschi, se l’andava cercando».
Col tempo – succede così con la volgarità, che diventa una valanga – l’espressione viene tirata fuori a ogni piè sospinto. Rapiscono le volontarie Greta Ramelli e Vanessa Marzullo in Siria? E perché mai dovremmo provare a salvare le loro vite, pagare un riscatto? Se la sono andata cercando. Una frazione palestinese fuori di testa ammazza Vittorio Arrigoni che è andato lì, in Palestina, per dare una mano? E perché dovremmo indignarci? Se l’è andata cercando. Lo dissero per Carlo Giuliani, ragazzo, ammazzato a Genova nel 2001. Se tiri sassi contro una camionetta dei carabinieri che t’aspetti? Te la sei andata cercando. Lo dissero quando è stato di Ashley, la giovane americana uccisa a Firenze. Se la sera rimorchi nei bar, che t’aspetti? Te la sei andata cercando. E lo dicono adesso del giovane Giulio Regeni, torturato e ucciso in Egitto. Se vai a sfruculiare dove non dovresti, che vuoi? Te la sei andata cercando.
Oh, certo, se Ambrosoli non avesse assunto l’incarico di liquidatore delle attività finanziarie mafiose di Sindona, o se avesse ceduto alle pressioni e alle minacce, di sicuro non gli avrebbero sparato sotto casa.
Oh, certo, se Greta e Vanessa e Vittorio non avessero dedicato la propria vita al sollievo di vite disperate, non sarebbe successo nulla. Oh, certo, se Carlo Giuliani, ragazzo, non fosse sceso in piazza a manifestare, non sarebbe successo. Oh, certo, se Ashley non fosse entrata in quel bar, non sarebbe successo nulla. Se Giulio Regeni non avesse sentito il bisogno di conoscere meglio e far conoscere la realtà egiziana dopo la presa del potere del generale al Sisi, «il nostro figlio di puttana», non sarebbe successo nulla.
Ma perché essere volontari in terre straziate dalla guerra, tirare un sasso contro una camionetta, rimorchiare in un bar, fare un reportage giornalistico dovrebbe avere come prezzo la morte? Qual è la folle equazione che la rende plausibile? Perché? Perché la colpa ricade sulla vittima?
Che idea triste di vita può avere chi esprime tale livore?
Penso adesso ai genitori di Giulio, che devono affrontare questo dolore straziante della perdita di un figlio, e l’orrore di questo chiacchiericcio melmoso, costretti a difenderne il carattere generoso, curioso, semplice. Chissà quante volte, loro stessi, gli avranno consigliato prudenza, cautela, o magari invece la frase si sarà sospesa, come fai a fermare un figlio e la sua vita? Mai mai dovrebbero sentirsi in colpa per questo.
Oh, sì, signori dalla vita misurata cui non succede mai nulla.
Odio il vostro livore, questo noncurante cinismo.
Io, io, pure me la sono andata cercando, la vita, seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam / quae nunc oppositis debilitat / pumicibus mare Tyrrhenum! che Giove abbia ancora anni in serbo per me o che questo inverno che sfianca il Tirreno sia l’ultimo.
Lanfranco Caminiti