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Meloni e Travaglio uniti in nome del nuovo fascismo: riempire le carceri!

Fratelli d’Italia e Il Fatto Quotidiano chiedono più manette. L’uso del carcere e del dominio incontrastato delle persone “perbene” e dei magistrati, è una caratteristica dei regimi autoritari. E qui in Italia il simbolo storico dell’autoritarismo è il fascismo

di Piero Sansonetti da l’Unità

Fratelli d’Italia, nel corso della discussione in Parlamento sul decreto carceri, ha chiarito in modo convincente e nitido la propria posizione. Che consiste nell’auspicio di un aumento del numero dei detenuti e del sovraffollamento delle celle, e nella speranza che il caldo possa aumentare le sofferenze per i prigionieri. In una discussione parallela “Fratelli d’Italia” e la Lega si sono anche pronunciati per il trattenimento in carcere dei bambini di qualunque età (superando la vecchia norma del codice Rocco, 1930, che aveva avuto la delicatezza di proibirlo), suscitando – per fortuna – le proteste furiose di Debora Serracchiani e di Maria Elena Boschi.

Ad esporre queste idee fasciste – in modo esplicito – è stato il deputato Gianluca Vinci, che ha parlato in forma solenne e accompagnato dagli applausi a scena aperta dei colleghi del suo gruppo.
Vinci ha spiegato che quando ci si lamenta perché il numero dei detenuti, in un anno, è aumentato di 4000 unità, dalla sua parte politica invece si esulta, perché questo vuol dire che sono stati eliminati dalle strade 4000 criminali. Poi si è scagliato contro le misure alternative, i domiciliari, le liberazioni anticipate, la proposta di legge Giachetti, e contro chi si duole per le condizioni impossibili di vita nelle celle, spiegando che in fondo c’è tanta gente che vive in condizioni impossibili anche libera nei propri quartieri.

La dichiarazione politica di “Fratelli d’Italia” ha coinciso con l’attacco frontale del “Fatto Quotidiano” contro l “’ordine del giorno” presentato dal deputato di “Azione” Enrico Costa, che avrebbe dovuto accompagnare, e in parte attenuare, il pessimo decreto carceri (che aumenta i reati, le pene, le detenzioni, le punizioni…) riducendo le possibilità dei magistrati di adoperare il carcere preventivo. Nell’“ordine del giorno” si auspica che se una persona è incensurata e se il reato per il quale è sospettato (la parola giusta è questa: sospettato) non è un reato violento (stupri, ferimenti, uccisioni, sequestri), o mafioso, o di terrorismo, prevalga la presunzione di innocenza e non sia possibile l’arresto. L’“ordine del giorno Costa” – assolutamente ovvia conseguenza di qualunque concezione garantista e liberale dello Stato – è quanto di più insopportabile per una fetta importante del pianeta Procure. Le quali non nascondono la loro abitudine ad usare la carcerazione preventiva come strumento di indagine. E cioè come elemento di violenza fisica che induca il sospetto a confessare o ad accusare altri, a ragione o a torto. Un meccanismo molto simile alla vecchia tortura, abolita alla fine del 700.

Non è un mistero – anche se si dice pochissimo – che il carcere preventivo non è visto dalle Procure come strumento di sicurezza sociale – e invece dovrebbe essere così – ma come attrezzo del mestiere per i Pm. E infatti della piccola – piccolissima – riforma della giustizia scritta da Nordio, l’unico elemento positivo – osteggiatissimo dai magistrati e dai partiti politici che li sostengono – è la decisione che non possa un Gip (giudice delle indagini preliminari) da solo firmare un ordine di arresto, ma che i magistrati a decidere sulla privazione della libertà siano tre. È un modo per provare a frenare la sopraffazione dei Pm nei confronti degli imputati, e questo non piace al fronte giustizialista. Ora ognuno può pensarla come vuole. Ma quando si legge di queste posizioni politiche reazionarie, chiunque conosca le categoria fondamentali della politologia non può che definirle fasciste. L’uso del carcere e del dominio incontrastato delle persone “perbene” e dei magistrati, è una caratteristica dei regimi autoritari. E qui in Italia il simbolo storico dell’autoritarismo è il fascismo.

Io francamente non credo che ci sia nulla di fascista nel contestare la fragilità e l’inconsistenza di una sentenza di condanna – come ha fatto l’onorevole Mollicone su Bologna – solo perché quella sentenza ha condannato – probabilmente, peraltro, in moto ingiusto – dei fascisti. Mollicone ha solo fatto notare alcune ovvietà sull’inchiesta di Bologna, che è un colabrodo. Non c’entra niente il fascismo. Del resto, devo dire che a me interessa pochissimo anche il fatto che nel simbolo di Fratelli d’Italia ci sia la fiamma di Almirante. Affari loro. Se un fascista andasse in giro esaltando Almirante e poi si adoperasse per svuotare le carceri, per accogliere i naufraghi e i migranti, per chiudere i Cpr, per finanziare le Ong, e per imporre il salario minimo e l’abolizione del caporalato, francamente io gli batterei le mani. Il problema è che questo fascista non c’è. La debolezza del nostro antifascismo è tutta qui, ed è un problema: ci si accanisce sul folclore e non ci si accorge che il fascismo passa, e corre come un fiume, nelle leggi, nei provvedimenti, nel senso comune, nello spirito pubblico. Protetto e incoraggiato dal forcaiolismo della destra e dal giustizialismo qualunquista che dilaga anche nell’opposizione.

 

 

 

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