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Messico: Carovana migrante aggredita dalla Guardia Nacional

Una nuova carovana migrante composta da un migliaio di persone, in prevalenza di origini haitiane, è partita sabato scorso dalla città di frontiera messicana Tapachula ed è stata brutalmente aggredita dalla Guardia Nacional, dall’esercito e dai funzionari della INAMI nel tentativo di bloccargli il passaggio.

La nuova carovana è partita dalla “porta sul retro” della frontiera statunitense, come è stata ribattezzata la città di Tapachula, al confine con il Guatemala. Secondo i dati statistici a Tapachula ci sono attualmente almeno 125 mila migranti, di cui circa 5 mila haitiani e 3 mila centro americani e cubani in attesa di risposta alla richiesta dello status di rifugiati.

E proprio il ritardo delle istituzioni nel rispondere alle richieste di asilo è uno dei motivi che ha spinto i migranti a lasciare la città: a fronte dei tre mesi previsti dall’iter burocratico, la maggioranza dei migranti è in attesa anche da un anno e nell’attesa si è abbandonati al proprio destino, senza alcun aiuto, con il divieto di lasciare la città e con il rischio costante di finire in una retata e di essere deportati al paese di origine. Sempre più a fuggire da violenze e miseria e a tentare la sorte sono famiglie con bambini anche piccoli, adolescenti, donne sole che vedono nella migrazione l’unica possibilità di vivere una vita con dignità.

Il drammatico quadro è completato dalle preoccupanti notizie secondo cui da diverse settimane Messico e Stati Uniti hanno dato il via a un’intensa attività di deportazione di massa di migranti irregolari e talvolta pure regolari. Scrive il giornalista guatemalteco Asier Vera in un reportage dalla frontiera di El Ceibo, che nelle ultime settimane le autorità statunitensi e messicane hanno abbandonato al di là del confine messicano migliaia di migranti e talvolta senza neppure avvertire le autorità guatemalteche.

I migranti sono letteralmente abbandonati in mezzo al niente, senza soldi e dove non esistono infrastrutture in grado di accoglierli e di provvedere alle necessità primarie, con il rischio di finire in pasto ai “coyote” e alla criminalità. Questa nuova ondata di deportazioni sta avvenendo sotto il “Titolo 42”, evocato da Donald Trump e mantenuto da Joe Biden, che permette di deportare i migranti che sono considerati un pericolo per la salute pubblica. Sono talmente un pericolo per la salute pubblica che non vengono minimamente controllati, complice la carenza del personale guatemalteco preposto, finendo per entrare in Guatemala senza aver fatto un tampone o un semplice controllo della temperatura corporea.

È in questo clima che pochi giorni fa è divampata la protesta dei migranti bloccati a Tapachula, che ha portato poi alla formazione della carovana e alla sua partenza. Stanchi dei continui rinvii della COMAR (Comisión Mexicana de Ayuda a Refugiados), nella mattinata di sabato almeno 800 persone, quasi tutte con richiesta di asilo aperta, sono partite da Tapachula diretti al nord.

Non tutti hanno come obiettivo il sogno americano: intervistati dai reporter presenti, in molti hanno dichiarato che l’obiettivo è andarsene dal Chiapas, Stato che non garantisce di vivere con dignità e dove è impossibile trovare lavoro per mantenersi, e di provare a ricostruirsi una vita in un altro Stato messicano. Con il passare delle ore, ai primi 800 migranti se ne sono aggiunti altri 400 circa: la maggioranza proviene da Haiti paese che da anni sta vivendo una crisi sociale pesantissima, aggravata nelle ultime settimane dall’assassinio del contestato presidente Moïse e da un devastante terremoto. Ma ci sono poi anche molti cittadini centro americani, cubani, venezuelani è pure dalla Guinea Equatoriale.

Dopo soli 30 chilometri, nel municipio di Huehuetán, la carovana si è trovata di fronte l’esagerato dispiegamento di forze di Guardia Nacional, esercito e funzionari del INAMI (Instituto Nacional de Migración). Le forze armate non hanno usato mezzi termini nel cercare di contenere la carovana, come da ordini impartiti dall’alto, colpendo con calci e pugni chiunque, anche donne e genitori con bambini in braccio. I fuggitivi sono stati rincorsi, o forse sarebbe il caso di dire “cacciati”, fin dentro alla selva. Le immagini della violenta repressione hanno suscitato indignazione, per la disumanità e le violazioni dei diritti umani mostrate dalle forze armate messicane contro persone indifese, rifugiati, donne, bambini.

Dopo questo primo attacco tuttavia la carovana si è ricompattata ed è riuscita a rompere l’accerchiamento e a proseguire il proprio cammino verso il nord. Dopo 13 ore e 42 chilometri di cammino, il grosso della carovana è arrivato nel Municipio di Huixtla dove si è fermato per pernottare. Il bilancio della giornata è stato di vari migranti feriti (a cui non è stata prestata attenzione medica) e di una cinquantina incapsulati e rispediti a Tapachula per essere, probabilmente, deportati in seguito.

In un lungo comunicato, il Colectivo de Observación y Monitoreo de Derechos Humanos del Sureste Mexicano (COMDHSM) ha denunciato le ripetute violazioni dei diritti umani commesse dalle forze armate messicane: «A partire dalle 16 abbiamo osservato un crescente dispiegamento di forze di sicurezza […] all’altezza di Chamulapa, municipio di Huehuetaán. Successivamente, gli elementi delle forze di sicurezza hanno bloccato il cammino della carovana cominciando ad arrestare le persone facendo un uso eccessivo e illegittimo della forza. Le persone sono state disperse e sono scappate tra i monti o attraverso il fiume; altre hanno proseguito sulla strada. Per varie ore, sotto la pioggia e facendosi sera, l’operazione è proseguita aggredendo e detenendo i membri della carovana. Abbiamo documentato persone con lesioni e ferite derivate dalle aggressioni della Guardia Nacional, dell’esercito e del INM, e l’attenzione medica è stata carente e tardiva. Abbiamo documentato inoltre, situazioni di separazione familiare e di una minore scomparsa».

Nella giornata di domenica, la carovana è ripartita presto da Huixtla verso Villa Comaltitlán proseguendo il suo cammino verso nord senza problemi anche grazie all’accompagnamento di alcuni membri della Comisión Nacional de Derechos Humanos. Tuttavia, il prosieguo del viaggio è ancora incerto: il presidente López Obrador ha commentato i fatti dichiarando che il Messico continuerà con la politica dei respingimenti e del blocco del flusso migratorio, come da accordi pattuiti con gli Stat Uniti.

Ancora una volta il governo di López Obrador si dimostra intransigente con i migranti dimostrando come la sua “quarta trasformazione”, sia solo un’opzione politica al servizio del sistema capitalista e contro i los de abajo: un’opzione forse più moderata ma in concreto non molto differente dalle esperienze che l’hanno preceduto e che garantiscono al sistema stesso di riprodurre gli stessi meccanismi di sfruttamento della popolazione e dei territori.

Christian Peverieri

da Global Project