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Messico: la resistenza indigena sempre “sotto tiro”

Mentre nella Selva Lacandona la comunità zapatista del “6 Ottobre” viene minacciata a mano armata da chi vorrebbe espropriarla della terra, a Città del Messico gli Otomi resistono attivamente nell’occupazione di un antico stabile trasformato in “Casa dei Popoli”

di Gianni Sartori

Con un comunicato l’Ejército Zapatista de Liberación Nacional (EZLN) ha denunciato una serie di incresciose aggressioni nei confronti della comunità zapatista del villaggio “6 Ottobre” nella Selva Lacandona.

Tale Base di appoggio dell’EZLN (BAEZLN) viene minacciata da numerosi individui armati con armas largas de alto poder (armi lunghe ad alta potenza). Forse per sottometterla (”arruolarla”?) a qualche rete del crimine organizzato. Nel comunicato, diffuso dal Subcomandante Insurgente Moisés in nome del Comité Clandestino Revolucionario Indígena-Comandancia General del EZLN, si precisa che le minacce di tali figuri (in gran parte provenienti dalla comunidad Palestina e tra cui si trovavano anche funzionari comunali del municipio di Ocosingo) erano rivolte soprattutto contro bambini, donne, anziani. Minacce di “violación a mujeres, quema de casas y robo de pertenencias, cosechas y animales”.

Scopo evidente, terrorizzarli e sfrattarli dalle terre che occupano e coltivano ormai da oltre 30 anni.

In precedenza, posti di fronte a recenti minacce similari, gli esponenti zapatisti del Gobierno Autónomo Local del “6 de Octubre” e l’assemblea dei Colectivos de Gobiernos Autónomos Zapatistas del Caracol Jerusalén, avevano tentato – invano evidentemente – di dialogare.

La situazione appare alquanto complessa. Anche tra gli stessi abitanti di Palestina vi è chi denuncia minacce e pressioni da parte del crimine organizzato affinché “vengano scacciati le nostre compagne e i nostri compagni del 6 Ottobre”. Inoltre sarebbe confermato che “vi sono accordi precisi tra il crimine organizzato e forze interne alle istituzioni governative per fornire un aspetto legale a questi sfratti brutali”.

Addirittura, alcune funzionari comunali di Palestina che prendevano parte alle azioni per allontanare gli zapatisti, avrebbero sfrontatamente ammesso di avere dalla loro parte sia le autorità comunali di Ocosingo, sia quelle governative (dello Stato del Chiapas). Con precise direttive per ottenere le concessioni di proprietà delle terre forzatamente espropriate.

Torna alla memoria il metodo ampiamente utilizzato in Colombia nei decenni passati quando, prima di massacrare indios e contadini poveri, gli squadroni della morte facevano firmare alle loro vittime i passaggi di proprietà. Da segnalare che fino al recente cambio politico (con una nuova gestione a livello di governo comunale), gli abitanti del “6 de Octubre” avevano convissuto pacificamente con le altre comunità della zona.

Forse non accade casualmente. Questa comunità zapatista sotto minaccia era una delle sedi prescelte per la celebrazione degli “Encuentros de Resistencia y Rebeldía 2024-2025”. Previsti per l’ultima settimana di dicembre e i primi mesi del 2025. Con varie attività culturali in occasione del 31° anniversario di quello che è passato alla Storia come l’alzamiento armado del 1gennaio 1994.

Di conseguenza l’EZLN ha annunciato che “di fronte all’attuale violenza, consapevoli del grave deterioramento della situazione, sospendiamo ogni comunicazione e informazione su tali incontri”. Incontri che potrebbero anche venir sospesi per garantire la sicurezza delle comunità zapatiste nel Chiapas.

Agli zapatisti “sotto tiro” è giunta immediatamente la solidarietà del Congreso Nacional Indígena – Concejo Indígena de Gobierno”.

Il CNI-CIG ha condannato quanto sta avvenendo pretendendo “justicia y respeto” per le basi di appoggio zapatiste del “6 de Octubre” nel Caracol di Jerusalem.

Prendendo posizione contro quella parte della popolazione di Palestina che “con l’appoggio delle autorità municipali e statali, sta tentando di spogliare delle proprie terre la comunità”.

In conclusione il CNI-CIG ha voluto assicurare che l’EZLN “no está solo”.

Appellandosi alla solidarietà nazionale e internazionale per “porre un freno alla violenza e difendere l’autonomia zapatista”.

Sempre in Messico, in questi giorni è tornata alla ribalta un altro caso di resistenza indigena, quella degli Otomi di Città del Messico.

Da quattro anni (dal 12 ottobre 2020, una data non casuale) un antico edificio di Ciudad de Mexico, l’Instituto Nacional de los Pueblos Indígenas (ora ribattezzato Casa de los Pueblos Samir Flores ) è occupato dal popolo otomi e riconvertito in un centro di Resistenza indigena contro l’emarginazione sociale e contro i grandi progetti estrattivi e inquinanti. Non secondariamente, funziona anche come supporto locale per il movimento zapatista.

Gli otomi, sono un antico popolo indigeno del Messico centrale (valle del Mezquital e della Barranca de Meztitlán, Querétaro, Michoacán,Tlaxcala…). Espropriati delle loro terre ancestrali col metodo dell’encomienda (diventata uno strumento di colonizzazione e di cristianizzazione forzata degli autoctoni), così come durante le rivoluzioni dei secoli scorsi si erano schierati con la ribellione, anche ai nostri giorni mantengono un sana postura resistenziale di fronte all’etnocidio strisciante della globalizzazione neoliberista. Lottando, come hanno dichiarato, per “preservare culture, lingue, forme di vita e autogoverno indigeni”.

Non per niente, celebrando il quarto anniversario dell’occupazione dello stabile (il 12 ottobre), hanno ricordato anche un’altra scadenza, il 532° anniversario dell’inizio della colonizzazione dell’America Latina.

Espropriati, dispersi, diseredati… molti otomi nella seconda metà del secolo scorso si inurbarono, soprattutto a Città del Messico. Costretti spesso a dormire in strada, esposti ai pericoli di una metropoli violenta. Soprattutto i bambini e le donne. Chissà, forse pensava anche a loro il subcomandante Marcos (poi Galeano) quando scriveva (vado a memoria): “Sono un curdo tra le montagne, un anarchico nelle guerra di Spagna, una donna sola di notte a città del Messico…”.

Dopo il terremoto del 1985, molti tra loro si adattarono a vivere negli edifici lesionati e abbandonati (in particolare nella zona della Colonia Juarez e della Colonia Roma). Per “dare almeno un tetto ai nostri figli”. Ma un altro terremoto nel 2017 provocò il crollo definitivo o comunque rese inabitabili molti degli edifici occupati. Da allora vissero nelle tende, accampati davanti alle macerie. Con tutti i problemi immaginabili. Dalla mancanza di acqua alle difficoltà per consentire ai bambini la frequentazione della scuola.

Per l’acqua ricorrevano a vari espedienti, approfittando se possibile dei momenti di irrigazione dei parchi pubblici o degli alberi lungo i viali. Per analogia, ricordo quanto mi raccontavano le donne delle bidonville sudafricane all’epoca dell’apartheid: entravano di nascosto nei cimiteri dei bianchi e usavano l’acqua delle fontanelle (quelle per i fiori) per lavare gli abiti dei familiari. Si impara ad arrangiarsi, da proletari.

I tentativi di dialogo con le istituzioni per ottenere altre abitazioni o un aiuto per costruirsele, risultarono infruttuosi. Inoltre talvolta erano attaccati dagli abitanti della zona e le loro tende incendiate. Oltre naturalmente a venir periodicamente smantellate dalla polizia (con scontri, feriti e arresti). Per cui, dopo alcuni anni passati all’addiaccio (molto duri soprattutto nella stagione delle piogge), decisero come comunità di occupare l’edificio in questione.

Dove sono intenzionati a rimanere.

 

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Comments ( 1 )

  • Gianni Sartori

    IN ONORE DI PAUL VARRY (C’est ce contre quoi il se battait qui l’a tué…)

    Gianni Sartori

    La brutale uccisione di un ciclista a Parigi (volontariamente investito da un SUV) ripropone la drammatica questione delle vittime della motorizzazione (in primis, pedoni e ciclisti),
    In Francia oltre 230 manifestazioni in sua memoria il 19 ottobre

    Esistono molteplici contraddizioni. Innumerevoli forme di oppressione e sfruttamento. Galassie di ingiustizie.

    Pretendere anche solo di comprenderle tutte (di risolverle neanche parlarne) sarebbe solo presunzione.

    Tuttavia di alcune possiamo cogliere – qui e ora – tutta l’evidenza. Ragionarci sopra, valutarle, “criticarle kantianamente”…poi si vedrà…

    Citando alla rinfusa: tra padroni e servi, capitale e lavoro, maschi e donne, colonizzatori e indigeni, imperialisti e popoli oppressi, britannici e irlandesi, franchisti e repubblicani…

    Ma anche, si parva licet (parva ?), tra cacciatori e animalisti, tra chi si pavoneggia con il pitbull (senza colpa del pitbull, ovvio) e chi porta a spasso il bastardino adottato al canile, tra chi sgomma col SUV e chi pedala…

    Ecco, questo è il nostro caso.

    Il 15 ottobre, a Parigi, a seguito di un alterco ai margini di una pista ciclabile, un automobilista avrebbe investito volontariamente un ciclista, Paul Varry (27 anni).

    Sabato 19 ottobre, in memoria del giovane brutalmente ucciso, molte associazioni di ciclisti si son date appuntamento in oltre 230 rendez-vous (in genere davanti ai municipi delle città francesi, alle ore 17,45). Per onorarlo e per dire “stop aux violences motorisées”.

    Conosciuto per il suo impegno nella difesa della mobilità dolce, Paul era originario di Saint-Ouen (Seine-Saint-Denis) e membro attivo dell’associazione Paris en selle. Responsabile di tale associazione per Saint-Ouen e Saint-Denis, recentemente aveva partecipato alla redazione di un “libro bianco” per pedoni e ciclisti di questi due comuni di Île-de-France. Un lavoro che aveva largamente influenzato l’operato della municipalità nello sviluppo della mobilità dolce.

    Ricordandolo, un amico ha voluto sottolineare che “è stato ucciso da quello contro cui si batteva. Una lotta la sua – aveva concluso amaramente – che alla fine gli è costata la vita”.

    L’appello per le manifestazioni in sua memoria (“Pour Paul, disons stop à la violence motorisée”) era partito venerdì 18 ottobre dalla Fédération française des usagers de la bicyclette (Fub). Immediatamente ripreso e rilanciato da molteplici associazioni locali.

    “Questa iniziativa – ha spiegato un portavoce della Fub – è un messaggio per i nostri dirigenti politici: basta con la violenza motorizzata. E’ venuto il tempo di comprendere quale sia la realtà del nostro vivere quotidiano e di prendere le misure necessarie per evirare altri drammi come questo!”

    Già nel giorno successivo al tragico episodio (un crimine, comunque la si veda), la Fub avava organizzato un primo rassemblement nell’8° arrondissement di Parigi a cui, nonostante il breve preavviso, avevano partecipato centinaia di persone. Presente all’iniziativa, suo fratello Antoine lo ha descritto come “una persona dolce, sensibile,sempre disponibile per gli altri”. Assicurando che porterà avanti le stesse battaglie:“Pour la mémoire de mon frère, on se battra, le temps qu’il faudra”.

    Il drammatico episodio non ha lasciato indifferente nemmeno il sindaco di Parigi, Anne Hidalgo. Esprimendo il desiderio che “un luogo di Parigi porti il nome del giovane ciclista” brutalmente ucciso. In suo onore verrà osservato un minuto di silenzio all’apertura del prossimo Consiglio di Parigi, il 19 novembre.

    Gianni Sartori