Migranti: Il disumano oltre gli “Hotspot”. I centri di accoglienza italiani verso il default di sistema
Malgrado la sostanziale stabilità negli anni del numero degli arrivi nei porti italiani, dopo interventi di soccorso in acque internazionali, continua la gestione di stampo meramente emergenziale degli “sbarchi” di migranti (tra cui numerosi minori non accompagnati, donne in stato di gravidanza e persone vittime di torture o con grave disagio psichico).
Sono aumentate anche le attese per formalizzare le richieste di asilo, fino a tre mesi ed oltre, nei quali i migranti sono stati abbandonati in un limbo giuridico senza alcuna informazione certa sul loro futuro. Per molti minori non accompagnati arrivati con età superiore ai sedici anni la lunghezza delle procedure burocratiche, o l’inerzia di gestori e servizi sociali dei comuni, rischiano di compromettere le possibilità di mantenere una condizione di soggiorno regolare, anche a fronte delle resistenze delle questure a rilasciare i permessi di soggiorno per minore età. Sembra ormai superato il punto di non ritorno, nel disfacimento del sistema di accoglienza, sempre in crescita numerica, ma con un abbattimento degli standard al di sotto del rispetto minimo della dignità umana, anche per effetto degli sbarramenti alle frontiere con Francia, Svizzera, Austria, e dei continui respingimenti che fanno accrescere gli accampamenti spontanei, al di fuori di qualsiasi circuito di accoglienza. Sono mesi che a Bolzano si lamenta una situazione di difficoltà nell’accoglienza di coloro che vengono respinti alla frontiera del Brennero, ma le misure amministrative adottate dalla Provincia autonoma continuano a negare un effettivo accesso al diritto all’accoglienza.
Anche nelle regioni meridionali la situazione è sempre più critica. Le continue fughe dai centri di prima accoglienza confermano il desiderio di molti migranti di trasferirsi al più presto in altri paesi europei, ma sono anche frutto del fallimento, se non dell’assenza, di un sistema regionale di prima accoglienza, capace di garantire in tempi brevi il passaggio alla seconda accoglienza. Se a questa circostanza sommiamo la percentuale elevatissima di dinieghi adottati dalle Commissioni territoriali, e la prolungata presenza dei ricorrenti all’interno del sistema di accoglienza, talvolta anche per due anni, si ottiene la prova inconfutabile di una situazione di degrado sistemico, che non permette all’Italia di rispettare gli standard previsti dalle Direttive europee in materia di accoglienza. L’accoglienza dei migranti non può ridursi, come avviene sempre più spesso, a questione di ordine pubblico.
Dopo che i compiti di coordinamento sono stati affidati ad un Tavolo nazionale e quindi alle prefetture, con il Piano nazionale adottato il 10 luglio 2014, è mancata una vera capacità di programmazione a livello regionale ed i Tavoli regionali di coordinamento, soprattutto in alcune regioni come la Sicilia, hanno funzionato poco e male. In alcune aree di sbarco ha fornito risposte migliori l’organizzazione sanitaria, soprattutto nella fase della prima accoglienza, ma una volta uscite dalla barriera dei porti le persone sono rimaste troppo spesso in condizioni di abbandono, anche dal punto di vista sanitario. Molti hanno trovato, dopo il salvataggio in mare e lo sbarco a terra, un sistema di accoglienza che non è stato in grado di fare fronte alle loro esigenze. Il disagio dei primi mesi è poi diventato frustrazione e rabbia, ed ormai non si contano più le proteste e gli episodi violenti, in qualche caso anche tra i migranti stessi o tra questi e gli operatori. Una situazione che occorre affrontare con urgenza. Non si può continuare a lungo a confinare i migranti in luoghi sperduti, magari in montagna o in una zona abbandonata, lontani da ogni possibilità di cura e di assistenza.
L’emergenza non è stata determinata soltanto dal numero delle persone che arrivano, o dalla eccessiva durata della permanenza dei migranti all’interno dei centri, ma dalla mancanza di un sistema di accoglienza strutturato e dotato di adeguati livelli di professionalità. Quello che viene garantito sulla carta dalle Convenzioni stipulate con i privati, non si riscontra quasi mai durante le visite. Le scelte dei singoli prefetti, che hanno predisposto piani di accoglienza a livello provinciale, puntando soprattutto sui centri di accoglienza straordinaria (cd. CAS), si sono dimostrate alla prova dei fatti, del tutto inadeguate. Il meccanismo di trasferimento dei minori non accompagnati in altre regioni italiane è partito troppo tardi, nella seconda metà dell’anno, e non ha ancora alleviato la situazione di emergenza, anche dal punto di vista sanitario, che è stata scientificamente prodotta nelle regioni come la Sicilia, la Calabria e la Puglia, più esposte agli sbarchi. Il numero crescente di dinieghi da parte delle Commissioni territoriali, e di ricorsi che ne conseguono, pesa come un macigno sulla sostenibilità complessiva dei sistemi di accoglienza determinando un prolungamento a tempo indeterminato dei periodi di alloggio.
L’Italia non è ancora riuscita ad ottenere una modifica del Regolamento Dublino III, che inchioda nel primo paese d’ingresso dell’area Schengen i richiedenti asilo, anche quando hanno familiari già legalmente presenti in altri paesi UE, a fronte della lentezza e della farraginosità, oltre che dall’incerto esito delle procedure di determinazione di una ulteriore competenza prevista dal Regolamento Dublino. Le proposte di modifica del medesimo regolamento rischiano di penalizzare ulteriormente gli stati più esterni, come la Grecia e l’Italia, ampliando i casi di riammissione dei minori non accompagnati. E’anche fallita la promessa della Relocation, fulcro dell’Agenda europea sulle migrazioni adottata a Bruxelles nel maggio dello scorso anno, dopo la tragedia del 18 aprile 2015, quando perirono in mare oltre 800 persone. Rispetto ad oltre 40.000 persone che si sarebbe dovuto trasferire verso altri paesi europei entro la fine del 2016, ne sono stati trasferiti soltanto 1500 circa, ed oltre 4000 persone, riconosciute meritevoli di ritrasferimento, sono ancora intrappolate negli Hub regionali per l’accoglienza, in particolare a Villa Sikania, a Siculiana in provincia di Agrigento, ed a Castelnuovo di Porto, nei pressi di Roma.
Tutti i provvedimenti amministrativi che riguardano i potenziali richiedenti asilo, soprattutto le assegnazioni alle strutture di prima accoglienza ed i trasferimenti, continuano ad essere decisi dalle singole prefetture di concerto con i vertici del ministero dell’interno, sulla base di disponibilità numeriche, senza alcuna attenzione per la diversa nazionalità, e tengono conto della possibilità di utilizzare dopo strutture alberghiere, persino ospizi e case per anziani, caserme e tendopoli. Piuttosto che verso l’accoglienza decentrata in strutture medio-piccole si è preferito privilegiare la crescita di grosse strutture di accoglienza, anche per diverse centinaia di “ospiti”, con un ulteriore favore alle consorterie che possono gestire gli appalti più grandi, da decine di milioni di euro all’anno, in un regime di sostanziale monopolio. Continua lo scandalo del megaCara di Mineo, seppure sotto gestione commissariale, ma ancora in piena funzione e con il rischio di una parziale trasformazione in Hotspot.
Il rapporto tra prefetture ed enti gestori rischia di alimentare ancora per anni un pericoloso business in quanto non esistono sistemi efficaci di monitoraggio e le prefetture, al di là dei requisiti formali che richiedono, non riescono a verificare quotidianamente le modalità di gestione dei centri. Le indagini avviate dalla magistratura con l’inchiesta “Mafia Capitale” hanno cominciato a svelare soltanto la punta di un iceberg, ma i gestori sono sempre gli stessi e non si ha certezza sui tempi e sull’esito dell’inchiesta. Questo accresce ulteriormente la situazione di incertezza che si respira dentro e fuori i centri di accoglienza variamente denominati ( e gestiti). Anche la Commissione di inchiesta della Camera sui centri per stranieri, dopo due anni di lavori, non è ancora riuscita ad adottare una relazione sulla scandalosa situazione del Cara di Mineo. Nel frattempo l’Italia continua a fornire “assicurazioni” agli altri partners europei che richiedono riammissioni in base al Regolamento Dublino, di avere centri di accoglienza adeguati per ricevere le persone o i nuclei familiari di cui gli altri stati europei si vogliono sbarazzare. Eppure la condizione dei cd. “Dublinati” rimane particolarmente difficile dopo il loro rientro in Italia, ed in molti casi non è stato neppure garantito il loro diritto ad una procedura tempestiva ed a un’accoglienza dignitosa. Sono situazioni che vanno documentate nel modo più dettagliato, per offrire agli avvocati che negli altri paesi si battono per impedire i trasferimenti Dublino verso l’Italia, dossier che costituiscano prova dell’inadempienza sistematica dell’Italia agli obblighi di un’accoglienza dignitosa affermati nelle Direttive europee.
E’ immediatamente necessario attivare effettivamente in tutte le regioni i tavoli di coordinamento regionale con i prefetti, le questure, l’ANCI regionale e con i comuni nei quali trovano accoglienza i richiedenti asilo ed i profughi. In Sicilia il Tavolo regionale di coordinamento previsto dal Piano nazionale per l’accoglienza varato il 10 luglio 2014 non esiste ancora. Occorre garantire attraverso i tavoli di coordinamento una gestione più partecipata, e dunque trasparente, dell’accoglienza. Va assicurata una gestione umana, in linea con gli standard europei, della prima accoglienza, senza ingolfare il sistema dei centri Sprar gestiti dai comuni con persone appena sbarcate dopo essere state soccorse in mare. Al tempo stesso occorre bilanciare il numero dei centri SPRAR rispetto al numero molto più consistente dei Centri di accoglienza straordinaria (CAS) in modo da garantire la mobilità verso strutture che garantiscano tutele ed integrazione, come prefigurato dal decreto legislativo n.142 del 2015. Vanno istituiti osservatori provinciali indipendenti per verificare la correttezza della gestione e le modalità di erogazione dei servizi. Vanno garantiti criteri più equilibrati di distribuzione dei migranti nelle regioni e nei comuni, come adesso ricorda anche l’ANCI.
Il sistema di accoglienza rimarrà tuttavia irrecuperabile se non si interverrà sulle procedure e sui tempi necessari per il riconoscimento della protezione internazionale o umanitaria ( ed ancora prima per l’accesso alla medesima procedura). Occorre velocizzare al massimo il lavoro delle Commissioni territoriali competenti a decidere sulle domande di asilo, che ancora, malgrado l’aumento delle sedi e del numero dei componenti, non sono ancora riuscite a smaltire l’enorme arretrato che si è accumulato, con anni di attesa per i richiedenti asilo. Per tutti coloro che provengono da aree di guerra, come oggi può definirsi anche la Libia, andrebbero adottate misure di protezione temporanea che consentano loro rapidamente, a domanda, il conseguimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, e un documento di viaggio valido per tutti i paesi dell’Unione Europea. Coloro che hanno ricevuto un diniego, ma sono presenti da anni nel nostro paese, dovranno avere diritto ad un riesame individuale della propria posizione in base all’inserimento sociale fin qui maturato. Si potrebbe pensare poi a visti di ingresso validi per tutti i paesi europei, per ragioni umanitarie, in modo di salvaguardare le vite dei migranti forzati e di contrastare le organizzazioni di trafficanti ed agevolatori di vario tipo che prosperano sullo sbarramento degli accessi.
Occorre nel contempo garantire la tutela dell’unità familiare dei profughi con familiari regolarmente residenti in altri paesi europei ed agevolare il sollecito ricongiungimento come prescritto dal vigente Regolamento Dublino III. In assenza di qualsiasi apertura da parte dei partner europei, occorre sospendere anche unilateralmente il Regolamento, o quantomeno rifiutare l’inoltro delle richieste di riammissione, a fronte della inadempienza da parte degli Stati che non hanno garantito la” Relocation ” promessa nel maggio del 2015 con l’Agenda europea sulle migrazioni, ed ormai di fatto superata dalla più recente Roadmap adottata nel Vertice europeo di Bratislava, qualche settimana fa.
Con le ultime decisioni del Consiglio europeo si è giunti al punto di esentare dalla Relocation quei paesi che, per le corrispondenti quote, si impegnino a ricevere profughi siriani dalla Turchia (Resettlement). Rispetto alle richieste di Grecia ed Italia per un effettivo rispetto degli impegni di ritrasferimento assunti con l’Agenda Europea sulle migrazioni, si è risposto blindando la rotta balcanica e favorendo i paesi più restii ad ammettere nel loro territorio anche piccoli gruppi di migranti transitati dalla Grecia e dall’Italia.
In Italia è mancata una effettiva capacità di integrazione alla fine dei percorsi di accoglienza. Allo stato della vigente legislazione nazionale e regionale, vanno individuati percorsi per portare all’autonomia il maggior numero degli immigrati accolti nei centri di accoglienza, promuovendo occasioni di integrazione ed avviamento al lavoro legale, contrastando lo sfruttamento del lavoro nero attorno alle strutture di accoglienza CARA, chiudendo strutture ormai ingovernabili come il CARA di Mineo (Catania), dove si verifica, anche per il blocco del turn-over, la presenza di oltre quattromila persone, alcune delle quali neppure censite. Anche in questo caso il governo regionale e quello nazionale non possono continuare ad ignorare la gravità dei problemi creati da una struttura enorme che grava su un territorio assai povero di servizi e di occasioni di lavoro nella legalità.
Rispetto alla situazione dei minori non accompagnati, occorre che le Regioni si rivolgano allo Stato perché provveda ad erogare con la massima tempestività le somme dovute ai Comuni, sulla base degli accordi stabiliti con i diversi governi, trattandosi di competenze dello Stato centrale. Si deve impedire che nelle regioni di primo arrivo, come la Sicilia, si prosegua con la prassi secondo la quale il collocamento dei minori avviene, da parte dell’autorità di polizia, o delle Prefetture, direttamente presso le strutture di accoglienza, al di fuori di qualsiasi piano regionale, e spesso senza il preventivo intervento del giudice minorile, e senza un previo accordo negoziato con gli enti locali territorialmente competenti.
Il garante nazionale per i minori dovrebbe accertare le condizioni reali di accoglienza nelle strutture che vengono utilizzate con le più diverse tipologie e spesso senza il personale richiesto dalle convenzioni. Dovrebbero essere sottoposti a continua verifica i raccordi tra i centri di accoglienza, le strutture scolastiche ed i servizi sanitari presenti sul territorio, per evitare che si ripetano i casi di abbandono già segnalati nel corso del 2014 in diverse regioni italiane. Sulle strutture di accoglienza per minori andrebbe effettuato un monitoraggio continuo, affidato ad associazioni ed enti indipendenti, non legati agli enti gestori e non convenzionati con il ministero dell’interno, una attività essenziale per non disperdere risorse pubbliche con grave danno per gli operatori e per i migranti, una attività doverosa che fin qui si è svolta solo in rare occasioni. Le strutture di prima accoglienza che sono state utilizzate in Sicilia, non risultano idonee all’accoglienza di minori stranieri fortemente traumatizzati. I nuovi centri di accoglienza straordinaria per minori, fino a 50 posti, che dovranno essere attivati in altre regioni dopo la circolare ministeriale a partire dal 23 agosto scorso, non sono ancora andati a regime ed i trasferimenti sono ancora lentissimi.
Un aspetto ulteriore è poi quello dei minori non accompagnati richiedenti asilo rispetto ai quali, nonostante la norma ponga chiaramente in capo al Ministero dell’Interno la responsabilità, non ci sono certezze di sorta in merito alla copertura dei costi di presa in carico prima dell’entrata nel circuito SPRAR. In questi casi le Regioni dovrebbero rivolgere ai competenti ministeri la richiesta di una maggiore programmazione degli interventi e di una sollecita copertura delle spese sostenute dagli enti locali, l’attivazione di strumenti di mobilità, anche a livello internazionale, quando si tratti di garantire il ricongiungimento familiare verso altri paesi europei, come prescritto dal Regolamento Dublino.
Occorre in definitiva che l’Italia si metta in regola con un sistema di accoglienza corrispondente alle prescrizioni delle direttive dell’Unione Europea in materia di protezione internazionale, di accoglienza e di procedure. Solo in questo modo si potrà chiedere una modifica delle politiche europee in materia di immigrazione ed asilo, con la riapertura di canali legali di ingresso, il mutuo riconoscimento degli status di protezione, la revisione del regolamento Dublino, in modo da rispettare la libertà di autodeterminazione e l’unità dei nuclei familiari dei richiedenti asilo. Se di solidarietà europea si vuole parlare questa è la solidarietà che occorre, non certo la contribuzione nelle spese necessarie per armare polizie di frontiera o per ricompensare i dittatori che arrestano e respingono i migranti in fuga verso l’Europa.
Fulvio Vassallo Paleologo