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Migranti, quando l’emergenza è un alibi per il business

Nella gestione dei Cas, carenti di personale e di servizi, la rendicontazione è poco precisa. Il sistema degli Sprar, invece, prevede criteri più controllati, e oltre all’assistenza sono previsti formazione e mediazione culturale. Purtroppo vi hanno aderito solo 1200 comuni su 7.982

Il business sui migranti non si elimina chiudendo i porti, ma creando condizioni dove nessuno possa lucrarci sopra. La condizione ideale per lucrare è parlare di una emergenza che non c’è. Il ‘ business accoglienza’ si è sviluppato perché negli ultimi anni sono stati circa 130mila i migranti che si sono fermati in strutture temporanee, i famosi centri di accoglienza straordinaria ( Cas) da sempre saliti agli onor di cronaca per truffe, maltrattamenti, carenze di personale e mancanza di servizi essenziali. Centri nati, appunto, con la scusa emergenziale. A questi si con- trappongono i Sistemi di protezione richiedenti asilo e rifugiati ( Sprar) dove la rendicontazione delle spese è molto precisa, ci sono dei criteri fissati e qualsiasi variazione deve essere autorizzata. È tutto controllato, monitorato, blindato. Mentre nei Cas questo tipo di trasparenza non esiste: vince il bando della preespulsione) fettura chi presenta la migliore offerta economica. Per le spese basta fare una fattura, come vengono spesi i soldi non è rendicontato. E i controlli sono disomogenei e spesso fatti a campione. Lo Sprar, invece, ha il pregio di non essere solo assistenziale, ma oltre al vitto e alloggio, deve erogare servizi come la mediazione linguistica e culturale, corsi di lingua italiana, percorsi di formazione e professionali, orientamento e assistenza legale al fine di favorire l’integrazione.

L’accoglienza è prevista per sei mesi, rinnovabili per altri sei ed è comunque garantita fino alla decisione della Commissione territoriale oppure, in caso di ricorso, fino all’esito dell’istanza sospensiva.

Ma quanti comuni italiani hanno aderito al progetto Sprar? Basta andare a verificare i dati aggiornati a Marzo del 2018 e si evince che sono 1200 i coinvolti, però su un totale di 7.982 comuni. Una questione che sollevò Emma Bonino, la leader di “+ Europa”, sottolineando l’importanza della presa a carico dello Sprar da parte di tutti i comuni. Infatti, nel piano nazionale di ripartizione Richiedenti Asilo e Rifugiati presentato all’inizio del 2017, viene spiegato che 3.493 comuni al di sotto dei duemila abitanti dovrebbero accogliere 6 migranti ciascuno, mentre gli altri 4.491 comuni al di sopra dei duemila abitanti dovrebbero ospitarne in numero variabile in rapporto al numero di cittadini. Discorso a parte per 14 comuni capoluogo, che dovrebbero accogliere 2 rifugiati ogni 1.000 cittadini. Una gestione perfetta che, oltre a risollevare l’economia dei comuni ( crea lavoro attraverso l’assunzione del personale e indotti), non ci sarebbe la percezione di essere “invasi” visto la distribuzione omogena dei migranti.

Non a caso, con un decreto del ministero dell’Interno del 2016, era stata avviata una fase caratterizzata dalla valorizzazione e dal rafforzamento degli Sprar come modello di accoglienza diffusa incentrato sul ruolo degli Enti locali e imperniato sulla loro capacità di progettare servizi di accoglienza integrati in partenariato con il terzo settore e in rete col territorio. A partire dai primi mesi del 2017 l’associazione nazionale comuni italiani ( Anci) ha realizzato e messo a disposizione degli enti locali una serie di iniziative e di strumenti specifici di supporto per sostenere in modo stabile e fattivo i percorsi territoriali di adesione allo Sprar. Gli Enti locali hanno avuto la possibilità di inviare domande e ricevere risposte puntuali su una vasta gamma di argomenti relativi all’attivazione di uno Sprar, incluso il nuovo Codice degli appalti in relazione all’affidamento dei servizi e al reperimento delle strutture. Tutto in modo trasparente e funzionale all’integrazione dei migranti. Vale la pena ribadire e che il sistema Sprar prevede un approccio integrato all’accoglienza finalizzato a inserire il migrante non in un circuito meramente assistenziale ma in un percorso che, insieme ai servizi minimi materiali, lo accompagna verso l’integrazione sul territorio, a partire da un progetto personalizzato, promuovendo forme di ospitalità in piccoli centri nei quali i rifugiati gestiscono personalmente i loro spazi e sperimentano forme di autonomia. Tale modalità di accoglienza risulta estremamente più efficace rispetto alle grandi strutture collettive rappresentate dai Cas o da altre tipologie di centri. Ma finora il primato dell’accoglienza ce l’hanno ancora quest’ultimi. Negli ultimi anni sono stati circa 130mila i migranti che si sono fermati in queste strutture, mentre solo 30mila i migranti accolti negli Sprar. Quindi il business continua.

LE SIGLE DELL’ACCOGLIENZA

Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo. Sono strutture in cui vengono accolti i migranti appena giunti in Italia irregolarmente che intendono chiedere la protezione internazionale.

Sono gestiti dal ministero dell’Interno attraverso le prefetture, che appaltano i servizi dei centri a enti gestori privati attraverso bandi di gara.

Centri di Accoglienza Straordinaria. I centri di accoglienza straordinaria sono i vecchi centri della legge Puglia del 1995, gestiti da enti gestori improvvisati reperiti dalle prefetture.

Centri di Accoglienza. Sono strutture destinate a garantire un primo soccorso allo straniero irregolare rintracciato sul territorio nazionale. L’accoglienza nel centro è limitata al tempo strettamente necessario per stabilire l’identità e la legittimità della sua permanenza sul territorio o per disporne l’allontanamento.

CPR ( ex Cie)

Centri permanenti di rimpatrio. I nuovi centri, che dovrebbero ospitare al massimo 150 persone, passeranno dagli attuali 4 a 20 – in pratica uno per ogni regione – per un totale di 1.500- 1.600 posti. Utilizzate anche le strutture degli attuali cie ( centri di identificazione ed come quello di Ponte Galeria. Previsto l’accesso ai Centri per i rimpatri, senza autorizzazione, per gli stessi soggetti ammessi a visitare gli istituti penitenziari.

Centri di Primo Soccorso e Accoglienza. Sono le strutture create per ospitare all’arrivo, chi è entrato “irregolarmente” in Italia. In questi centri le persone ospitate dovrebbero ricevere le prime cure mediche necessarie, essere fotosegnalati, e ricevere, se richiesto, l’accesso a forme di protezione internazionali. A seconda della loro condizione, dovrebbero poi essere trasferiti nelle altre tipologie di centro. Con il realizzarsi del “sistema Hotspot” già oggi alcuni Cpsa hanno assunto questo nuovo ruolo ( ad esempio in Sicilia), altri risultano ancora avere la denominazione originaria.

Si tratta di centri già esistenti e attrezzati per identificare i migranti. Le strutture permettono di tenere in stato detentivo i migranti per un periodo di tempo limitato. Gli agenti sono impiegati per identificare i migranti che vogliono presentare richiesta d’asilo. Le forze dell’ordine procedono a registrare i dati personali dei richiedenti asilo, fotografarli e raccoglierne le impronte digitali entro 48 ore dal loro arrivo, eventualmente prorogabili a 72 al massimo.

Si tratta di strutture da far sorgere in ogni regione in cui ospitare temporaneamente ( non è ancora chiaro in quale regime) i migranti considerati passibili o di relocation o, altrimenti di restare in Italia nei centri di accoglienza di vario tipo in quanto aventi diritto a protezione umanitaria o internazionale. Si tratta di aree di smistamento di chi è riconosciuto come richiedente asilo.

Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati.

Istituiti dalla legge n. 189/ 2002, i centri Sprar sono le strutture dove i migranti arrivano non appena escono dal Cara. Il tempo di permanenza nello Sprar è di 6 mesi con possibilità di prolungamento per altri 6 mesi. L’obiettivo dello Sprar è quello di rendere autonomo il migrante e avviarlo al mondo del lavoro attraverso corsi di italiano e tirocini formativi. Possono accedere ai centri Sprar i richiedenti protezione internazionale, i rifugiati, i titolari di protezione umanitaria e i titolari di protezione temporanea.

Damiano Aliprandi

da il dubbio