Migranti picchiati e derubati dagli agenti di polizia e poi costretti a camminare a piedi nudi in mezzo alla neve. Respingimenti collettivi vietati dalle convenzioni internazionali. E come se non bastassero le violenze fisiche, l’umiliazione di gridare slogan fascisti o di inneggiare alla squadra di calcio Zagabria Dinamo. Sono solo alcune degli abusi subiti dai migranti nei Balcani e in particolare al confine croato dove vengono bloccati mentre tentano di entrare in Unione europea.
La denuncia arriva da Amnesty international, che in un dettagliato rapporto che riporta 98 testimonianze raccolte tra giugno e dicembre del 2018, non risparmia critiche anche alle politiche con cui Bruxelles difende le sue frontiere esterne. «Il Schengen border code non può essere usato come pretesto per derogare le norme sui diritti umani», spiega Massimo Moratti, direttore delle ricerche dell’ufficio europeo di Amnesty. «La stessa normativa stabilisce chiaramente che non si possono fare espulsioni collettive e le proibizioni di torture e maltrattamenti sono una proibizione assoluta e inderogabile».
L’esempio più recente denunciato dall’organizzazione risale ad appena una settimana fa, quando un gruppo di una decina di profughi è stato fermato dagli agenti croati – tre dei quali sono ora indagati – al confine con la Bosnia. Un filmato apparso sui social li mostra mentre vengono obbligati a gridare più volte «Dinamo Zagreb», ma è la stessa polizia ad ammettere che i migranti sono stati costretti anche a gridare «Za dom spremni» saluto filonazista croato durante la seconda guerra mondiale il cui significato è «Per la patria pronti». «L’integrazione è già iniziata», è uno dei commenti apparsi sui social dopo la diffusione delle immagini.
Ma se questo può apparire come un caso limite, per Amnesty sono invece quotidiane le violenze alla frontiera. Sono almeno 12 le persone che nei primi dieci mesi del 2018 sono annegate nei Balcani occidentali, la maggior parte mentre tentava di attraversare il confine tra Croazia e Slovenia, ma sarebbero decine vittime che hanno perso la vita in altre circostanze.
Una donna al sesto mese mesi di gravidanza ha avuto un aborto spontaneo alla vista di un orso, mentre un giovane originaria di Gaza ha raccontato: «Ci hanno portato al confine con la Bosnia, ci hanno fatto uscire dalla vettura e uno ad un ci hanno picchiati». Alla fine gli agenti di polizia croati gli hanno spruzzato sul volto una sostanza urticante: Non riuscivo a vedere più nulla, mi bruciavano gli occhi. Alla fine cui hanno detto di andare via e di non tornare più in Croazia». Molti dei respingimenti avvengono verso la Bosnia dove, denuncia sempre Amnesty, 5.500 uomini, donne e bambini vivono ammassati in fabbriche abbandonate nelle città di Bihac e Velika Kladusa, senza acqua, al freddo e spesso neanche viveri sufficienti.
Ieri il governo Croato ha respinto le accuse di Amnesty international che a sua volta ha denunciato l’uso che viene fatto dei finanziamenti messi a disposizione da Bruxelles. «Per capire quali siano le priorità dell’Unione europea, basta solo seguire la direzione dei soldi», prosegue Moratti. «Il contribuito finanziario per l’assistenza umanitaria impallidisce rispetto ai fondi destinati ai controlli di frontiera che comprendono persino la fornitura di equipaggiamenti alle forze di polizia croate e addirittura il pagamento dei loro stipendi».
da il manifesto