Migranti: Respingimenti differiti, l’ultima tendenza
- ottobre 17, 2012
- in emergenza, migranti cie
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Anche le violazioni dei diritti umani sembrano essere soggetti a mode. Adesso è la volta dei respingimenti differiti. L’analisi di Fulvio Vassallo Paleologo docente all’Università di Palermo
Le notizie degli ultimi giorni confermano gli abusi denunciati da tempo nei confronti degli immigrati, soprattutto maghrebini, sbarcati in Sicilia. E’ stato riaperto il centro di “transito” di Porto Empedocle, per agevolare il respingimento immediato di persone sorprese durante i tentativi di ingresso irregolare, che non avranno mai la possibilità di chiedere asilo o di esercitare i diritti di difesa.
Le persone appena sbarcate, magari scampate ad un naufragio, vengono trattenute per settimane senza lo straccio di un provvedimento, senza potere esercitare i diritti di difesa, senza potere chiedere asilo, tutto questo in nome di istanze investigative che non possono giustificare una violazione così eclatante degli articoli 10 (diritto di asilo), 13 (diritto alla convalida giurisdizionale entro 96 ore dall’inizio del trattenimento amministrativo) e 24 ( diritto di difesa) della Costituzione. E ovunque esplodono le proteste, come nei giorni scorsi quando su un autobus diretto da Palma di Montechiaro (luogo di sbarco) al centro di Porto Empedocle, in provincia di Agrigento, un migrante si è ferito alla pancia tagliandosi con dei cocci di vetro, oppure come ancora oggi a Lampedusa, dove i superstiti alla strage di Lampione sono trattenuti, da oltre un mese, per quanto risulta, senza provvedimenti conformi alla legge.
E’ certo che la maggior parte delle persone sbarcate quest’anno e poi respinte in base all’art. 10 comma 1 ( respingimento immediato) del Testo Unico sull’immigrazione, magari dopo pochi giorni dall’ingresso nel territorio e di detenzione amministrativa informale in centri di “prima accoglienza” a porte chiuse, con la complicità delle autorità consolari dei paesi di origine, non ha visto uno straccio di provvedimento né ha potuto fare valere una richiesta di asilo o i più elementari diritti di difesa. Un escamotage, il ricorso a respingimenti immediati che non avvengono certo immediatamente al varco di frontiera, inventato per evitare l’applicazione della Direttiva 2008/115/CE sui rimpatri, che sembrerebbe escludere dal suo campo di applicazione proprio i respingimenti immediati. La direttiva comunitaria non precisa infatti se sono esclusi solo i respingimenti immediati in frontiera, o anche i respingimenti differiti disposti con provvedimento adottato dal questore, ed a livello europeo forse era fin troppo difficile cogliere la peculiarità del respingimento “differito”, un istituto tutto italiano, che può essere eseguito anche dopo mesi di trattenimento amministrativo nei Cie, esattamente come nel caso di una comune espulsione amministrativa disposta dal prefetto. Un istituto quello del respingimento “differito” ex art. 10 comma 2 del T. U. sull’immigrazione, che consente gli spazi più ampi alla discrezionalità amministrativa anche perché la norma che lo contiene non disciplina neppure i mezzi di ricorso, ed a lungo sia i giudici di pace che i tribunali amministrativi hanno negato a vicenda la loro competenza, al punto che si è negato agli immigrati qualunque diritto di difesa. Una questione che la Corte Costituzionale avrebbe dovuto vagliare da tempo, ma che i giudici non sono mai riusciti a sollevare.
Dopo che un giudice di pace (adesso trasferito) ha cominciato ad annullare provvedimenti di respingimento differito per il mancato rispetto dei termini, come lo scorso anno ad Agrigento, ecco che avviene il ricorso ai respingimenti immediati ex art. 10 comma 1 del T.U. 286 del 1998, senza alcun provvedimento del questore, come una mera prassi di polizia, con il trattenimento in strutture informali e non nei Cie, senza la convalida del magistrato, peggio, senza che sia neppure comunicato il trattenimento amministrativo ad una autorità giurisdizionale. In questi casi si tratta di persone entrate e trattenute per giorni in luoghi diversi da Cie, sotto stretta sorveglianza di polizia, come capannoni nella zona portuale soggetta a controllo militare ( a Pozzallo, vicino Ragusa, a Licata ed a Porto Empedocle, vicino Agrigento), senza uno straccio di provvedimento da impugnare, per essere poi accompagnate in aeroporto e, dopo l’identificazione del console del paese di presunta provenienza, imbarcate sull’aereo e rispedite in patria. Una detenzione “in incommunicado” vietata dalla legge e dal Regolamento Frontiere Schengen del 2006, che impongono formalità e garanzie precise per tutti i respingimenti in frontiera.
Le attuali prassi di polizia applicate ai migrati tunisini irregolari sono frutto degli accordi negoziati da Maroni a Tunisi lo scorso anno, il 5 aprile, quando si convenne di fare partire dall’Italia con cadenza settimanale due voli di rimpatrio diretto verso la Tunisia, per trenta persone ciascuno, senza attendere il riconoscimento individuale delle persone, ma solo sulla base dell’attestazione di nazionalità da parte di un console, magari nello stesso aeroporto di Palermo nel quale è pronto al decollo l’aereo di ritorno con i motori accesi.
Secondo quanto affermato dal sottosegretario al ministero dell’interno Saverio Ruperto, nella risposta ad una interrogazione parlamentare (Legislatura 16 Risposta ad interrogazione scritta n° 4-06711, fascicolo n.171) in Senato il 14 luglio 2012 «nell’ambito delle iniziative condotte dall’Italia con la Tunisia, già all’indomani della crisi migratoria scaturita dalla situazione di instabilità politica che ha interessato il Mediterraneo meridionale, sono stati attuati mirati interventi sia sul fronte dell’assistenza tecnica (fornitura di equipaggiamenti e formazione della polizia tunisina addetta al controllo delle frontiere), sia sul posizionamento di mezzi aeronavali in prossimità delle acque territoriali tunisine per la sorveglianza delle rotte maggiormente utilizzate dagli immigrati per raggiungere la Sicilia, sia, infine, nella cooperazione con Tunisi per efficaci procedure di riammissione che hanno consentito di rimpatriare 4.583 tunisini. Attualmente le intese prevedono il rimpatrio di 60 tunisini a settimana con due distinti voli charter da 30 ciascuno». Sempre secondo il sottosegretario, «il 22 marzo 2012 il ministro Cancellieri si è recato in Tunisia dove ha incontrato i ministri degli Affari Esteri e dell’Interno tunisini. Nel corso dei colloqui è stata rivolta particolare attenzione ai temi dell’immigrazione, sia in riferimento ai flussi d’ingresso regolari, che a quelli di natura clandestina o comunque illegale, nonché al livello di collaborazione raggiunto».
Anche il nuovo governo ha dunque confermato i rimpatri in Tunisia senza identificazione individuale, ma solo sulla base dell’attribuzione della nazionalità. Ma siccome la sommarietà non esclude gli errori, di solito, dai centri di prima accoglienza/detenzione all’aeroporto di Punta Raisi di Palermo viene portato un numero superiore di persone destinate al rimpatrio, e quelli che il console non riconosce, o non vuole riconoscere, vengono trasferiti nel Cie di Milo o in altri Cie, a seconda della disponibilità dei posti. E la roulette russa si può ripetere all’infinito, in tutti i casi in cui si tratti di accertare la nazionalità di un immigrato irregolare. Un cittadino marocchino rinchiuso in questi giorni nel CIE di Milo vicino Trapani ha raccontato di essere stato portato sei volte davanti ad un console senza essere mai riconosciuto e quindi rimpatriato, ed intanto ha trascorso oltre dieci mesi all’interno di un Centro che annichilisce la dignità della persona.
Da mesi ormai le fughe dal Cie di Milo sono assai frequenti, alcune sono riuscite, con uno scarso impegno delle forze dell’ordine e sono state fughe di massa, in altri casi gli immigrati sono stati ripresi e successivamente picchiati, come emerge tutte le volte che una delegazione entra all’interno del Cie. Sono fuggiti anche immigrati che avevano denunciato gravi violenze subite dalla polizia, ormai senza alcuna fiducia nella possibilità che la loro denuncia potesse garantire condizioni di trattenimento più dignitose. Decisivo in questi casi l’intervento delle pattuglie antisommossa di stanza a Trapani, chiamati ad intervenire quando la tensione sale o si verificano fughe. Ma nei giorni scorsi una fuga si è verificata pure nel Cie di Caltanissetta-Pian del Lago, anche se in quella struttura dopo sei mesi, a differenza di Milo, i migranti vengono rimessi in libertà quando appare evidente che il rimpatrio non è più possibile. Almeno in questo caso si rispetta la direttiva comunitaria 2008/115/CE sui rimpatri. La Direttiva 2008/115/CE, inoltre, all’art. 15 comma 4, prevede che «quando risulta che non esistano più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi», o che non esistano più rischi di fuga o comportamenti dell’interessato contrari al rimpatrio,«il trattenimento non è più giustificato e la persona interessata è immediatamente rilasciata». Nel Cie di Trapani Milo questa direttiva rimane lettera morta.
Molti immigrati trattenuti nei centri segnalano di non avere più notizie del proprio avvocato d’ufficio. Malgrado il quadro idilliaco descritto nel corso delle visite dagli enti gestori, sui servizi di mediazione offerti a quelli che ci si si ostina a definire come “ospiti”, il livello di informazione legale a disposizione delle persone trattenute è assai modesto e le possibilità di fare valere i loro diritti rimangono assai remote. Alcuni avvocati si presentano nei Cie solo quando fanno ingresso gli immigrati, materializzandosi dal nulla, come se qualcuno li avvertisse dell’arrivo di “clienti”, assistono alla prima convalida del trattenimento, restando in silenzio, incassano un compenso che si aggira attorno agli 80 euro per convalida, e scompaiono nel nulla, al punto che, durante le visite, la maggior parte degli immigrati trattenuti nei centri non sa nulla dei propri avvocati di ufficio. Ed andava ancora peggio quando le convalide si svolgevano in Tribunale e non all’interno del Cie, come avveniva a Trapani fino a poco tempo fa. Del resto quando si viaggia ad un ritmo di 60-80 convalide al giorno, ai difensori d’ufficio non rimane certo il tempo per articolare una linea di difesa, forse neppure per aprire bocca. Di converso i difensori di fiducia, quando riescono a formalizzare la nomina, faticano ad ottenere il riconoscimento del patrocinio gratuito. E non sempre sono nelle condizioni di assolvere sino in fondo il loro ruolo, specie nei casi di diniego delle istanze di protezione internazionale.
Malgrado l’intenzione del governo di porre fine all’emergenza immigrazione entro il 2012, oggi, in una fase di sostanziale diminuzione degli arrivi di migranti irregolari in Italia, rimane una “emergenza”, da affrontare con una revisione delle prassi applicate dalle forze di polizia, prima di una organica riforma legislativa delle norme in materia di allontanamento forzato, per porre fine alla sistematica violazione dei diritti fondamentali subita dagli immigrati entrati o soggiornanti irregolarmente nel territorio dello stato.
Fulvio Vassallo Paleologo, Università di Palermo da Corriere Immigrazione
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