In un’intervista del ministro Salvini a Repubblica.tv, diventata virale sui social, il leader della Lega invitato dall’intervistatore a mandare un messaggio al sindaco di Riace “Lucano” ha testualmente risposto: «Al sindaco di Riace non dedico neanche mezzo pensiero. Zero. È lo zero».
Questa risposta si commenta da sé e il ministro dovrà risponderne di fronte ai calabresi, ai meridionali e a tutti le italiane e gli italiani che in questi venti anni son venuti a Riace per tirare una boccata di ossigeno, per scoprire come si possa convivere tra tante etnie e culture diverse, per vedere con i propri occhi quello che un grande regista tedesco ha dichiarato di fronte a dieci premi Nobel per la pace: «A Riace, un paesino della Calabria, ho scoperto la vera civiltà e quale potrebbe essere il nostro futuro». È successo nel 2009, nella ricorrenza del ventesimo anniversario della caduta del muro di Berlino, quando Wim Wenders, dopo aver girato un docufilm su Badolato e Riace, ha così esordito stupendo la stampa di mezzo mondo.
Chi come chi scrive ha vissuto l’esperienza di Riace fin dall’inizio, ha visto rinascere un paese completamente abbandonato, ha esultato come calabrese e meridionale nel vedere Riace citato dai mass media di tutto il mondo, che normalmente della Calabria se ne sono occupati solo per la ‘ndrangheta. Finalmente agli onori della cronaca come segno di civiltà. Un paese di meno di 1.200 abitanti, di cui oltre ottocento stanno nella marina, ha ospitato fino a quattrocento migranti senza che ci fosse in vent’anni un solo reato, un solo conflitto interetnico, in un clima di fratellanza e amicizia con tutti gli esseri umani da qualunque parte provengano.
Ho conosciuto nell’ottobre del 1998 Domenico Lucano e gli amici dell’associazione “Città futura” (nomen omen) che si presentarono a Badolato dopo la prima esperienza italiana di accoglienza di profughi curdi in un paese semi-abbandonato, quando la popolazione locale e il sindaco Gerardo Mannello accolsero a braccia aperte e sistemarono nelle case vuote di Badolato superiore più di ottocento curdi. Erano venuti a vedere questa esperienza di accoglienza, sostenuta economicamente e fattivamente dal Cric, allora una delle Ong più attive in questo campo, che volevano replicare nel loro paesino. In meno di un anno, grazie anche al sostegno della Banca etica di Padova, della comunità anarchica di Longo Mai in Provenza, di Cornelius Cock, uno straordinario prete svizzero che sosteneva il diritto alla vita dei migranti clandestini, alla rete italiana del fair trade, Riace divenne il punto di riferimento della solidarietà ai profughi che attraversano il Mediterraneo rischiando la vita.
Cinque anni dopo Domenico Lucano venne eletto sindaco e intensificò il suo impegno per l’accoglienza dei migranti e per la rinascita del paese che in pochi anni vide riaprire le scuole, i servizi , bar, ristoranti, sistemare e abbellire le piazze, le stradine, costruire un anfiteatro dedicato alla pace, colorare il paese grazie ad artisti e turisti solidali provenienti da tutta l’Italia, e non solo. Grazie al costante e straordinario impegno di Recosol (Rete Comuni Solidali), questo piccolo paesino calabrese è diventato un punto di riferimento per tanti Comuni italiani e europei, un luogo di incontri, di cultura, di festa.
Oggi a Riace lavorano nei progetti di accoglienza circa quaranta giovani locali, e grande è l’indotto che le attività legate ai migranti hanno prodotto nell’economia locale, anche grazie all’introduzione di una “moneta locale” che Lucano ha immesso nel 2010 per contrastare i ritardi nei pagamenti statali. Un esempio virtuoso che dovrebbe essere moltiplicato e applicato su grande scala. È proprio dalle aree interne, da quello che Manlio Rossi Doria chiamava l’osso del Mezzogiorno, che potrebbe rinascere il Sud e di riflesso il nostro paese. Ed invece, prima dell’arrivo al potere del ministro Salvini, la burocrazia della Prefettura di Reggio Calabria si è messa di traverso, come il sindaco Lucano ha più volte raccontato. Inutilmente il sindaco di Riace ha chiesto la relazione dei funzionari che sono stati a Riace nello scorso ottobre, e solo dopo l’intervento della magistratura sono stati aperti i cassetti che custodivano questo report. Il motivo? Semplice: era una relazione estremamente positiva che smentiva le accuse rivolte all’amministrazione di Riace sulla gestione dell’accoglienza dei migranti. Risultato: sono due anni che il Comune deve ricevere fondi che gli spettano, rischiando il dissesto secondo quello che sembra un piano preordinato.
Tonino Perna
da il manifesto