«Aiutateci per favore, stiamo affondando. Sono incinta e non sto bene. Mia figlia di sette anni è molto malata. Non abbiamo cibo né acqua, non abbiamo nulla. Hanno detto che sarebbero venuti ma non è arrivato nessuno. Le persone stanno morendo». La voce cerca di non perdere la calma ma l’appello che lancia è pieno di disperazione. A parlare con Alarm Phone, il centralino che aiuta i migranti in difficoltà, è una donna di 27 anni che insieme ad altri 46 migranti si trova a bordo di un gommone partito dalla Libia e in difficoltà nel Mediterraneo. Nella telefonata a un certo punto si inserisce una voce di uomo: «Stiamo seguendo le vostre indicazioni ma non vediamo nessuna barca in soccorso – dice -. Siamo in condizioni critiche, non possiamo aspettare ancora, aiutateci per favore».
SI MOLTIPLICANO GLI SOS in arrivo dal Mediterraneo. Alla giovane mamma che la scorsa notte ha parlato con i volontari di Alarm Phone e ai suoi compagni di viaggio è andata bene. La nave Aita Mari, della ong basca Salvamento Maritimo, ieri pomeriggio è riuscita a raggiungere il gommone prima che fosse troppo tardi e, seppure con difficoltà, ha tratto in salvo quanti si trovavano a bordo, compresi cinque migranti che avevano perso conoscenza. Successivamente – e nonostante nei giorni scorsi abbia dichiarato chiusi i suoi porti come ha fatto l’Italia – è arrivato da Malta il via libera per lo sbarco sull’isola, mentre un elicottero con un medico è partito dalla Valletta e ha raggiunto la nave.
MA SENZA I VOLONTARI BASCHI le cose sarebbero probabilmente andate in modo diverso. Nascosti dietro l’emergenza coronavirus gli Stati non rispondono alle richieste di aiuto che arrivano dalle imbarcazioni cariche di disperati in fuga dalla Libia: «Quale leader europeo ha il coraggio di chiamare questa madre e spiegarle che devono morire perché non vale la pena soccorrerli?», scrive su Twitter Alarm Phone facendo riferimento alla 27enne incinta che li aveva contattati. Una situazione che preoccupa anche l’Alto commissariato Onu per i rifugiati: «C’è sgomento per l’assenza di un sistema di salvataggio in uno dei mari più trafficati al mondo, e l’angoscia per chi potrebbe essere al largo senza nessuno a tendere una mano» commenta la responsabile per il Sud Europa, Carlotta Sami.
SPINTI DALLA GUERRA e dalla pandemia i migranti continuano a fuggire in massa dalla Libia. Secondo Alarm Phone sarebbe almeno mille quelli che hanno lasciato il Paese nordafricano nell’ultima settimana. Dei quattro barconi dispersi da giorni, uno è quello soccorso dalla ong basca, mentre altri due sono arrivati a Pozzallo e a Portopalo, in Sicilia, con in tutto 178 persone. All’appello ne manca quindi ancora uno che si troverebbe in acque Sar maltesi. «Un elicottero della Guardia costiera italiana è partito alla ricerca della barca mancante con 55 naufraghi di cui non si ha notizia da domenica. Speriamo siano ancori vivi», ha scritto su Twitter Mediterranea Saving Humans.
NON CI SAREBBE STATO, invece, il naufragio al largo della Libia denunciato domenica da Sea Watch. La smentita arriva dalla Guardia costiera italiana e dall’agenzia europea Frontex secondo le quali quello indicato dalla ong tedesca sarebbe stato un gommone alla deriva dopo che quanti si trovavano a bordo sarebbero stato intercettati dalla cosiddetta Guardia costiera libica. «Su che base le autorità confermano che non vi sia stato alcun naufragio senza confermare l’avvenuto soccorso del gommone in questione e fornire relative informazioni?» chiede Sea Watch ricordando come «nel Mediterraneo tutti i casi segnalati di Alarm Phone restano non assistiti dalle autorità». E su quanto accade in mare ieri ha lanciato un appello anche Mediterranea: «La situazione nel Mediterraneo centrale è precipitata», ha scritto l’ong. «Il governo intervenga, forse siamo ancora in tempo».
INTANTO SEMBRA AVVIARSI a conclusione la vicenda della Alan Kurdi, la nave della ong tedesca Sea Eye. Il capo della Protezione civile Angelo Borrelli ha firmato il decreto che consente il trasferimento dei 156 migranti che si trovano a bordo sulla nave «Azzurra» della Gnv messa a disposizione dal governatore siciliano Nello Musumeci dove trascorreranno il periodo di quarantena.
Carlo Lania
da il manifesto
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I migranti sono spariti dai nostri discorsi
Quattro gommoni alla deriva da giorni, senza soccorso. Alarmphone, il centralino di volontari che riceve telefonate di allerta lungo la rotta migratoria più pericolosa del mondo, nel fine settimana ha dato la notizia che quattro imbarcazioni sono in panne con un totale di circa 250 persone a bordo, senza che ci siano mezzi civili o militari pronti ad aiutarle. L’organizzazione ha ricevuto messaggi e telefonate disperate dai migranti a bordo dei gommoni. Il 12 aprile l’ong Sea Watch ha dato notizia di un naufragio, smentita il giorno successivo da un comunicato della guardia costiera italiana.
“Nel finesettimana c’è stata un’attività molto intesa degli aerei di Frontex, in particolare del velivolo Eagle 1, l’agenzia europea per il controllo esterno delle frontiere. Il 12 aprile ho registrato quattro o cinque orbite di questo aereo, che coincidevano con le segnalazioni di Alarmphone. Di solito quando ci sono queste orbite ci sono degli avvistamenti di migranti”, spiega Sergio Scandura, giornalista di Radio Radicale che da anni monitora i voli dei mezzi europei nel Mediterraneo centrale. Ma Frontex non ha dato nessuna conferma ufficiale. Secondo Scandura, gli aerei dell’operazione Sophia non sono più attivi dalla fine di marzo, mentre gli aerei di Frontex monitorano dall’alto la situazione.
“Una madre ci dice che sua figlia di sette anni ha bisogno di aiuto e che cinque persone hanno perso i sensi sulla barca in pericolo”, è scritto sulla pagina Facebook dell’organizzazione Alarmphone, che ha ricevuto delle telefonate da un’imbarcazione con 47 persone a bordo. “Abbiamo parlato con loro alle 4.34, 6.37 e 6.51. Hanno detto che cinque persone sono svenute. Sono disperate dopo aver passato ottanta ore in mare. Le autorità sanno di loro da 56 ore, avrebbero potuto salvarle molto tempo fa. Quale leader europeo ha il coraggio di chiamare questa madre e spiegarle che devono morire perché non vale la pena soccorrerli?”.
Nell’ultima settimana il miglioramento delle condizioni meteorologiche ha fatto sì che almeno mille persone siano partite dalle coste libiche a bordo d’imbarcazioni precarie, ma i mezzi civili di soccorso delle organizzazioni non governative sono quasi tutti fermi, per ragioni di sicurezza legate all’emergenza coronavirus. Mentre i mezzi militari europei presenti in quel tratto di mare non intervengono e ignorano i segnali di allerta.
Anche il governo di Tripoli per la prima volta ha proclamato la Libia “paese non sicuro”, e le persone che erano state intercettate dalle motovedette libiche la scorsa settimana sono state bloccate per ore nel porto di Tripoli, secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni. In Libia la guerra ricominciata nell’aprile del 2019 continua, e nelle ultime ore l’esercito del governo di unità nazionale (Gna) ha lanciato un’offensiva su Sabrata, una città a ovest di Tripoli, uno dei principali porti di partenza per le imbarcazioni di migranti in fuga verso l’Europa.
Siamo tutti sulla stessa barca?
La nave umanitaria basca Aita Mari, una delle poche ancora attive nel Mediterraneo, sta per prestare soccorso a uno dei quattro gommoni in pericolo nella zona di ricerca e soccorso maltese, ma ha fatto sapere di non avere abbastanza rifornimenti per sopportare un eventuale stallo in mare, che potrebbe essere determinato dalla chiusura dei porti europei. Il 6 aprile l’altra nave umanitaria presente, la Alan Kurdi, ha soccorso 156 persone, ma gli è stato negato un porto di sbarco sia dall’Italia sia da Malta, che si sono dichiarate “luoghi non sicuri” a causa della pandemia di coronavirus, contravvenendo a una serie di obblighi imposti dal diritto umanitario e dal diritto del mare.
Il 12 aprile, dopo un lungo stallo, l’Italia ha inviato una nave militare per trasferire i migranti soccorsi dalla Alan Kurdi, la nave dell’ong tedesca Sea-Eye, che una volta attraccati in Italia saranno sottoposti all’isolamento e alla quarantena gestita da Protezione civile e Croce rossa. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e l’Oim hanno ricordato che il soccorso in mare è un obbligo e che ci sono protocolli sanitari che possono essere adottati per evitare il contagio, senza contravvenire a nessuna legge internazionale.
La scorsa settimana una nave militare maltese, la P52, è stata accusata di aver sabotato un’imbarcazione con 75 persone a bordo. Dei militari maltesi sarebbero saliti a bordo e avrebbero danneggiato il motore dell’imbarcazione, lasciandola alla deriva. L’organizzazione Alarmphone ha condiviso l’audio di una telefonata ricevuta dall’imbarcazione in cui si diceva che un militare era salito a bordo per danneggiare i cavi elettrici del motore. Successivamente il gommone è stato soccorso, ma il governo maltese si è rifiutato di commentare l’accusa di sabotaggio.
L’epidemia ha fatto sparire i migranti dai nostri discorsi, ma la propaganda contro di loro resiste e addirittura s’istituzionalizza. La scorsa estate i migranti che provavano ad attraversare il mare per fuggire dalla Libia in guerra erano l’ossessione dei leader dei partiti sovranisti europei, che gridavano all’invasione contro ogni statistica e ogni evidenza fattuale. Ora i governi europei stanno usando la pandemia per giustificare condotte illegali come l’omissione di soccorso e chiudono i porti alle navi umanitarie, mentre le persone continuano a partire e a morire lungo le rotte migratorie dirette in Europa.
Invece di mettere in campo soluzioni rapide e pragmatiche in linea con il diritto internazionale, i governi sembrano succubi della propaganda sovranista e approvano decreti contrari al diritto internazionale. Come quello firmato dai ministri Lamorgese, Speranza e De Micheli la settimana scorsa, che ha dichiarato l’Italia “paese non sicuro” per chiudere i porti alle poche navi umanitarie rimaste attive nel Mediterraneo.
Intanto continuano gli sbarchi autonomi di migranti sulle coste italiane: il giorno di Pasqua 77 persone sono arrivate a Porto Palo di Capo Passero, in provincia di Siracusa, a bordo di imbarcazioni di fortuna. “Siamo tutti sulla stessa barca”, ha detto il presidente del consiglio Giuseppe Conte nelle scorse settimane, usando una metafora appropriata per descrivere la necessità di essere solidali di fronte all’epidemia di coronavirus, ma si è dimenticato delle persone lasciate alla deriva in mare negli ultimi giorni.
Data l’emergenza e i numeri degli arrivi particolarmente bassi (tremila persone arrivate in Italia via mare dal 1 gennaio al 10 aprile 2020), si sarebbero potute pensare soluzioni razionali e di lungo periodo per risolvere una volta per tutte la questione dei soccorsi in mare, che dovrebbero essere di nuovo gestiti dai governi e operati da mezzi militari europei con il supporto dei mezzi civili, come è stato a partire dal 2013 fino alla fine del 2o16. Ma, come ha detto qualcuno, si è scelto di lasciare la questione ai sovranisti.