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Mimmo Lucano condannato a tredici anni e 2 mesi. Colpevole di reato di umanità

Considerato colpevole, in primo grado, di associazione a delinquere per favoreggiamento di immigrazione clandestina e peculato. Dovrà restituire 500 mila euro ricevuti dall’Ue e dal governo. Fuori dai pubblici uffici per 5 anni

L’amaro Lucano viene servito al termine di una mattinata che pareva interminabile. Alle 11.48 il presidente del collegio giudicante del tribunale di Locri, Fulvio Accurso, dopo ben 75 ore di camera di consiglio pronuncia l’attesa sentenza. È uno shock che colpisce tutti. Mimmo Lucano è condannato alla pena di anni 13 e 2 mesi di reclusione. I giudici lo hanno ritenuto colpevole di associazione a delinquere finalizzata al reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, truffa, peculato, falso ideologico e abuso d’ufficio con il vincolo della continuazione.

PER ALTRI CAPI viene decretata l’assoluzione, altrimenti la pena sarebbe stata ancor più robusta. Dovrà anche restituire anche 500 mila euro riguardo i finanziamenti ricevuti dall’Unione europea e dal governo. Inoltre è stata disposta la sua interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. Il tribunale ha condannato anche la compagna di Lucano, Lemlem Tesfahun, alla pena di 4 anni e 10 mesi.

Il collegio ha aumentato di ben sei anni la pena richiesta dalla pubblica accusa. L’ex sindaco di Riace era stato arrestato e posto ai domiciliari il 2 ottobre del 2018 nell’ambito dell’operazione «Xenia» coordinata dalla procura di Locri. I magistrati nelle 1.200 pagine della richiesta di misura cautelare definirono Lucano un sindaco «spregiudicato» per aver «favorito matrimoni di comodo» tra cittadini riacesi e donne straniere e per aver consentito a due cooperative, prive di requisiti, di assicurarsi il servizio della raccolta dei rifiuti urbani. Subito dopo la lettura del dispositivo, l’aria intorno al tribunale si è fatta ancor più spettrale.

Già da mercoledì sera il quartiere intorno al palazzo di giustizia era off limits. Blindata la zona rossa, e all’interno dell’aula erano ammessi solo gli operatori del diritto. Per i media era stata adibita una stanza apposita. «È un momento difficile, mi aspettavo una formula ampia di assoluzione. Non mi attendevo questa sentenza. Non trattano così neanche i mafiosi», è lo sfogo di Lucano fuori dall’aula.

L’IMMANCABILE Polo scura, il volto dimesso, l’aria affranta. Le telecamere e i microfoni fuori ad attenderlo. Parla a ruota libera, è visibilmente commosso. «Io non ho niente, mia moglie fa un lavoro umile, pulendo le case delle persone. Mi sono schierato dalla parte degli umili, ho immaginato di partecipare al riscatto della mia terra. Oggi però per me finisce tutto, è stata pesantissima. Non so se per i delitti di mafia ci siano pene simili. Per me è un momento difficile, non so cosa farò». L’ex sindaco di Riace poi ringrazia tutti i suoi avvocati, in primis Antonio Mazzone, scomparso a fine anno. «Io non avevo i soldi per pagarli, dovevo nominarmi un avvocato d’ufficio. Non potevo permettermi dei legali e devo tutto a loro. Oggi posso dirlo, non sto fingendo, sto dicendo delle cose vere. Tante sono le persone che mi sono state vicine, persino alcuni magistrati mi hanno espresso solidarietà per una vicenda inaudita. E questo oggi è l’epilogo triste».

È UN MONDO alla rovescia questo calabrese. In una terra in cui pezzi significativi di politica e istituzioni si sono accalappiati tutto, dove vengono negati i diritti all’acqua, allo smaltimento dei rifiuti, alla depurazione, alla sanità pubblica e alla cura delle persone, al lavoro, alle infrastrutture, ai finanziamenti per lo sviluppo, alla cura delle fragilità e all’istruzione, con una emigrazione galoppante delle giovani generazioni, vedere che il problema sul piano giudiziario sia Lucano è grottesco. In attesa di conoscere le motivazioni un dato comunque balza agli occhi. I giudicanti di Locri non hanno tenuto conto dei pronunciamenti clamorosamente contrastanti di diversi giudici, Riesame e Cassazione in primis. Di sicuro Lucano non ha mai rinnegato il suo operato, non ha chiesto trattamenti di favore, non è sfuggito al processo. Avrebbe potuto farlo candidandosi alle elezioni europee e rivendicando l’immunità, ma non l’ha fatto. E dal pomeriggio di ieri è tornato di nuovo a Riace insieme ai suoi fedelissimi in preda allo sconforto. Con lui anche la figlia, gli amici, i compagni di sempre ed i candidati della lista «Un’altra Calabria è possibile» alle regionali. L’impatto sulle elezioni ci sarà, è inevitabile ma, al contempo, indecifrabile.

CON LA LEGGE SEVERINO, Lucano anche se fosse eletto sarebbe sospeso dalla funzione. Oggi sarebbe stata in calendario la festa di chiusura della campagna elettorale. Tutto annullato e convertito in una manifestazione di solidarietà. Perché Riace si processa, si condanna, ma non si può arrestare.

Mimmo Lucano: «Mi trattano come un criminale mafioso»

Parla l’ex sindaco di Riace. «Condanna abnorme: dal processo emerge un profilo opposto a quello che sono io realmente». «Sono più dispiaciuto per i miei collaboratori condannati che per me stesso»

Nel villaggio globale di Riace, intorno a Mimmo Lucano si stringe indignata la «compagneria» fedele, quella che non ha mai smesso di sostenerlo. Qualcuno sottovoce ripercorre le tappe che hanno portato alla durissima condanna a 13 anni di carcere, ricordando le relazioni a raffica sulle attività di accoglienza del comune di Riace, disposte nel 2017 dal prefetto Michele Di Bari, che due anni dopo diverrà capo del dipartimento per l’immigrazione nel ministero dell’Interno guidato da Matteo Salvini. Qualcun altro fa notare che una di queste relazioni, rilevando «irregolarità burocratiche e criticità» nella gestione dei migranti a Riace, sancì l’inizio dei problemi giudiziari di Mimmo. Per una casuale forma di contrappasso, fu firmata anche da un funzionario, Salvatore Di Giglio, che pochi mesi dopo sarà a sua volta indagato dalla procura di Palmi per presunte irregolarità in un’altra relazione riguardante però lo Sprar di Varapodio, sempre in provincia di Reggio Calabria. «Stando a quanto sentenziato dal tribunale di Locri, noi ed altri milioni di persone in questi 20 anni avremmo preso un abbaglio», mormorano serrando i pugni alcuni dei militanti accorsi a Riace. C’è chi fa notare che nei territori governati da mille anni dal connubio tra ‘ndrangheta e politica, a parere dei giudici locresi, da ieri c’è una nuova entità extralegale: «Se Mimmo è un delinquente, anche noi tutti lo siamo. E lo è la Riace che avrebbe accolto e dato da mangiare e un tetto a migliaia di esseri umani sfuggiti alla povertà assoluta, alle guerre e alla trappola mortale del mare in tempesta. Questo è il disegno criminoso? E quale ne sarebbe la finalità?». Sarà dunque interessante leggere le motivazioni. Intanto, si formano piccole assemblee spontanee nelle viuzze del paesino ionico. Mimmo è circondato d’affetto e risponde alle domande del manifesto:

Lucano, una sentenza che non si aspettava.

È una condanna abnorme. Non ci posso credere. Mi hanno persino interdetto dai pubblici uffici per cinque anni. Così tutte le mie prospettive politiche, le speranze, sono crollate. Dal questo processo emerge un profilo completamente opposto a quel che sono io nella realtà. Non sono un delinquente. Mi trattano come un mafioso.

Il procuratore capo Luigi D’Alessio, titolare dell’inchiesta «Xenia» che ha portato a questo processo e alla sua condanna, al Gr1 ha dichiarato: «Le sentenze non si commentano. Bisogna leggere le motivazioni. Non era così folle evidentemente la nostra ricostruzione. Non è che io sia particolarmente soddisfatto di tutti questi anni che il tribunale ha comminato». Cosa pensa di queste dichiarazioni?

Davvero ha detto questo? Mi sembra paradossale.

Che idea si è fatto delle modalità con le quali è stato celebrato questo processo?

Il dato istruttorio non è conforme per niente con questa sentenza. Eppure mi aspettavo la piena assoluzione. Il dibattimento sembrava volgere a nostro favore. Alla fine è arrivato questo epilogo assurdo. Al momento non ho elementi per affermare che si tratti di una sentenza politica. E non voglio cercare alibi. Ma di sicuro una conclusione come questa è più pesante di una condanna. Si uccide l’uomo, prima ancora che arrivi la condanna penale vera e propria.

Si sente ferito sul piano morale, oltre che dal punto di vista giudiziario?

Sì, perché credo che nessuno al mondo sinora abbia potuto pensare che io agissi per un secondo fine. Adesso il semplice fatto che ciò sia scritto in una sentenza, mi mortifica.

Cosa farà da domani? Quale sarà il suo cammino politico?

Sono sincero: non lo so. Mi sento demoralizzato. Aspettavo un riscatto, invece i cinque anni di interdizione pesano già come un macigno. Coltivavo il sogno di tornare ad essere sindaco di Riace, perché ero stato sospeso. Ma adesso qualsiasi mio progetto sarebbe privo di solidità. Se anche diventassi consigliere regionale, sarei rimosso dall’incarico un istante dopo. Ho agito sempre seguendo i miei ideali. L’arrivo in Calabria di quelli che purtroppo, a causa dell’ingiusto sistema globale in cui viviamo, sono considerati gli scarti del mondo, mi ha imposto di fare una scelta: stare dalla loro parte. È una scelta coerente con la mia indole politica, quella della sinistra extraparlamentare. Per me schierarmi con le donne, i bambini e gli uomini costretti a migrare è come stare al fianco di operai e sfruttati. In Calabria la questione del proletariato bracciantile si è imposta di nuovo, in modo drammatico, negli ultimi anni. Noi siamo con chi rivendica diritti e lotta contro una condizione di oppressione.

Insieme a lei sono state condannate altre persone, suoi collaboratori. Cosa sente di dire a loro?

Sono più dispiaciuto per loro che per me.

In queste ore le stanno arrivando messaggi di solidarietà da tutto il mondo. Può servire ad alleviare il suo stato d’animo?

In parte sì. So pure che stanno arrivando tanti compagni e compagne. Domani saranno qui. Mi hanno detto che vogliono manifestare per la libertà mia. Quando penso a questo, smetto di sentirmi solo.

articolo e intervista a cura di Silvio Messinetti e Claudio Dionesalvi per il  manifesto

ai microfoni di Radio Onda d’Urto a commentare la sentenza Francesco Cirillo, compagno e attivista calabrese che da anni segue la vicenda di Riace. Ascolta o scarica  e Gianfranco Schiavone, Asgi. Ascolta o Scarica