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Mimmo Lucano: “Da questo governo nessuna svolta sull’immigrazione”

Intervista all’ex sindaco di Riace. Giudica le recenti modifiche ai decreti di Salvini solo un “palliativo”: “Culturalmente non è mutato il paradigma. Si continua a ritenere l’immigrazione un problema di ordine pubblico e non invece una risorsa sociale”

Il sindaco leghista Tonino Trifoli gli ha appena comunicato che entro 90 giorni dovrà demolire «in quanto abusiva» l’antica forgia ricostruita in estate grazie al lavoro dei volontari della cooperazione sociale calabrese. Ma Mimmo Lucano tira dritto. D’altronde, per il Tar «l’abusivo» sarebbe proprio Trifoli dichiarato ineleggibile.

Intanto, come una trottola l’ex sindaco gira l’Italia per presentare il suo libro autobiografico Il fuorilegge. Pur immerso nelle difficoltà di un modello di accoglienza che malgrado le traversie sta cercando di far rinascere, non esita in nome di una battaglia ideale e culturale a dire la sua sul nuovo provvedimento del governo in tema di immigrazione.

Sindaco, il suo acerrimo avversario Matteo Salvini grida allo scandalo. Annuncia la raccolta firme per i referendum abrogativi e li chiama “decreti clandestini”. Quindi tutto bene? Il nuovo decreto è impeccabile? Non crede che, piuttosto, esca rafforzata la linea Minniti sui respingimenti alle frontiere e sugli accordi con le milizie?

I decreti Salvini nascono in continuità con i decreti Minniti-Orlando. E il nuovo decreto non supera entrambi se non lievemente. Si tratta del settimo intervento sull’immigrazione e culturalmente non ne è mutato il paradigma. Si continua a ritenere l’immigrazione un problema di ordine pubblico e non una risorsa sociale. Viene demandato tutto alle prefetture e sono emarginati gli enti locali.

Questo decreto è solo un palliativo, non ci vedo una svolta. La legge Bossi-Fini non è stata intaccata e rappresenta l’anticamera dello sfruttamento con quello scambio indegno tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro. Il salvataggio in mare viene ancora punito. E quanto al permesso per motivi umanitari era già sancito dalla Convenzione di Ginevra.

Nel libro lei scrive che “in questo disastro economico e sociale in cui siamo precipitati all’improvviso, avremmo un enorme bisogno di idee e prima di diventare un modello per ridar vita a una comunità, Riace era un’idea: era un’idea di futuro”. Perché, per dare futuro e prospettiva, non pensare a un sistema di accoglienza diffuso nelle aree interne spopolate? Perché non utilizzare il Recovery Fund, come proposto da questo giornale, per affrontare il dramma epocale delle migrazioni?

Quando ero sindaco ne parlai con l’allora presidente calabrese Agazio Loiero. La Calabria era “l’obiettivo 1” tra le aree fragili destinatarie dei fondi europei. Poi non se ne fece più nulla. Anzi Riace ben presto l’hanno pure smantellata per far posto al modello bidonvilles, tipo san Ferdinando. Invece sarebbe di grande valore sociale riattivare un processo di ripopolamento nazionale dei borghi abbandonati e delle aree fragili.

La questione meridionale potrebbe anche essere in parte risolta attraverso l’accoglienza virtuosa. L’Europa dovrebbe finanziare e fare da traino a questo processo. Invece Bruxelles si gira dall’altra parte, ha un atteggiamento pilatesco come nel caso della mancata revisione degli accordi di Dublino.

A Riace, negli anni novanta, non esistevano quasi più né agricoltura, né allevamento. L’unica possibilità per i pochi abitanti rimasti era fuggire. Poi il sistema di accoglienza creato da noi ha cambiato tutto. Centinaia di profughi hanno rimesso in moto l’economia del paese.

Lei ha rinunciato, per sua ammissione, a candidature elettorali. Preferisce restare a Riace e far ripartire dal basso il borgo multietnico. I progetti sul territorio, in effetti, stanno rinascendo: il turismo solidale, le botteghe artigianali, il frantoio sociale, la fattoria didattica. Però ugualmente le difficoltà sono tante per fronteggiare le emergenze: bollette, fornitori, medicinali, il latte per i bambini. Vuole lanciare un appello?

Sono tornato a fare il militante, il volontario semplice. Il primo ottobre abbiamo aperto l’asilo multietnico, ci danno una mano le associazioni come la Terra di Piero e riceviamo aiuti dal Banco Alimentare, abbiamo ripristinato il bonus sociale per la spesa. Insomma, abbiamo fatto rinascere un embrione di economia della speranza contro il delirio del libero mercato e del profitto che si sta acuendo durante questa crisi pandemica.

Malgrado ciò, Riace continua ad essere esclusa dalla programmazione nazionale, non riusciamo neanche a recuperare le spese per i servizi sociali resi negli anni scorsi e mai pagati. La prefettura di Reggio deve ancora versare i fondi del 2017. Noi proviamo a far tutto da soli. Ma certo non è facile.

intervista a cura di Claudio Dionesalvi e Silvio Messinetti per il manifesto