Mimmo Lucano: “Chi mi attacca non ha mai visto un rifugiato in vita sua”
- ottobre 08, 2021
- in interviste, migranti
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“Il procuratore ha mai messo piede a Riace? Lo ha mai incontrato un rifugiato di persona? Gli ha mai parlato? Perché nessun giornalista glielo chiede?”. È amareggiato Mimmo Lucano, tanto che convincerlo a farsi intervistare è un’impresa, “la partita mediatica non è a me che interessa”. Dopo la condanna a 13 anni e due mesi, a due giorni dal voto regionale che lo vedeva candidato con Un’altra Calabria è possibile, sia Michele Permunian, il pm che aveva chiesto 7 anni e 11 mesi, sia Luigi D’alessio, il procuratore di Locri, hanno rilasciano rispettivamente un’intervista a Repubblica e La Stampa. Ma Mimmo nemmeno per chi lo definisce “bandito western salito su un piedistallo e con ambizioni politiche” riesce a provare odio. “Quella di Riace è una storia di evangelizzazione, perciò vogliono scambiarla per storia giudiziaria e penale. Evangelizzazione e lotta sociale sono uguali perché vanno nella stessa direzione, l’uguaglianza tra le persone, per questo fa paura”. Intanto è partita una raccolta fondi per sostenerlo nelle spese legali, ma solo l’idea lo ferisce, “Su una cosa Salvini ha ragione, sono niente, ma questo mio essere niente e questo saper vivere di niente mi dà forza. Non è la condanna della mia vita materiale a impressionarmi ma il tentativo di denigrare il mio animo, delegittimare la mia persona, il mio operato. Quella è una condanna che mi uccide”.
Signor Lucano, come sta?
Vorrei che tutto finisse.
Immagino abbia letto le interviste del pm Michele Permunian e del Procuratore di Locri Luigi D’Alessio.
Sì le ho lette.
Le va di commentare alcune loro dichiarazioni?
Non ho intenzione di alimentare una polemica, perché non aspettano altro. Questo non è uno spettacolo.
Non crede che frasi come, cito testualmente il procuratore D’Alessio, “manteneva sempre gli stessi, sottomessi. Gli altri li mandava nell’inferno delle baraccopoli di Rosarno” meritino una smentita?
Non spetta a me smentirli. Siete voi giornalisti che dovreste farlo. Il procuratore ha mai messo piede a Riace? Lo ha mai incontrato un rifugiato di persona? Gli ha mai parlato? Perché nessun giornalista glielo chiede? Le cose che ho letto sono come chiacchiere da bar, dove dice “sai quello dice” e l’altro “dice sai quell’altro dice”. Preferirei morire piuttosto che cacciare via qualcuno e mandarlo nelle baraccopoli. Chi ha disposto di mandare via a forza la giovane Becky Moses, morta bruciata nella tendopoli a Rosarno il 27 gennaio 2018? Non certo io.
Immagino un procuratore. Era sempre lui, procuratore D’Alessio?
Sì.
Che senso ha rilasciare interviste sulla sua persona dopo che c’è stata condanna di primo grado?
Guardi, io non cerco vendette né sfido il giudice, eppure è come se ci fossero due livelli, un livello delle aule di tribunale e uno dell’opinione pubblica, che ragiona, fa domande, com’è giusto in democrazia. E allora le cose sono tanto chiare. Chi ricopre ruoli così importanti sul piano giudiziario che bisogno ha di scendere al livello mediatico? Ha già tutti gli strumenti propri nel suo campo.
La partita sul piano della “reazione del popolo” l’ha vinta lei però, le persone sono dalla sua parte. Forse si sono sentiti attaccati dall’opinione pubblica.
Che bisogno c’è di fare un’accusa falsa dopo una condanna raddoppiata? La partita sul piano della reazione del popolo è dalla mia quindi questo li legittima a dire falsità? Cosa vogliono? La mia completa distruzione?
Ma lei non è distrutto signor Lucano. Sul piano giudiziario ci saranno l’appello e la Cassazione, sul piano dell’opinione pubblica ci sono migliaia di persone pronte a sostenerla anche economicamente, non solo moralmente.
No no, su questa cosa del crowndfunding l’ho già detto, non voglio l’elemosina, ho un orgoglio io. Su una cosa ha ragione Salvini: sono niente, ma questo mio essere niente e saper vivere di niente mi dà forza. I consumi e i falsi bisogni del capitalismo su di me non hanno presa. Non è la condanna della mia vita materiale a impressionarmi.
Cosa la impressiona?
Più della condanna mi feriscono i tentativi di denigrare il mio operato e demonizzare il mio animo. È una condanna che mi uccide.
Quindi quando ha letto “bandito western” si è sentito un po’ morire? O ha provato più rabbia?
Ho provato come… niente.
E pensare che ha anche rifiutato di candidarsi come europarlamentare. Se ne pente?
Non mi pento della scelta, candidarmi godendo di tutta quella notorietà non era per me. E poi già all’epoca mi rimproveravano di essere troppo noto, troppo politico.
Crede in Dio lei?
Sono molto legato ai valori della Teoria della Liberazione. Questa storia di Riace è stata scambiata per giudiziaria e penale ma è una storia di evangelizzazione che nasce dalla scelta di chi rivendica il rispetto degli ultimi e l’uguaglianza tra le persone. Da Riace sono passati moltissimi missionari e uomini di fede e anzi Riace è iniziata con Monsignor Brigantini e poi proseguita con padre Alex Zanotelli. Sabato e domenica sarò ad Assisi, i francescani mi hanno invitato alla “marcia della pace”. Evangelizzazione e lotta sociale sono uguali perché perseguono l’utopia e vanno verso la stessa direzione, l’uguaglianza tra le persone, perciò spaventa. Vinicio Capossela ha detto “In questo luogo c’è stato un tentativo di evangelizzazione, ma la gente ha preferito Barabba”. Wim Wenders invece ha detto che qui ha visto con i suoi occhi per la prima volta l’utopia. Non la caduta del Muro di Berlino, ma Riace, un borgo semi abbandonato della Calabria. Riporto le loro parole perché anche gli artisti hanno la capacità di comprendere la realtà edi trascenderla, proprio come gli uomini di fede.
Cosa le rimane oggi dell’esperienza di Riace?
Rimane l’orgoglio di quel che ho fatto, accogliere le persone considerate “scarto umano” da un mondo occidentale opulento che viaggia in business class a bordo di navi con piscine e discoteche. L’ospitalità è un valore che respiro da quando sono nato, i miei genitori mi hanno insegnato ad aprirmi al prossimo, a non chiudere le porte a chiave, a lasciarle sempre aperte. Anche da sindaco ho fatto così, il mio ufficio non aveva chiave, l’avevo perfino persa.
Cosa direbbe suo padre adesso?
Probabilmente quello che mi diceva quando era in vita, “stai attento, non puoi risolvere i problemi del mondo, il mondo non è come vuoi tu”.
E aveva ragione?
L’altro giorno leggevo una dichiarazione di Franco Basaglia. Alla fine del suo lungo operato disse: “Noi siamo esigue minoranze, dobbiamo accettare questo. Non possiamo mai vincere. Possiamo solo convincere”. Come ho fatto io. Grazie a Riace molte persone sono tornate a credere che un altro mondo è possibile, che un mondo dove non si avversa l’altro, ma lo so si accoglie, con la fierezza e l’armonia di chi sa che di fronte ha sempre un suo pari, qualunque persona sia. Per il potere già questo è inaccettabile.
Per lei un altro mondo è ancora possibile?
Certe volte sono amareggiato, certe volte ritrovo entusiasmo. Io sono legato a una militanza politica extra-parlamentare, sono abituato a non avere la strada spianata, ma la vicinanza che sento dai miei compagni, dai missionari, dagli artisti, dalla gente comune, è un moto dell’animo che non conosce spazi, età, e allora… siamo in una realtà dove tutto rimane ancora aperto.
I suoi ideali sono ormai chiari a tutti, anzi, lo sono da sempre. Quali sono i suoi idoli?
Abbiamo sempre bisogno di un’idea, ma l’idea poi è legata alla persona e la persona diventa prassi, movimento. Diventa un processo. I miei mandanti morali sono Peppino Impastato, Rocco Gatto, Peppino Lavorato, Giannino Rosardo, Angelo Vassallo… Quando hanno ammazzato Angelo (per mafia ndr) avevo i brividi, ma gli stessi brividi, di altra natura però, me li ha dati oggi Dario Vassallo, suo fratello, scrivendomi parole di incoraggiamento. Erano parole, ideali, ma dette e agite da un uomo.
C’è come una nota di pessimismo di fondo nelle parole che ci siamo scambiati finora.
Può darsi, del resto non siamo bambini, bisogna convivere con il pessimismo, ma ciò non ci impedisce di fare grandi cose.
Crede ancora nella giustizia?
La giustizia come ideale sì. Perché la giustizia è come la luce, si fa strada ovunque, anche nelle tenebre. Ma ci vuole tempo, quando giù tutto è determinato.
intervista a cura di Stela Xhunga per fanpage.it