Minniti scatena l’alleato libico e piega la chiesa. Fuoco incrociato sulle ONG.
La guerra alle ONG che fanno soccorso in mare sembra giunta ad un punto di svolta, con l‘attacco a fuoco di una motovedetta di Tripoli e la dichiarazione di interdizione del passaggio in acque internazionali ricadenti nella zona SAR libica rivolta soltanto alle navi delle stesse organizzazioni governative, incluse anche quelle che hanno recentemente capitolato, firmando un Codice di condotta con il ministro dell’interno. Azioni sinergiche che stanno preparando veri e propri respingimenti collettivi come quelli per i quali nel 2012 l’Italia è stata condannata dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo.
La stessa Guardia costiera libica che era già stata protagonista nella campagna diffamatoria contro le ONG, in evidente sinergia con le autorità italiane che ne erano registe, adesso minaccia di morte gli operatori umanitari che continueranno a operare soccorsi in mare in acque internazionali. Acque nelle quali nessuno può interdire il passaggio per andare a salvare vite umane in mare. Vedremo adesso come la Guardia costiera italiana e la Marina militare italiana giustificheranno queste minacce provenienti dagli alleati libici, che in passato hanno già aperto il fuoco anche su una motovedetta italiana. Ancora nessuno comprende se la minaccia del comandante della guardia costiera di Tripoli riguardino la zona Sar libica, che viene dichiarata adesso per la prima volta, o la zona di esclusivo interesse economico della Libia (ZEE) e dunque non 100 ma 180 chilometri dalla coste di Sabratha e Zuwara. Una distanza che mai nessun gommone potrà percorrere, ma anche una striscia di mare nella quale si sono già verificate stragi con migliaia di morti. Ricordiamo che l’operazione Mare Nostrum nel 2013 era partita dopo le due grandi stragi del 3 e dell’11 ottobre, prorio di fronte alla conclamata incapacità, se non assenza di volontà, della Guardia costiera “libica” di garantire interventi di socorso in quella che avrebbe dovuto essere la sua zona SAR. Successivi accordi tra le autorità maltesi e le autorità di Tripoli non hanno mai migliorato questa capacità di coordinamento e di soccorso, che sarebbe imposta dalle Convenzioni internazionali, ed il coordinamento delle attività SAR, nelle quali si inserivano le ONG, era rimasto affidato alla Guardia costiera italiana sia per la zona SAR maltese che per quella libica, con la sola eccezione delle acque territoriali, nelle quali comunque si può entrare in stato di necessità, sempre in base alle Convenzioni internazionali. Adesso si è andati ancora oltre, creando le condizioni per la piena attuazione dei Protocolli operativi del 2007, negoziati dal governo Prodi, e poi recepiti dal Trattato di amicizia italo libico firmato nell’agosto del 2008 da Berlusconi e da Gheddafi, con Maroni ministro dell’interno.
La strategia di Minniti e del governo italiano, dopo avere incassato l’appoggio del presidente Mattarella, si completa con una visita in Vaticano e un comunicato della CEI che costituisce una svolta rispetto al passato.
Intanto sembra che la nave di Generazione Identitaria C Star, fin qui bloccata davanti il porto di Sfax dalla mancanza di carburante, dopo che la Grecia e la Tunisia hanno rifiutato l’ingresso nei loro porti, si stia rimettendo in moto, e minacci interventi di sostegno della Guardia costiera libica in operazioni di “soccorso” che si stanno trasformando in veri e propri sequestri in acque internazionali.
Presto dunque la nave “nera” C Star si aggiungerà alle motovedette libiche ed alle navi della marina italiana in funzione di appoggio a veri e propri respingimenti collettivi. Soggetti privati ed autorità pubbliche concorreranno nella violazione delle regole del diritto internazionale del mare. Altissimo il rischio di nuove stragi. Le attività delle ONG, e degli operatori umanitari, già sotto i colpi delle procure e adesso sotto il fuoco incrociato delle morovedette libiche e dei trafficanti, sono sostanzialmente embedded e si potranno svolgere soltanto nei limiti degli ordini provenienti dal Viminale. A questo punto, forse, sarebbe più dignitoso un ritiro di tutte le navi umanitarie e una denuncia degli illeciti internazionali commessi dal governo italiano e dai suoi agenti. Scelte che in ogni caso produrranno un numero di vittime senza precedenti. In mare e nei centri di detenzione libici.
Perchè con le decisioni già attuate e gli assetti operativi messi in opera tra le coste libiche, il porto di Tripoli e le acque internazionali, il governo italiano alleato della Guardia costiera libica si è già reso responsabile di gravi violazioni del diritto internazionale. I giuristi cominciano soltanto adesso a segnalare i rischi derivanti, non tanto dal Codice di condotta imposto da Minniti, che però è servito a spaccare il fronte delle ONG, quanto dalle sue concrete attuazioni.
Scrive su La Stampa Vladimiro Zagrebelsky
“I rischi di responsabilità internazionale per l’Italia emergono sotto almeno due aspetti. Essi riguardano ciò che avverrà concretamente in mare, indipendentemente da ciò che prudentemente si scrive nei documenti. Si tratta sia della natura effettiva dell’assistenza fornita dalla Marina italiana, sia del comportamento che terranno le autorità italiane nei confronti delle navi delle Ong che non hanno sottoscritto il codice di comportamento o che, avendolo accettato, in singole situazioni nel violino le disposizioni.
Per il primo aspetto rileva l’episodio che ho ricordato iniziando: responsabilità italiane esistono anche fuori delle sue acque territoriali. La Libia non ha ratificato alcuno dei trattati internazionali sui rifugiati e in generale sui diritti umani, ma l’Italia è vincolata a tutti i trattati in materia. In particolare l’Italia è parte della Convenzione europea dei diritti umani. Se le navi italiane dovessero imbarcare migranti, la Convenzione si applicherebbe integralmente e direttamente, poiché quelle navi sono territorio nazionale. Ma anche la collaborazione con le navi libiche potrebbe dar luogo a responsabilità italiana. Si dice che la Marina italiana assicura appoggio logistico, ma cosa vuol dire in pratica? Se in concreto i mezzi militari italiani dovessero «aiutare troppo» le autorità libiche, fino a fornire una vera partecipazione italiana, la responsabilità italiana non sarebbe esclusa dal fatto che l’attività si svolge in acque libiche. I campi in cui i migranti vengono riportati sono generalmente ritenuti orribili, inumani e nessuna cernita le autorità libiche faranno per identificare coloro che avrebbero diritto allo status di rifugiato in Italia o alla protezione umanitaria italiana. Ai libici ciò non interessa, ma all’Italia sì, poiché non può rendersi partecipe di violazioni delle norme sui rifugiati e sul divieto di trattamenti inumani.
Quanto al secondo aspetto, credo che il c.d. codice di comportamento delle navi delle Ong non entri di per sé in conflitto con regole che vincolano l’Italia. Il documento non impedisce in alcun modo alle navi delle Ong di soccorrere persone in pericolo. Le regole oggetto degli accordi tendono a impedire che le navi delle Ong intralcino l’attività delle motovedette libiche nelle acque libiche e che finiscano con il trasformare la loro presenza in mare a ridosso delle acque libiche in un’assicurazione agli scafisti che il loro viaggio sarà breve e sicuro. Ma il problema che non si può ignorare riguarda la condotta che l’Italia terrà nei confronti di navi di Ong che hanno rifiutato il codice di comportamento oppure in concreto non lo hanno osservato. Se una nave carica di migranti si presenta davanti a un porto italiano chiedendo di attraccare e dichiarando di avere malati a bordo o bambini o donne incinte prossime a partorire, l’Italia respingerà quella nave? È ipotesi che è stata lanciata troppo leggermente. Se lo facesse, quali sarebbero le conseguenze giuridiche internazionali e, prima ancora, quali le conseguenze politiche?
I rischi di responsabilità internazionale per l’Italia emergono sotto almeno due aspetti. Essi riguardano ciò che avverrà concretamente in mare, indipendentemente da ciò che prudentemente si scrive nei documenti. Si tratta sia della natura effettiva dell’assistenza fornita dalla Marina italiana, sia del comportamento che terranno le autorità italiane nei confronti delle navi delle Ong che non hanno sottoscritto il codice di comportamento o che, avendolo accettato, in singole situazioni nel violino le disposizioni.
Occorre aggiungere, oltre a diverse considerazioni in merito alla validità di un codice di condotta che attualmente rimane privo di basi legali nelle parti che non richiama le Convenzioni internazionali, che il governo italiano non ha garantito le condizioni per asicurare la dovuta collaborazione con le autorità SAR confinante, adesso sarà quella libica, per il rispetto della vita umana in mare. Non si garantisce infatti l’adempimento dell’obbligo di sbarcare i naufraghi, perchè comunue vedano i procuratori lo stato di necessità di questo si tratta, in un luogo sicuro, che non è il porto più vicino, specialmente quando la sorte dei migranti soccorsi in mare è la detenzione in un campo lager.
Con le modalità operative concordate con la Guardia costiera di Tripoli e con l’invio di unità militari a supporto il governo italiano ha assunto una piena resposabilità nella violazione del divieto di respingimenti collettivi e nella violazione del divieto di trattamenti inumani e degradanti, affermati dalla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Nessuno parla più delle migliaia di vittime, nascoste dai media più grandi all’opinione pubblica. E quando non sono nascosti scatta indifferenza, se non esultanza per chi perde la vita in mare. Un arretramento spaventoso del senso di umanità nel nosto paese. Il contenimento delle partenze dalla Libia, ma presto i migranti troveranno altre rotte, si sta realizzando con la politica della dissuasione, una politica imposta con stragi per abbandono in mare e con i colpi d’arma da fuoco sparati sulle navi delle ONG. Siamo alla fascistizzazione delle frontiere marittime, alla creazione di una zona rossa a mare interdetta soltanto a chi vuole soccorrere vite umane, ma lasciata aperta a chi propaganda idee razziste e collabora con la guardia costiera libica negli interventi di blocco in mare. Di fatto attività di pirateria, o quanto meno di sequestro di persona, che dovrebbero avere anche una sanzione internazionale perchè i privati non possono sostituirsi ai mezzi militari -bloccando in mare naufraghi- nelle attività di controllo delle frontiere.
Rimane un paese intorpidito , dalle coscienze segnate da una crisi economica e morale che ha ridotto al minimo la sensibilità verso i temi dell’accoglienza e della solidarietà. Un paese nel quale le indagini giudiziarie mediatizzate in modo vergognoso espongono gli operatori della solidarietà al linciaggio in pubblico. Un paese che è davvero su un piano inclinato verso una svolta autoritaria che in questo momento si identifica nella linea imposta dal ministro dell’interno. Una linea che nel breve periodo appare vincente, ma che sarà sconfitta dai fatti, se non dal recupero di un minimo di senso di solidarietà e dal ripristino delle regole violate del diritto internazionale e della nostra Carta costituzionale.
Occorre chiedere l’invio di osservatori internazionali, non solo in Libia ma anche in Italia, e raccogliere le procure dei migranti che sono stati rigettati nell’inferno libico. Persone che comunque vanno messe in sicurezza. Fondamentale in questa attività di denuncia, l’impegno dell’UNHCR e dell’OIM che non si possono mettere a servizio delle politiche di sequestro in mare e di internamento praticate dai libici con il sostegno italiano. Si devono attivare centinaia di ricorsi. Occorre portare sul banco degli imputati chi sta violando norme del diritto internazionale ed interno, ma soprattutto sta negando il diritto alla vita a uomini, donne e bambini in fuga dall’inferno.
Fulvio Vassallo Paleologo