Chissà? Magari tra qualche anno anche Imrali – l’isola-carcere dove da oltre vent’anni è segregato Ocalan – verrà dichiarata “Patrimonio dell’Umanità” dall’UNESCO. Così come è avvenuto nel 1999 per Robben Island in Sudafrica.
In quella che originariamente era “l’isola delle foche” (inutile chiedersi che fine abbiano fatto i simpatici pinnipedi all’arrivo dei colonizzatori) furono lungamente rinchiusi molti esponenti dell’ANC. Tra loro Sisulu, Mbeki, Sobukwe e Nelson Mandela. Un destino particolare il suo: da prigioniero politico a premio Nobel per la Pace e presidente del Sudafrica dopo la fine dell’apartheid.
Rimaniamo quindi in fiduciosa attesa, augurandoci che un destino analogo possa compiersi per il leader curdo Abdullah Ocalan. Anche se al momento, purtroppo, le cose non sembrano andare in questa direzione.
A Imrali il fondatore del PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan) è rinchiuso dal 15 febbraio 1999. Per oltre dieci anni in qualità di unico prigioniero e in condizioni molto dure.
Proseguendo ugualmente, con coraggio e coerenza, nella sua ricerca di una soluzione politica pacifica per i conflitti mediorientali e per la questione curda in particolare. Fonte di ispirazione non solo per il suo popolo, ma per milioni di persone in ogni angolo del pianeta. Persone che hanno riconosciuto nel Confederalismo democratico una possibile risposta, una soluzione equa e praticabile per tante problematiche: dall’ecologia alla liberazione sociale, dall’autodeterminazione dei popoli alla lotta contro il patriarcato.
In sostanza, un “contro-modello” alla stato-nazione che va mostrando ovunque – non solo in Medio Oriente – la sua contraddittoria e fallimentare caducità.
L’ISOLAMENTO COME RITORSIONE
In questi giorni sia Ocalan che gli altri prigionieri (Omer Hayri Konar, Veysi Aktas e Hamili Yildirim) stanno subendo l’ennesima, arbitraria imposizione. Ossia l’interdizione ufficiale delle visite (come stabilito il 23 settembre dal procuratore di Bursa) per altri sei mesi, nonostante da anni siano sottoposti all’isolamento pressoché totale. Ricordo che Ocalan aveva potuto incontrare i suoi avvocati – per la prima volta in otto anni – il 2 maggio dell’anno scorso.
Ma solo in seguito alle lotte condotte dalla popolazione curda e in particolare dai prigionieri (vedi il lungo e tormentato sciopero della fame). Tra maggio e agosto 2019 venivano autorizzate altre quattro visite, ma in seguito ben 107 richieste da parte degli avvocati erano rimaste senza alcuna risposta.
Dal 7 agosto 2019 i difensori e il loro cliente sono rimasti senza alcun contatto e la Procura della Repubblica appare intenzionata a non rispondere – nemmeno negativamente – alle loro richieste.
Un ennesimo giro di vite, quasi una ritorsione preventiva per la prevista iniziativa globale del 10 ottobre.
Un passo indietro. Risale al 9 ottobre 1998, quando Ocalan fu costretto a lasciare la Siria dopo 22 anni (coincidenza: a 31 anni esatti dall’esecuzione in Bolivia di Ernesto CHE Guevara, catturato e ferito il giorno precedente), l’avvio di quella che non impropriamente viene definita “cospirazione internazionale” dal movimento di liberazione curdo.
Una cospirazione orchestrata dalla Turchia e da Ankara e a cui presumibilmente hanno dato il loro contributo anche Italia e Grecia.
Per ricordare tali eventi, disastrosi non soltanto per il popolo curdo ma anche per tutti coloro che ancora credono nella Liberazione, viene proposta una “giornata di azione decentralizzata contro l’isolamento di Abdullah Ocalan sabato 10 ottobre”.
Cosi come sta chiedendo il movimento curdo:
“Mobilitiamoci insieme per porre fine al sistema Imrali, chiediamo la libertà di Ocalan e rompiamo l’isolamento della sua persona e delle sue idee”
Gianni Sartori