I “moderni barbari” e la decadenza della politica e del pensiero critico
- maggio 21, 2018
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Non ci volevano senso critico e lungimiranza prodigiosi per comprendere che, infine, il M5s avrebbe provato a stringere un’alleanza governativa con la Lega. Un accordo che, si realizzi o meno, a ben riflettere non è affatto contro natura. Ad assimilare le due forze politiche, infatti, vi sono non pochi caratteri comuni: dal giustizialismo al sovranismo, dall’opportunismo all’ansia di potere, dal razzismo all’ignoranza (anche della Costituzione), fino all’approccio squisitamente di destra per ciò che riguarda non pochi temi, in particolare quello dell’immigrazione.
I “moderni barbari” (la locuzione è del pur solitamente compassato Financial Times del 14 maggio scorso), mentre escludono dal loro contratto la questione meridionale, il contrasto della povertà, il blocco dei lavori della TAV e di altri grandi opere inutili e dannose, non risparmiano affatto quanto a misure sicuritarie se non forcaiole: dall’incremento delle carceri e delle forze dell’ordine alla detenzione anche per i minorenni, dall’estensione della “legittima difesa domiciliare” all’aumento da tre a diciotto mesi del tempo di “trattenimento” dei migranti irregolari nei Cpr (gli ex Cpt-Cie).
Quest’ultima non è la sola misura repressiva prevista in rapporto a immigrazione e asilo: dalla pretesa di rimpatriare mezzo milione d’irregolari alla vanificazione del diritto d’asilo, fino alla chiusura dei porti italiani alle navi che salvano migranti, il paragrafo dedicato al tema non è altro che una sintesi del pensiero (si fa per dire) leghista, cui non è la prima volta che indulge il M5s.
Il contratto include anche ciò che nessuno, nella storia dell’Italia repubblicana, aveva osato apertamente prima. Ci riferiamo alla creazione di una struttura parallela al Consiglio dei ministri, detta Comitato di conciliazione: un organo consultivo e decisionale, cui spetterebbe il compito di “addivenire ad una posizione comune” su tematiche non incluse nel contratto e su “questioni con carattere d’urgenza e/o imprevedibili al momento della sottoscrizione” del contratto. Si tratta di un progetto squisitamente eversivo che, redatto in stile notarile, mira al controllo del presidente del consiglio e del governo, svuotando, in sostanza, “la sovranità della politica e della sua rappresentanza parlamentare”.
Di tutto ciò si sono accorti assai tardivamente taluni uomini di cultura, i quali fino a pochi giorni addietro avevano posto le proprie competenze e/o la loro notorietà al servizio dei pentastellati. E’ alquanto fastidioso constatare che oggi, avendo essi d’un tratto voltato gabbana, ce lo comunichino non già con toni pacati ed espressioni di mesta delusione, meno che mai con accenti autocritici, bensì con la medesima sicumera con cui si erano schierati dalla parte del M5s.
Tra loro, Domenico De Masi, ben noto sociologo che, nondimeno, della sociologia sembra non aver voluto praticare, in tal caso, il principio fondamentale della verificabilità empirica. Non si spiegherebbe altrimenti com’egli, nel giro di un paio di mesi, possa passare da un giudizio all’altro, esattamente opposti.
Il 6 marzo di quest’anno, dopo la schiacciante vittoria elettorale pentastellata, aveva affermato: “Il Movimento Cinque Stelle è la nuova forza socialdemocratica in Italia, il partito delle periferie, dei disoccupati, degli operai, del Sud. Raccoglie la stessa base sociale che una volta era del Pci di Berlinguer”. A essere indulgenti, si potrebbe pensare che, al di là dell’incauto paragone col Pci berlingueriano, egli intendesse proporci un frammento di analisi sociologica.
Se non fosse che, dal 10 maggio in poi, rilasciando interviste a dritta e a manca, il sociologo afferma – a ragione, questa volta – che un governo Lega-M5s sarebbe il più a destra nella storia dell’Italia repubblicana, peggiore perfino del governo Tambroni (che ebbe, com’è ben noto, il sostegno dei fascisti del Msi). E, in un’intervista rilasciata al manifesto il giorno dopo, aggiunge: “Liberalizzeranno il porto d’armi per la legittima difesa, un provvedimento che violenta la cultura italiana. Aumenteranno i controlli sugli immigrati, ridurranno gli aiuti ai richiedenti asilo, che già oggi stanno in campi di concentramento orribili”. D’un tratto “la nuova forza socialdemocratica” è diventata di estrema destra.
Eppure è fin dal tempo degli Amici di Beppe Grillo che questi e altri temi simili sono intrinseci al discorso pentastellato, non solo potenzialmente. Fra le tante perle di Grillo – che abbiamo dovuto citare ripetute volte – basta ricordarne un paio. L’11 febbraio 2006, riportava nel suo blog un lungo passo del Mein Kampf contro “i giullari del parlamentarismo”, corredato da un ritratto del Führer (poi cancellato). Il 5 ottobre 2007 cianciava di “migrazioni selvagge” nonché dei rom romeni come “bomba a tempo”, da disinnescare tramite un accordo con la Romania, onde riconsacrare “i sacri confini della Patria“.
Tali enunciati criptofascisti (per dirlo alla maniera dei Wu Ming) sono dovuti non soltanto all’intemperanza verbale propria del meta-comico. Si tratta piuttosto di un tratto discorsivo e politico che connota la parte più influente del M5s: strutturale e persistente, oggi più che mai in auge. Come dimostra, fra le tante, la sparata di Di Maio, del 21 aprile 2017, contro le Ong quali “taxi del Mediterraneo”, corredata dal classico “chi li paga?”. https://www.facebook.com/LuigiDiMaio/posts/1328205963882613
E’ sorprendente che il nostro sociologo non avesse mai letto di tutto questo, né si fosse mai imbattuto in una delle tante documentate analisi critiche (circolanti anche in rete) dell’ideologia pentastellata.
De Masi non è il solo ad aver repentinamente ritirato il proprio sostegno al M5s senza due parole di autocritica. La stessa cosa ha fatto l’attore Ivano Marescotti, “orgogliosamente comunista”, a suo tempo candidato alle elezioni europee per L’Altra Europa con Tsipras. Dapprima su Facebook, poi in interviste rilasciate rispettivamente al Corriere della Sera, il 18 gennaio, e il 16 febbraio a questa testata, annunciava che, sia pur con un certo scetticismo, avrebbe votato per il M5s “come argine a Berlusconi, alle destre xenofobe e contro qualsiasi ipotesi di inciucio”.
Dopo una decina di giorni, allorché va delineandosi la prospettiva di un accordo con la Lega, invece di ammettere d’aver compiuto un errore di valutazione madornale, d’aver legittimato col suo nome il M5s e in tal modo d’avergli procurato di fatto un buon numero di voti, l’attore se la cava in modo alquanto facile e grezzo: minaccia che, se i pentastellati dovessero allearsi coi leghisti, “noi, che siamo milioni della sinistra ad averli votati, li inseguiremo coi forconi“.
Di forconi sinistro-stellati finora non si vede neppure l’ombra. Se un’ombra si profila è quella, cupissima, di un governo di estrema destra (ricordiamo che la Lega ha tra i suoi riferimenti alcuni ideologi di orientamento nazionalsocialista). Un governo che, oltre tutto, sarebbe all’insegna dell’incompetenza, della litigiosità, dello spregio di ogni principio costituzionale.
Che tra gli elettori del M5s vi sia una percentuale cospicua di persone che si reputano di sinistra, che tali si dichiarino certi maîtres à penser che finora gli hanno tenuto bordone: tutto ciò è la spia di una decadenza culturale, politica e morale che, comunque andrà a finire il progetto avventuroso di un governo fascio-stellato, riguarda la lunga durata. È un processo che ha condotto alla perdita, tra non poca gente di sinistra, del senso critico, dei principi e presupposti più elementari per analizzare e valutare la realtà politica: una tendenza alla quale, almeno dagli anni ’90 a oggi, non poco hanno contribuito partiti e governi detti eufemisticamente di centrosinistra.
Infine, inquietante è l’attuale indulgenza verso i fascio-stellati da parte di qualche politico formalmente di sinistra. In un’intervista rilasciata al manifesto il 17 febbraio, Stefano Fassina, deputato di Liberi e Uguali, il quale non disdegna la frequentazione di rosso-bruni, ammette che, sì, “non è il governo che sognavamo”, ma “chi li attacca oggi è per lo più per la conservazione”. E più avanti, con lessico alquanto ambiguo, depreca “la deriva cosmopolita di parte della sinistra, che considera una parolaccia l’interesse nazionale”.