Menu

Morire in CPR nell’indifferenza delle istituzioni

Il 23 maggio Moussa Balde si è suicidato nel CPR di Torino, dove era trattenuto in condizioni di anomalo isolamento. Il successivo 9 giugno, la ministra dell’interno Lamorgese ha riferito su quella morte, in risposta a specifiche richieste parlamentari e alla crescente mobilitazione dell’opinione pubblica, sostanzialmente assolvendo i responsabili del CPR e tutti coloro che hanno avuto parte nella vicenda. Alle sue parole ha risposto l’11 giugno, con una lettera aperta, l’avvocato Gianluca Vitale nominato da Moussa suo difensore negli ultimi giorni di vita. Qui il testo della lettera che denuncia, insieme, l’anomalia del trattenimento e l’insensibilità delle istituzioni alla vicenda umana di Moussa, come a quella di tanti altri suoi sfortunati compagni e compagne.

Ho ascoltato con attenzione le parole della Ministra Lamorgese che, rispondendo il 9 giugno a un question time dell’on. Fratoianni e di altri, ha – credo per la prima volta – espresso la posizione del Ministero dell’Interno, e dunque delle nostre massime istituzioni, in ordine al decesso nel CPR di Torino di Moussa Balde.

Non posso non notare, sin da subito, come dalle parole della Ministra non traspaia il sia pur minimo rincrescimento per questa morte, il pur minimo sentimento di umana pietà e di cordoglio nei confronti della vittima e dei suoi affetti, avendo anzi la Ministra voluto sottolineare che nei suoi confronti era già stato adottato un decreto di espulsione e che egli aveva dei precedenti. Le sue parole, che vogliono evidentemente essere di assoluzione nei confronti di coloro i quali hanno avuto un ruolo in questa drammatica vicenda, confermano in verità ciò che già temevamo e che emergeva dalle poche informazioni che avevamo potuto raccogliere da Moussa e subito doppo la sua morte: le forze di polizia (ovvero il ministero, e quindi lo Stato) sapevano benissimo che Moussa era stato vittima di una brutale aggressione, ma hanno del tutto obliterato il suo status di vittima di reato, preferendo sanzionare la sua irregolarità. Era, e purtroppo continua ad essere, nelle parole della Ministra e dunque per le istituzioni, un nero, straniero clandestino e poco di buono, del quale occorreva disfarsi.

A poco rileva che la Ministra faccia poi riferimento a un fantomatico colloquio conoscitivo con la psicologa e in presenza del supporto legale: quanto è durato questo colloquio? con quale approfondimento diagnostico si sono esaminate le reali condizioni di Moussa? come mai la psicologa non si è resa conto di quel malessere di Moussa che invece era chiaro ed evidente, tanto da far rispondere da parte del personale del centro, a me che chiedevo di vederlo pochi giorni prima del suo suicidio, che “sta male” e che forse non potrà venire al colloquio? Desta ancora più preoccupazione che non sia stata colta alcuna “forma di fragilità”, come afferma la Ministra, il che conferma che all’ingresso nel CPR c’è una mera parvenza di accertamento dell’idoneità al trattenimento.

Non pare neppure il caso di soffermarsi sull’affermazione relativa alle lesioni, che Moussa avrebbe dichiarato essere dovute a una caduta (l’ennesima “caduta” di una persona che poi sarebbe morta mentre era nella potestà delle istituzioni), lo stesso Moussa che invece al suo legale aveva subito detto essere i postumi dell’aggressione.

E, infine, gravissima appare l’affermazione del suo collocamento «come unico occupante di uno specifico reparto del centro» (ovvero il suo collocamento in isolamento nella struttura denominata “ospedaletto”, piccole celle con cortiletto molto simili a quelle di un pollaio o di uno zoo) in considerazione di una possibile patologia dermatologica contagiosa esclusa dai successivi accertamenti clinici: la Ministra dovrebbe sapere, ma evidentemente non sa, che non c’è nessuna norma che consenta quell’isolamento, e che il Regolamento di quelle strutture, del 2014, prevede solamente che nel caso in cui si dubiti che il trattenuto sia ancora compatibile con il trattenimento egli possa essere collocato in una stanza di osservazione per dar modo a un medico esterno di intervenire. Stanza di osservazione, e non certo una stanza, quale è quella dove è morto, separata dal resto del centro, e assolutamente inidonea a qualunque osservazione (e infatti lì Moussa ha potuto togliersi la vita). E dovrebbe sapere che riservare a una persona privata della libertà un trattamento deteriore rispetto a quello normale trova specifica attenzione in alcuni articoli del codice penale.

Per tacere dei gravi dubbi che deve indurre il pensiero che Moussa sia stato collocato in isolamento per un errore del medico, che ha evidentemente ritenuto, senza fondamento, di avere a che fare con una patologia infettiva; peraltro, quando si è accertato che Moussa non era infetto? Perché, se si è accertato ciò quando era ancora in vita, è stato lasciato da solo, e a morire senza che nessuno lo controllasse, in quella squallida cella?

In realtà i familiari di Moussa ed io la ringraziamo, Signora Ministra: le sue parole sono una confessione, e confermano che purtroppo è successo proprio quello che temevamo e che, in uno Stato che aspiri a dirsi non tanto civile quanto “di diritto”, non dovrebbe mai succedere.

Gianluca Vitale

da VolereLaLuna