Morti nel carcere. Brutte storie, che non finiscono mai
- dicembre 29, 2011
- in carcere, riflessioni, violenze e soprusi
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Questa storia è davvero una brutta storia. Una brutta storia come quelle – chi ha i capelli bianchi le ricorderà – di Giuseppe Pinelli, il ferroviere anarchico volato giù da una finestra della questura di Milano, la sera del 15 dicembre 1969; un uomo, ha detto il presidente Giorgio Napolitano, “di cui va riaffermata e onorata la linearità, sottraendolo alla rimozione e all’oblio”. Una brutta storia come quella di un altro anarchico, un ragazzo che si chiamava Franco Serantini, riempito di botte e lasciato morire in carcere. E quante se ne potrebbero citare, di queste brutte storie: Salvatore Marino, Federico Aldrovandi, Aldo Bianzino, Stefano Cucchi… Queste brutte storie e altre, sono raccontate in un bel libro di Luigi Manconi e Valentina Calderone, “Quando hanno aperto la cella” (Il Saggiatore, pagg.244, 19 euro). Un libro che a leggerlo uno sta male, o almeno ci si augura che faccia male. Tra queste storie c’è anche quella di Giuseppe Uva, “La notte che non finisce più”. Di Giuseppe ha scritto Claudia Sterzi su “Notizie Radicali” di ieri. Davvero una brutta storia. Ma non è finita. Non finisce mai.
Il pomeriggio del 23 dicembre da Milano si viene avvertiti di una svolta nella vicenda. La notizia non è ancora stata diramata dalle agenzie, ma circola, viene data per sicura: Giuseppe, morto all’interno di una caserma dei carabinieri di Varese tre anni fa, ha subito sicuramente violenze e torture anche di carattere sessuale. La cosa emerge dall’esame dei reperti. La cosa costituisce una svolta, la conferma di quello che famiglia e amici sospettano, dicono a mezza voce, chiedendo che su quella brutta storia sia fatta luce, e invece di tutto si fa per affossarla. E’ il 23 dicembre, quando la notizia comincia a circolare. E prudenzialmente, in attesa di conferme e riscontri, aspettiamo. E arriva sabato 24. L’indiscrezione del giorno precedente è confermata. La brutta storia diventa orribile. Ma il 25 è Natale, i giornali non escono; e non escono neppure il 26. Ne riferisce qualche notiziario televisivo, ma come di cosa che capita, un incidente…
Il 27 dicembre i giornali sono in edicola. Di questa brutta, orribile storia non una riga. Provate a fare una ricerca su Google, digitando “Giuseppe Uva”. Prima notizia, l’articolo di Claudia Sterzi su “Notizie Radicali”. Poi un articolo dal sito della “Provincia di Varese”. Si riporta la conclusione del professor Adriano Tagliabracci dell’università di Ancona incaricato della perizia: “Sono presenti tracce biologiche in particolare sulla scarpa sinistra. Sui jeans marca Ram tracce ematiche e salivari di Uva. Materiale biologico non identificato diverso dal sangue, sperma e urine appartenenti a Giuseppe Uva. In regione sacroperineale paramediana destra, oltre a sangue sono presenti cellule pavimentose con nucleo che possono essere derivate dalla regione anale o dalle basse vie urinarie. Il materiale risulta appartenere a Giuseppe Uva. Sui jeans tracce bio di altri soggetti in alcuni casi misto a quello di Uva”. La storia, come s’è detto fin dall’inizio, è una brutta storia, una storia orribile. D’accordo, è Natale. D’accordo, dobbiamo mostrarci tutti buoni e occupati a divertire e a divertirci. E poi c’è stata la strage a Genzano di Lucania, la mattanza in Nigeria, la morte di Giorgio Bocca; e come non preoccuparci del principe Filippo d’Inghilterra ricoverato, e visitato – notiziona! – il giorno di Natale dalla regina Elisabetta, che significa semplicemente che la moglie è andata a trovare il marito?
Però questa brutta, orribile storia di Giuseppe Uva l’hanno ignorata un po’ tutti. Cos’è accaduto, in quella caserma dei carabinieri di Varese? Varese, si puo’ ricordarlo?, la citta’ dell’ex ministro dell’Interno… La sorella Lucia racconta i terribili minuti di quando le viene mostrato il corpo di Giuseppe: “…Su tutto il fianco era blu, sono sicura che non erano i segni dell’ipostasi, io ne ho visti di morti, ho vestito mio zio, mia zia, e quei segni erano lividi. Poi vedo il pannolone. E mi chiedo: perché aveva il pannolone? Mia sorella prende il sacchetto in cui c’erano i pantaloni e li guardiamo. Erano pieni di sangue sul cavallo. Metto via i pantaloni e guardo le scarpe da ginnastica che gli avevo comprato io dieci giorni prima e che adesso erano tutte consumate. Gli slip non c’erano. Gli ho tolto il pannolone e ho visto il sangue. Gli sposto il pene e vedo che aveva tutti i testicoli viola e una striscia di sangue che gli usciva dall’ano. Da quel momento ho giurato che avrei fatto tutto il possibile per arrivare alla verità sulla sua morte, un simile scempio non può restare impunito”.
Valter Vecellio da Articolo21
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