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Naufragio di Cutro, a un mese dalla strage di Stato

Un rapporto del progetto Mem.Med a un mese dalla strage di Cutro

Ad un mese esatto dalla strage di Cutro è stata rinvenuta la salma numero 91. Ancora tanti i dispersi e le persone non identificate. Mem.Med ripercorre il lavoro di monitoraggio, ricerca, accompagnamento e lotta insieme alle famiglie delle vittime e ai sopravvissuti.

Oltre la cronaca: Storie, tempi, luoghi, sconfinamenti

Il resoconto che presentiamo è il risultato del costante lavoro sul campo che l’equipe di Mem.Med – Memoria Mediterranea ha svolto nell’ultimo mese, in seguito al naufragio avvenuto all’alba del 26 febbraio 2023. Un’imbarcazione partita dalla Turchia sovraccarica, con a bordo circa 180 persone per le più di origine iraniana, afghana e pakistana, si infrangeva su una secca a 150 metri dalla spiaggia di Steccato di Cutro, a pochi chilometri da Crotone, in Calabria.

Non il maltempo ma le necro-politiche di frontiera europee hanno provocato la morte di 91 persone 1, al momento accertate, e di decine di altre persone ancora disperse. Nell’intento di ricostruire gli eventi che hanno portato alla strage di Cutro e di chiedere verità e giustizia, Mem. Med ha sottoscritto insieme ad oltre 40 organizzazioni italiane ed europee impegnate nella difesa dei diritti delle persone migranti, un esposto, presentato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Crotone 2.

Ad un mese da questi accadimenti, il nostro lavoro intende andare oltre i fatti cronaca, ripercorrendo l’attività e la pratica di Mem.Med e di chi, assieme a noi, ha portato avanti attività di ricerca e documentazione: di storie inghiottite dal mare, di memorie faticosamente riemerse, di tempi e luoghi di lutto, di commemorazione e di lotta, e infine, nell’intento di contribuire a tessere la trama di una memoria collettiva, a partire da questa vicenda.

Pertanto, il rapporto presenta il resoconto di un tempo di azione breve e concentrato, come quello con cui l’immediata emergenza ci ha obbligate a confrontarci. Un tempo scandito dall’intervento di una molteplicità di attori, tra cui i pochi che, quotidianamente, operano sul tema e i molti altri che, talvolta goffamente, hanno usato la visibilità della tragedia per fuoriuscire dalla loro inattività ed invisibilità sociale o istituzionale. Un tempo breve, ma tuttavia presente. Un tempo meno raccontato e curato, che nondimeno necessita uno sforzo collettivo, affinché non resti invisibile e cada nell’oblio. In questo tempo ci siamo trovate a svolgere un lavoro intenso, seppur non improvvisato. In esso l’esperienza maturata nel tempo dal gruppo di Mem.Med, nonostante la sua recente costituzione, è stata messa in campo, in prima linea, in attività di ricerca e di identificazione dei corpi delle persone non sopravvissute, attraverso un supporto costante delle delle famiglie delle vittime e dei dispersi.

Questo lavoro non vuole soltanto documentare un intervento di emergenza, seguito al naufragio, ma si propone di mettere in luce e denunciare le sistematiche carenze istituzionali che – dalle operazioni di ricerca e soccorso sino alle procedure di identificazione delle vittime – hanno negato alle persone coinvolte il diritto alla vita, alla dignità, al lutto. Nel farlo, esso prova a contribuire alla tessitura di un filo di una memoria attiva e collettiva, come fine ultimo del nostro progetto.

Ad un mese dalla strage, Mem.Med continua il lavoro di monitoraggio, ricostruzione, accompagnamento, diffusione e denuncia di quanto accaduto, a fianco delle persone sopravvissute e dei familiari delle vittime, nella ricerca dei loro cari ancora dispersi.

Come avevamo sottolineato nel riepilogo delle attività da noi svolte nel 2022, pubblicato in un primo rapporto lo scorso 16 marzo 3, a due settimane dal naufragio di Cutro, non vi è epilogo alle stragi di Stato.

Questa ennesima strage ci permette di ri-affermarlo forte e chiaro, attraverso le storie dei familiari e delle stesse morti che gridano verità e giustizia.

  1. Dopo il naufragio: ricerca e identificazione insieme alle famiglie delle vittime

All’indomani del naufragio e dalle prime segnalazioni pervenute dai familiari delle persone disperse, le operatrici e gli operatori di Mem.Mem si sono attivati nell’intento di soddisfare l’insieme di richieste espresse, mobilitando figure professionali e attraverso le conoscenze acquisite sul campo.

Ci siamo recate fisicamente a Crotone, raccogliendo dati e contatti utili.

Sul campo abbiamo potuto incontrare la Polizia scientifica, l’ASP, la Croce Rossa Italiana (Comitato di Crotone e Nazionale), gli assessori comunali, le assistenti sociali, lo staff di Medici Senza Frontiere, l’Associazione Sabir, oltre a collettivi della società civile e singole attiviste e attivisti.

Sono state in particolare le realtà della società civile, dall’Associazione Sabir alle singole persone solidali, che hanno supportato insieme a Mem.Med le famiglie degli scomparsi, abbandonate dalle istituzioni in una situazione emergenziale, in parte rinchiusa nel palazzetto dello sport del Palamilone.

Nonostante la presenza del progetto Restoring Family Links (RFL) della Croce Rossa, dell’Unhcr e di altre realtà che hanno la ricerca e l’identificazione delle persone morte e disperse al centro del loro mandato, ci siamo confrontate sin da subito con la grave mancanza di un coordinamento generale tra i vari attori istituzionali e non-governativi. Non esisteva dunque, anche in questo caso, un sistema chiaro ed efficace di ricerca, identificazione delle vittime e rimpatrio delle loro salme.

Nei primi giorni dopo il naufragio, i familiari giunti da ogni paese non sapevano dove andare. Non essendo stata attivata alcuna procedura in grado di garantire loro un alloggio, dormivano inizialmente in macchina. Successivamente, la rete locale di associazioni, le assistenti sociali del Comune di Crotone, le attiviste di Mem.Med, con l’aiuto della Croce Rossa, si sono occupate di reperire soluzioni abitative in città, e di accompagnarvi i familiari. La spesa degli alloggi era inizialmente coperta dalla Croce Rossa soltanto per due giorni; solo in seguito all’arrivo del Presidente Mattarella, il 28 febbraio, la Regione decise di prendere in carico le spese di alloggio dei parenti in arrivo fino al termine delle procedure di identificazione dei corpi dei loro cari.

Durante la sua presenza Mem.Med si è relazionata con tutti gli attori presenti, mantenendo come priorità quella di stare a fianco delle famiglie, nell’enorme dolore. Purtroppo, il caos dettato dalla poca trasparenza delle procedure e dalla spettacolarizzazione della tragedia contribuivano a renderle quasi completamente disorientate, in balia di chiunque pretende di interloquire con loro, talvolta approfittando del loro grave dolore per ingannarle, strumentalizzarle, fotografarle senza alcun consenso, prendere la parola a loro nome.

Nelle relazioni costruite con i familiari, abbiamo lentamente tracciato un percorso invisibile di ascolto delle loro storie, delle memorie dei loro cari, e delle informazioni ricevute, spesso sconnesse o errate, nell’intento di costruire e restituire chiarezza, a fronte di un’ esplosione di ingiustizia, mancate risposte e assenza delle istituzioni preposte.

In queste relazioni silenziose ci siamo avvolte, da qui siamo partite per un percorso comune di lotta, passo dopo passo.

Riconoscersi per riconoscere.

In quei giorni come Mem.Med ricevevamo segnalazioni dal Cara di Crotone, dove erano state alloggiate le persone sopravvissute al naufragio. Un’ennesima forma di “accoglienza” indegna e disumana: bambini, tra cui 6 minori non accompagnati, donne, uomini, alloggiate in due hangar fatiscenti, di cui uno solo dotato di “letti” mentre il secondo dotato di panche, alle quali i sopravvissuti preferivano il pavimento. Un’ingiustizia senza limite che andava urlata, documentata e denunciata in ogni modo. A tal fine abbiamo tentato di attivare diversi parlamentari che inizialmente non ci hanno ascoltato. Solo dopo alcuni giorni, l’onorevole Mari ha risposto alla nostra richiesta e, dopo essersi recato al CARA con una delegazione di diverse associazioni della società civile, ha denunciato pubblicamente quanto segnalato e rilevato. In seguito a questa denuncia le persone sopravvissute venivano trasferite altrove, come era accaduto nei giorni precedenti ai minori non accompagnati.

Tra loro vi era un ragazzo di 12 anni, unico sopravvissuto della sua famiglia che, una volta accolto in centro idoneo locale, veniva letteralmente assaltato da giornalisti, senza alcuna sensibilità nei confronti del suo lutto. Ciò metteva in luce, ancora, la necessità di proteggere le persone in condizioni di vulnerabilità da quelle forme di giornalismo irrispettose, violente, lesive della dignità umana.

La vicenda di di Cutro si iscrive nel filone delle tragedie che, per numero di vittime coinvolte o per l’immediata prossimità geografica dalle coste italiane, a cui si sono verificate, sono state oggetto di iper-rappresentazione mediatica e visibilità, spesso funzionale a forme di strumentalizzazione politica. In alcune narrazioni mainstream della tragedia e nelle commemorazioni di stato, diversi attori – istituzionali e non – hanno cercato di mascherare e invisibilizzare le proprie responsabilità nella morte delle persone nel naufragio di Cutro. A fronte di una strage causata delle politiche di gestione dei confini, e delle decisioni istituzionali di non intervenire dinanzi a un’imbarcazione in pericolo, si è cercato vergognosamente di attribuirne la responsabilità alle stesse persone in fuga, ai “genitori inadeguati” che mettono i loro figli a bordo di quelle imbarcazioni, a chi le conduce mettendo a rischio la propria stessa vita.

Mem.Med, insieme alle altre realtà solidali e convergenti in campo con cui ha sviluppato una organizzazione corale, ha potuto assistere e testimoniare in prima persona a tali “fantasmi sociali”, costantemente orbitanti le camere da presa e i microfoni della stampa, prontamente evaporati non appena il sipario dell’emergenza è calato.

Identificazione dei corpi

L’equipe di Mem.Med, insieme ad altre realtà, ha segnalato da subito l’importanza di attuare una serie di procedure fondamentali per il riconoscimento delle vittime. In particolare, il 3 marzo, insieme ad altre associazioni, abbiamo inviato una lettera indirizzata alla Procura, alla Prefettura e alla Questura di Crotone e all’Ufficio del Commissario Straordinario del Governo per le persone scomparse, in cui si rappresentava alle Autorità competenti la necessità e l’importanza di garantire tempestivamente lo svolgimento delle procedure finalizzate ad una corretta ricerca e identificazione delle persone rimaste vittime del naufragio 4.

Infatti, monitorando le procedure di identificazione in corso abbiamo constatato che queste prevedevano per lo più il riconoscimento attraverso immagine fotografica delle vittime e non tramite comparazione del DNA dei familiari con quello delle salme. Tale procedura è stata efficace a riconoscere delle vittime nei giorni direttamente successivi al naufragio, quando i corpi recuperati dal mare erano ancora integri e riconoscibili ma, come abbiamo segnalato fin da subito alle autorità competenti, è una modalità non sufficiente e non completamente certa.

Su richiesta e su mandato delle famiglie degli scomparsi che, progressivamente, nel corso dei giorni, si sono recate a Crotone per identificare i loro cari coinvolti nel naufragio, il 7 marzo abbiamo presentato un’istanza alla Procura per sollecitare il prelievo del DNA non solo dal corpo delle vittime ma anche da quello dei familiari con lo scopo di effettuare un esame comparativo dei campioni e dei dati raccolti, anche a seguito di rinvenimenti postumi di corpi, per accertare l’appartenenza e dare seguito alle esequie.

La Procura di Crotone, nonostante i solleciti legali rappresentati dalle avvocate di Mem.Med che si sono recate in loco, in una prima fase non ha predisposto né autorizzato il prelievo del DNA e la raccolta dati ante mortem. Dal momento che diversi familiari che non avevano potuto ritrovare i loro cari tra le salme dovevano ripartire per rientrare nei loro Paesi di provenienza, la necessità di svolgere una tale procedura diventava sempre più urgente. Pertanto anche la Polizia scientifica calabrese e l’ASP di Crotone, che stavano lavorando fianco a fianco nelle procedure di identificazione, hanno manifestato al Pubblico Ministero l’intenzione di procedere in tal senso, attivandosi materialmente per la raccolta dei campioni.

E’ stato solo dopo azioni di pressione pubblica, organizzando una conferenza stampa e portando l’attenzione dei media su questa grave mancanza, grazie anche al supporto di amplificazione e di diffusione da parte della redazione di Melting Pot Europa, che il giorno 15 marzo la Procura ha autorizzato il prelievo dei campioni, permettendo così alla Polizia Scientifica di raccogliere questo materiale e inoltrarlo al laboratorio interregionale per le comparazioni.

Questo risultato costituisce un precedente nella gestione delle morti in mare che implica la presa di responsabilità da parte dello Stato nel lavoro di raccolta dati ante e post mortem ed elaborazione degli stessi, solitamente affidata e realizzata da enti terzi come la Croce Rossa Internazionale o il Laboratorio di Antropologia e Odontologia forense (LABANOF) di Milano.

Mem.Med ha con questi scopi lavorato fin da subito alla compilazione di schede ante mortem delle persone scomparse nel naufragio raccogliendo dati anagrafici, descrizione fisica e segni particolari, nonché informazioni relative all’abbigliamento e agli oggetti personali indossati dalle persone in viaggio, depositando questo materiale e ogni altra documentazione utile alla restituzione dell’identità delle salme presso l’ufficio della Polizia scientifica locale che continua a lavorare all’identificazione dei corpi senza nome.

Inoltre, Mem.Med si è attivata affinché anche i parenti di primo grado delle vittime, che per diverse ragioni si trovano lontani da Crotone, possano avere la possibilità di depositare un campione del proprio DNA presso gli uffici competenti di altre regioni, utili alla comparazione e all’identificazione.

Rimpatrio delle salme

Come già riportato i primi giorni 5, anche per quanto riguarda le procedure di rimpatrio delle salme, le autorità attive sul territorio hanno dimostrato di essere impreparate a gestire simili procedure.

Le bare delle vittime – identificate e non identificate – sono state disposte nel Palamilone che ha funzionato e funziona tutt’ora da camera mortuaria.

Le famiglie delle persone scomparse hanno dovuto attendere settimane per poter conoscere l’effettivo luogo di destinazione e sepoltura dei loro cari, sottoposti all’incompetenza della Prefettura di Crotone che – quasi del tutto assente, soprattutto nella prima fase dell’emergenza – non ha saputo dare risposte certe, confondendo i familiari con illusioni e promesse che tardavano a realizzarsi.

Mem.Med e Sabir, le uniche realtà volontarie attive all’interno del Palamilone, hanno supportato in questa fase gli interessati nel riempimento dei moduli e nella compilazione delle documentazioni utili al rilascio dei certificati di morte, all’ottenimento dei nulla osta da parte delle Ambasciate e alla predisposizione dell’invio delle salme nei Paesi di origine.

La maggioranza delle famiglie ha scelto il rimpatrio in Afghanistan e in Pakistan, nelle città di origine e di vita delle persone defunte. Tra l’arrivo di nuove salme e le fotografie dei morti, le famiglie e i superstiti racchiusi in quel palazzetto – senza alcuna assistenza psicologica – hanno resistito all’ennesima inadeguatezza nella gestione delle vite e delle morti. Gli slittamenti per le partenze delle bare sono andati avanti per giorni, nella rabbia e nello sconforto delle famiglie provate da tanta confusione. Finché l’8 marzo, il giorno precedente al Consiglio dei Ministri (CDM) e all’arrivo a Cutro del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, la Prefettura ha predisposto con urgenza il trasferimento dei corpi verso Bologna, per la sepoltura presso il cimitero musulmano locale. Un ulteriore atto di violenza e sopraffazione da parte del governo che ha scavalcato la decisione dei familiari di rimpatriare le salme nei luoghi di origine. Uno Stato che ha tentato di agire come fosse proprietario di quei corpi, ma pretendendo che fossero le famiglie a pagarne il trasporto, verso destinazioni non desiderate.

Sit-in dei familiari, Palamilone di Crotone, 8.3.2023. PH: Silvia Di MeoCrotone, i familiari in protesta per il rimpatrio delle salme. PH: Silvia Di Meo

E’ stata la protesta dei familiari fuori dal Palamilone, con il blocco della strada e del cancello, che ha permesso di evitare il trasporto dei feretri verso una meta non riconosciuta e accettata dai diretti interessati. La Prefettura, autorizzata dal Governo allertato dalla rivolta in corso a Crotone, ha dovuto pertanto accogliere la richiesta delle famiglie di trasportare i propri cari nei luoghi natii. Il Palamilone fatto di salme e di fiori, ha visto quel giorno uscire e rientrare decine di corpi, caricati e scaricati come pacchi, da istituzioni che hanno preteso di governarne gli spostamenti anche nella morte, così come le politiche di gestione dei confini avevano fatto quando erano ancora in vita, obbligandole a rischiare la vita inCrotone, le salme delle vittime al Palamilone. PH: Silvia Di Meo

Ad un mese dal naufragio, 76 sono le salme rimpatriate, ancora circa 11 le salme abbandonate all’interno della palestra del palazzetto di Crotone.

Ciò nonostante, finita l’emergenza e spenti i riflettori, la Prefettura non ritiene urgente predisporre il trasferimento immediato delle esequie, al fine di fornire loro degna e tempestiva sepoltura. Viceversa ha ritenuto opportuno indire una gara d’appalto volta a individuare l’ente che si occuperà del trasporto, comportando de facto lo stallo delle procedure di rimpatrio. In questa situazione, contraddistinta da gravi criticità di natura etica, oltre che evidentemente, di natura igienico-sanitaria, si consuma l’ennesimo oltraggio nei confronti le vittime di questa strage, dei loro familiari, e delle loro comunità di appartenenza.

La ricerca insieme ai familiari

Il primo caso comunicato a Mem.Med relativo a una donna Tunisina, 23enne, Siwar, e tutte le successive segnalazioni rivolte al nostro progetto, sono state seguite e trattate nella totale delicatezza, riservatezza ed attenzione nei confronti delle vittime e dei familiari. Ciascuna segnalazione è stata tempestivamente condivisa con la Polizia di Stato, secondo i canali da quest’ultima predisposti e diffusi.

Relativamente alla questione del soccorso e della ricerca dei naufraghi e alla luce dei fatti appurati e delle eventuali responsabilità penali venute meno, un esposto è stato raccolto e presentato da 43 organizzazioni italiane ed europee impegnate nella difesa dei diritti delle persone migranti, per la richiesta alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Crotone di rispondere del naufragio di Steccato di Cutro, costato la vita ad almeno 90 persone, l’ultima accertata in queste ultime ore di redazione.

Mentre si tenta ancora di appurare e contenere le informazioni frammentarie, le fake news e la speculazione attorno alla vicenda, il numero delle vittime e dei dispersi è ancora da definire con esattezza.

  1. Frammenti di storie e promesse di memoria: Siwar, Zaman, Azan, Jawid, Sajad, Mina, Fereshthe, Atiqullah, Golsum, Ramih…

Nei primi giorni dall’emergenza sono state attivate a Crotone distinte figure professionali a carico del sostegno psicologico dei familiari e dei sopravvissuti, mediatori e mediatrici etnolinguistiche, insufficienti oltremodo, a colmare le richieste e le necessità di chi tra le famiglie è accorso in loco anche nei giorni e settimane successive per la ricerca dei propri cari, quando i suddetti professionisti avevano già terminato la missione di supporto.

Il marito di Siwar, promesso sposo della giovane 23enne tunisina, è accorso a Crotone non appena perduta la comunicazione con la donna.

Da solo e ignaro delle notizie che avrebbe appreso solo nei giorni successivi, abbiamo accompagnato l’uomo, Shamo, nella complicatissima fase per il riconoscimento dei primi corpi recuperati dai pescatori e dai vigili del fuoco sin dalle prime ore.

Sollecitando il supporto psicologico per Shamo e un’adeguata attenzione per ogni familiare e persona coinvolta nella tragedia, non abbiamo mai perso di vista l’obiettivo e la missione che l’equipe di Mem.Med si prefigge in queste circostanze.

In una prima fase di ricerca della donna, Shamo non ha riconosciuto Siwar tra le persone sopravvissute ricoverate in ospedale né tra le vittime ma i giorni a seguire l’aggiornamento che giungeva dal mare circa il recupero di altri corpi, ha portato l’uomo a reiterare il crudele processo di identificazione nel quale, nonostante la donna fosse stata individuata dalla scientifica attraverso dettagli fisici da lui forniti, non l’ha sottoscritto.

E’ stata la sua famiglia, dalla Tunisia, attraverso una video chiamata proprio con noi, a riconoscere il corpo della donna e ad attestare l’identità.

La medesima circostanza è accaduta per i familiari di Zaman, per cui la sorella arrivata anch’essa dalla Germania, non ha concluso le procedure di identificazione, rientrando presso la residenza, provata dal trauma subìto e dal precario supporto in tal senso.

Tanti i familiari, che in questa immane strage, sul posto o addirittura distanti, dai loro paesi di residenza, hanno sperimentato la rivittimizzazione del trauma tra disinformazione, confusione amministrativa e dolore.

E’ da questi esempi, delineati non solo dal trauma subìto ma soprattutto dall’elevato grado di incertezza che comporta il processo di identificazione delle vittime esclusivamente attuato attraverso pochi e dubbi dettagli circa l’aspetto fisico, che Mem.Med, nel raccoglierli e condividerli con le autorità competenti, ha comunque insistito sin da subito sull’urgenza tempestiva di autorizzare da parte della Procura di Crotone il prelievo del DNA non solo dalle salme come si è fatto fin da subito, ma anche dai familiari diretti delle persone disperse che si trovassero in loco, in quanto unico elemento indispensabile a fornire certezza e dignità alle famiglie delle persone disperse, anche posteriormente al loro rientro, nell’eventuale possibilità di compararlo con i corpi che il mare anche in queste ultime ore continua a restituire in uno stato di decomposizione avanzata.

Sajjad, atteso dalla sorella in Finlandia, Azan dal fratello in Svezia, Siwar partita per raggiungere l’amato in Germania. Si sarebbero sposati di lì a breve una volta ricongiunti, con il sogno di una vita serena altrove, come per tutte le altre, che si è infranto quella notte, sulla spiaggia di Steccato di Cutro. E poi Amarkhail muto e solitario nel suo giubbotto verde, teso tra le porte dove si tenevano gli incontri con i parenti finalizzati al riconoscimento, continuamente in cerca di un pezzo di verità, giunta poi con un sussurro gelido. Safi appoggiato al suo amico, che lo ha accompagnato in un viaggio interminabile per riconoscere moglie e figli, che avrebbe sperato di abbracciare in una casa calda, con il regalo della libertà e di un futuro e non con l’urlo di Habe che inghiottì l’intero Palamilone in una mattinata senz’aria.

  1. I luoghi: la spiaggia, il Palamilone di Crotone e Cutro

Gli scenari dove si è consumata l’emergenza sono essenzialmente tre: Steccato di Cutro, il contesto del naufragio – luogo di morte e di ricerca; Cutro – spazio della politica istituzionale e della sua risposta alla strage; il Palamilone a Crotone, deposito di memoria, scenario di resistenza e di lotte delle famiglie e degli attivisti.

La spiaggia di Steccato di Cutro

Sulla spiaggia di Cutro, distante da Crotone quasi 40 chilometri, ci siamo tornate diverse volte. Non ci siamo recate su quella spiaggia, come in tanti hanno fatto e creduto di fare, per calpestare le prove di una scena del crimine – mai sottoposta a sequestro – ma per accompagnare i familiari che, su loro richiesta, hanno espresso la volontà di percorrerla alla ricerca degli oggetti dei propri figli, figlie, sorelle, fratelli, nipoti.

Sulla spiaggia di Steccato di Cutro, i familiari delle persone morte e scomparse in mare lo scorso 26 febbraio, hanno camminato l’intera battigia alla ricerca di effetti personali che potessero appartenere ai propri cari.

Hanno scavato tra i pezzi di relitti e parti di fiancata dell’imbarcazione, sperando di ritrovare resti, in un giorno ventoso, con il timore che le ricerche potessero fermarsi o non essere approfondite. Ore ed ore, increduli di fronte ad una tragedia tanto vicina ad una spiaggia, quella in cui i loro passi continuavano ad affondare in un dolore feroce. Quindici chilometri pieni di frammenti, chilometri di sabbia e relitti dove tutto ciò che resta di quella tragica notte è un ultimo saluto rivolto al mare che ha inghiottito decine di persone.
Una loro richiesta, in attesa che si faccia giustizia per chi in quel mare vi è sepolto, espressa dalla volontà di poter raggiungere il punto esatto del disastroso evento ancora sotto indagine.Cutro, I familiari scavano a mani nude nella sabbia. PH: Yasmine Accardo

Continuano, infatti, le pressioni alle autorità competenti parallelamente al lavoro di ricerca in mare e in terra che da un mese svolgono attivamente la Guardia costiera e la squadra di Vigili del Fuoco tra subacquei e sommozzatori alla ricerca dei corpi ancora dispersi.

Zahra se lo sentiva che doveva restare e lottare. Pochi giorni più tardi il corpo di Sajjad è stato estratto dal mare e identificato attraverso gli indumenti che portava indosso. Zahra non ha mai smesso di denunciare la necessità di continuare le ricerche anche per tutti gli altri dispersi, di prelevare il dna dai familiari. Fino al giorno in cui ha identificato suo fratello: il giorno più drammatico della sua esistenza e paradossalmente l’inizio di un sollievo nel petto, di sapere che il corpo di Sajjad ha fatto ritorno, restituito dal mare.

Sì, perché oltre la morte, di peggiore c’è la sua negazione. L’esigenza di dare sepoltura al corpo non rappresenta solo un atto di conferimento di dignità alla persona deceduta ma restituisce ai familiari la presenza materiale indispensabile ad elaborare il lutto e la perdita. Il ritrovamento di una persona scomparsa non alleggerisce il macigno della mancanza ma restituisce la pace di saperlo a casa.

Il Palamilone, Crotone

Durante tutto questo mese il palazzetto dello sport del Palamilone è stato il punto di incontro di familiari, sopravvissuti e di deposito delle salme delle vittime. Qui le famiglie si riunivano per pregare, per identificare i corpi dei cari, per cercare la verità. Qui è passata la vita e la morte, tra salme senza nome riportate dal mare e corpi identificati progressivamente.

Qui le famiglie hanno portato le loro istanze, confrontandosi con Polizia, Prefettura, Questura, agenzie funebri e autorità coinvolte. Una lotta costante tra queste mura per ottenere ciò che era giusto: procedure di rimpatrio nei paesi di origine, costi a carico dello Stato, riconoscimento di tutte le vittime attraverso procedure chiare, accompagnamento dei superstiti in centri di accoglienza dignitosi. A fianco delle famiglie abbiamo sostenuto e portato avanti queste richieste, cercando di facilitare l’applicazione delle procedure.

Più volte ci è stato intimato di fermarci, accusate di istigare le famiglie a protestare. Ma è la stessa richiesta di verità e giustizia che ha spinto i familiari a prendere in mano la situazione e ad improvvisare un sit-in dinanzi al palazzetto del Palamilone, a Crotone, adibito a camera ardente da ormai un mese, quando minacciate dal vedersi portar via le salme senza il loro consenso, hanno indetto una protesta al suo esterno. I familiari non hanno mai smesso di presidiare per poter veder riconosciuti i loro diritti e quelli dei loro cari.

In tanti modi queste persone sono state raccontate da giornalisti e politici che ne hanno abbozzato caricature distorte e stigmatizzanti, di uomini e donne venuti dall’Afghanistan, dal Pakistan, dalla Siria, dall’Iran. Da criminali e scafisti sino a uomini e donne “dannati e passivi”, sono stati descritti come esseri che abitavano precariamente questo spazio emergenziale, attraverso retoriche securitarie e paternaliste che hanno tentato di invisibilizzare l’essenza di queste persone, il loro coraggio, la resilienza, le forme di lotta e resistenza di cui si sono rese protagoniste.

Quello che abbiamo potuto osservare e che oggi possiamo affermare con certezza è che solo grazie alla loro presenza e alle loro rivendicazioni che giustizia e verità stanno emergendo da questa tragica storia, attraverso un’azione dal basso delle famiglie in concerto con gli attivisti e le associazioni operative. In questo senso, il Palamilone è stato lo spazio di costruzione di una memoria collettiva e di elaborazione di una contro-narrazione di quanto accade nel Mediterraneo.

Cutro e la (necro)politica istituzionale

Mentre al Palamilone si svolgevano le procedure per il rimpatrio delle salme, a Cutro, il 9 marzo, si teneva il Consiglio dei Ministri (CDM). Il governo, occupando la sede comunale di Cutro per l’incontro istituzionale, bloccava quel giorno il faticoso lavoro di identificazione delle salme finalizzato al rimpatrio.

In quel luogo andava a formulare una risposta securitaria e violenta alle morti in mare: il DL 20/2023 “Disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare”, entrato in vigore dall’11 marzo.

La contestazione a questo incontro formale non è mancata: le attiviste e gli attivisti “La base” di Cosenza insieme a cittadine e cittadini locali, hanno protestato nella piazza dove si è svolto l’incontro istituzionale, lanciando contro la passerella politica dei peluches, simbolo delle tombe bianche dei bimbi rinvenuti sulla spiaggia di Cutro.

In questa circostanza, lo sguardo pubblico su Cutro diveniva un’occasione politica per proporre – ancora una volta – una narrazione completamente distorta e mistificata delle migrazioni contemporanee, e delle morti in mare. Una narrazione fondata sull’esclusiva criminalizzazione di chi fugge, e di chi ne facilita lo spostamento a fronte di politiche di gestione delle frontiere criminali, che violano sistematicamente il diritto alla vita, il diritto di fuga, il diritto di asilo.

Il Ministro dell’Interno e il Governo sollevavano ancora una volta il dubbio che la responsabilità dell’immane tragedia potesse essere delle vittime e delle persone sopravvissute. Nuovamente, si insisteva sul ruolo delle organizzazioni criminali che “eludendo i controlli dell’intelligence europea ed italiana”, costituirebbero il vero nemico da sconfiggere. E, infine, si tornava ad esprimere l’equazione infondata secondo la quale il blocco delle partenze risolverebbe il tema delle morti in mare.
In quella sala comunale, a pochi km dalla spiaggia dove hanno perso la vita decine di persone e dove il Governo non si è recato, la criminalizzazione delle vittime, dei familiari e delle persone che attraversano le frontiere è stato l’ennesimo atto di violenza che lo Stato ha compiuto.

  1. Stato di decomposizione e disumanizzazione

Come operatrici di Mem.Med, insieme alle realtà solidali che per giorni hanno deciso di coabitare con il dolore e la sofferenza delle famiglie, con la confusione e la disorganizzazione con cui è stata data loro ospitalità, con la totale assenza di un dispositivo ed un protocollo in grado di accogliere le esigenze materiali di ricerca dei dispersi ed identificazione delle salme, abbiamo potuto testimoniare e sperimentare una macabra linea di continuità tra i corpi che il mare continuava (e continua) a restituire in stato di decomposizione e la decomposizione dello Stato di fronte ai diritti ed alle necessità delle famiglie.

L’emergenza produce una confusionaria propulsione ed impeto interventista che chirurgicamente ha la funzione di nascondere la graduale erosione di garanzie e tutele che lo Stato riesce a riconoscere nei confronti delle persone migranti. Malgrado gli elementi simbolici non sempre siano il grado massimo di espressione utile a restituire la lettura più vicina al contenuto semantico e concreto dell’agire umano, si predispone ancora una volta come uno degli strumenti più immediati e verosimili per la descrizione di uno stato dell’arte che anche questa volta vede nascere fiori da uno Stato in putrefazione 6.

I momenti concitati dell’emergenza restituiscono il negativo della fotografia: lodi e ringraziamenti hanno un vuoto dietro di sé. Ciò che resta di una persona, al fratello, è un cordino in una busta trasparente 7. Perché l’altra faccia di uno stato in decomposizione è l’atto violento di disumanizzazione a cui destina le persone migranti e le loro famiglie. Nell’emergenza la struttura diseguale e disumana delle forme prevalenti dell’organizzazione politica contemporanea è sostanzialmente attraversata da un vuoto profondo e da un silenzio assordante al cui interno non c’è spazio per un risuonare sincero e reale. La deumanizzazione graduale e chirurgica esercitata nei confronti delle persone migranti è il corrispettivo dell’umiliazione a cui vengono sottoposte, invece, le forme di organizzazione politica locali che operano una resistenza instancabile alle forze sociali e politiche che vorrebbero ridurre una tragedia senza tempo quale quella di Cutro ad un’emergenza da gestire.
Così, il Palamilone, adoperando ancora una volta le parole di un’operatrice che lo ha attraversato in lungo ed in largo per giorni, facendovi accadere numerosi incontri significativi ed eventi trasformativi, diventa da spazio dell’emergenza a luogo di lotta e resistenza 8.

Raccomandazioni e conclusioni

Un mese è passato da quel tragico giorno eppure, è ancora necessario agire, documentare, chiedere risposte istituzionali coerenti, chiare, efficaci. Come progetto Mem.Med esigiamo:

  • che le ricerche dei dispersi proseguano senza sosta e che le operazioni delle autorità competenti in mare e in terra vengano effettuate con la stessa attenzione dei primi giorni;
  • che ci si adoperi affinché i corpi non riconosciuti possano essere identificati quanto prima, coinvolgendo le famiglie che attualmente si trovano fuori dall’Italia o dall’Europa e lavorando a livello internazionale sulla comparazione dei dati;
  • che le salme non ancora rimpatriate e abbandonate nel Palazzetto dello sport di Crotone vengano trasferite in luoghi consoni al loro mantenimento e sepolte quanto prima nei luoghi prescelti dalle famiglie;
  • che venga fatta chiarezza sulle cause del naufragio e si risponda alla richiesta di verità e giustizia per le vittime della frontiera e per i loro familiari;
  • che questa strage stimoli la discussione e la riflessione sulla necessità e sull’urgenza di elaborare un protocollo di azione – che veda coinvolte istituzioni, enti non-governativi e società civile volto ad affrontare la questione delle morti di frontiera in maniera chiara e univoca. Un protocollo che possa garantire la tempestiva ed efficace messa in moto di una macchina coordinata pronta a restituire identità e nome alle vittime, rispondendo alle richieste delle famiglie che hanno il diritto di riportare a casa e commemorare i propri cari.
  • che questa strage sensibilizzi l’opinione pubblica, cieca e muta davanti alla normalizzazione della morte in frontiera e sia memoria di quello che le politiche migratorie europee non devono essere più

Dietro le quinte e sotto i riflettori spenti sull’ennesima notizia di numerosi naufragi in mare, nel Mediterraneo e oltre oceano, mentre apprendiamo che diverse imbarcazioni hanno raggiunto le coste calabre di Roccella e Crotone, continuiamo la nostra lotta contro le politiche di morte e accompagniamo il lutto delle famiglie che in questi giorni hanno potuto garantire, grazie alle loro rivendicazioni, una degna sepoltura ad alcuni dei propri figli e figlie, sorelle e fratelli, madri e padri.

Abbiamo imparato a pensare con dolore, lo abbiamo rimesso al mondo, per agire nel cammino solcato dalle famiglie verso la verità e la giustizia che queste morti ancora esigono. Del dolore e la sofferenza resta viva la memoria, che non tace rassegnata dinanzi all’indifferenza del potere ma si muove per ribaltare le trame tessute delle sue frontiere. Il lavoro di Mem.Med non è terminato e non avrà termine fino a quando questi crimini non saranno arrestati, e con essi i reali responsabili.
Oltre la morte, l’accettazione e l’invano tentativo di seppellire il rispetto di chi è morto per una vita degna, c’è la cura di un germoglio che vive e cresce nel ricordo di chi resiste. Il nostro debito è immenso verso ognuna di loro alla quale dedichiamo l’impegno e la promessa di memoria. Attraverso il dolore che non conosce rassegnazione, Mem.Med continua a scegliere il luogo giusto, nel quale stare, nel quale agire, nel quale lottare, al fianco di chi si muove al margine senza comunque mai morire.

  1. Secondo l’ultimo aggiornamento ricevuto nella mattinata del 26/03/23
  2. Naufragio di Cutro, l’esposto di 43 organizzazioni: «Era prevedibile ed evitabile»
  3. «La mer(e) Méditerranée».1° Rapporto del progetto Mem.Med sulle attività di ricerca e identificazione delle vittime della frontiera del Mediterraneo (2022/2023)
  4. La lettera è scritta e firmata da ASGI, Mem.Med, Lasciatecientrare e Milano Senza Frontiere
  5. Cutro: 150 metri ed una strage di Stato.Un rapporto del progetto Mem.Med che sta operando in supporto dei familiari delle vittime e ai superstiti
  6. I fiori del mare contro lo Stato di decomposizione. Da loro apprenderemo a sopravvivere e a lottare
  7. Un cordino. Per una promessa di lotta. e il fratello morto nel naufragio: «Perché non ho potuto abbracciare mio fratello in un aeroporto? Perché?»
  8. Il Palamilone: quando lo spazio dell’emergenza e del dolore si fa spazio di lotta e di resistenza.Le giornate di Cutro raccontate da dentro

https://www.meltingpot.org/2023/03/naufragio-di-cutro-a-un-mese-dalla-strage-di-stato/

https://www.rainews.it/tgr/calabria/video/2023/03/rete26febbraio-naufragiodicutro–e7b492c8-7fae-4c3d-98c5-7726840ea7f0.html?nxtep&fbclid=IwAR0H7BD5Z2gXoMfAHq4WsXKGKjMX6wT3Ooa3SFXCD78N6wx_xnFx10LvDlM

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