Le acque libiche tornano a essere vietate ma sulle stragi è calato il silenzio. Le conseguenze più che prevedibili dell’accordo del governo italiano con la guardia costiera libica, la gente che annega come gli speronamenti, non sono più una notizia rilevante.
Gli accordi di Minniti con la Guardia Costiera libica funzionano davvero bene. Appena una ONG riesce ad effettuare una vera azione di soccorso, succede che le acque libiche ritornano ad essere vietate, in violazione del diritto internazionale del mare. Una violazione di cui l’Italia si sta rendendo complice e garante. Sono queste le violazioni che andrebbero denunciate in Procura...direttamente alla Procura di Roma per ragioni di competenza. Come andrebbero denunciate le violazioni dei diritti umani in Libia perpetrate da milizie colluse con i trafficanti e retribuite anche con fondi europei.
Anche la Federazione nazionale della stampa lamenta la censura imposta dal governo e dalle più alte cariche militari italiane su quanto sta accadendo in Libia e nelle acque del Mediterraneo centrale.
Malgrado le proteste in Tunisia, la stampa italiana nasconde le responsabilità della tragedia avvenuta una settimana, fa a 50 chilometri dalle coste di Kerkennah, attribuendo ogni colpa al solito presunto scafista. Neppure una parola sulla dichiarazione del Capo del governo tunisino che ha definito il naufragio “una tragedia nazionale”. Non è arrivata sui mezzi di informazione italiani neanche la rabbia dei parenti. Rimane il fatto che la tragedia è avvenuta tra il 9 ed il 10 ottobre all’inizio di un periodo di manovre militari congiunte tra Italia e Tunisia. E ancora ieri domenica 15 ottobre altri dieci corpi di migranti annegati a seguito dello speronamento sono stati ritrovati in alto mare.
Lo stesso clima di censura si vive attorno alla strage dell’11 ottobre 2013, malgrado in questo caso, di fronte alle prove evidenti di responsabilità dei vertici della marina italiana e della Guardia costiera qualcosa sia filtrato nell’insofferenza generale (e dei generali). Per alcuni vertici della Marina si tratterebbe soltanto una campagna di stampa. E per qualche magistrato di una faccenda scomoda da archiviare o da mandare in prescrizione. Se ancora se ne parla lo dobbiamo solo a un giornalista coraggioso e ad una società civile che non si arrende, oltre alla perseveranza dei parenti delle vittime. Gli unici forse che credono ancora nella giustizia. Il parziale ”mea culpa” della ministro Pinotti non basta di certo a ristabilire la giustizia.
Nessuno può pensare di autoassolversi per quella che è stata strage e che appare ogni giorno di più come conseguenza di accordi volti più a difendere le frontiere marine che a salvare la vita delle persone in pericolo. Una strage che macchierà per sempre l’Italia, che alterna fasi di soccorso in mare davvero ammirevole, a periodi, come quello attuale, in cui la sicurezza e la difesa dei confini prevalgono sulle ragioni dei richiedenti protezione e sulla tutela delle loro vite. Nessuno può ignorare che in Libia non ci sono casi isolati di violenze, si tratta di abusi quotidiani generalizzati.
Solo adesso si scopre, e lo affermano le Nazioni Unite, che le ONG non sono un fattore di attrazione per le partenze dei migranti. Smentite le tesi diffamatorie fatte circolare da Frontex e dal governo italiano. Per uscire da questa stagione nera dell’abbandono in mare occorre una completa riabilitazione di tutte le ONG che hanno operato soccorso in mare sotto il coordinamento della Guardia costiera italiana, ed una immediata sospensione dei rapporti di collaborazione con la guardia costiera e con le milizie libiche che non garantiscono il rispetto della vita e dei diritti fondamentali dei migranti. Una scelta che l’Italia ha fatto approvare in Europa. E l’Italia sta già organizzando altri corsi di formazione per la Guardia costiera libica, questa volta addirittura in Tunisia.
Non rimane che raccogliere prove e conservare memoria. Contro la cancrena della disinformazione che prepara ad una stagione di guerra e di repressione, sia sul piano interno che su quello internazionale. Mentre gli HOTSPOT sono stati trasformati in nuovi centri di detenzione, come a Lampedusa, per preparare rimpatri sommari, senza alcuna possibilità di difesa.
Fulvio Vassallo Paleologo