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No Tav: Lacrimogeni e idranti contro la protesta pacifica

E’ passato quasi un mese dallo sgombero del presidio della Maddalena, Chiomonte, val Susa. Durante questi giorni agli italiani è stato raccontato che il cantiere per l’alta velocità in val Susa era iniziato, il tutto grazie alla professionalità delle forze dell’ordine. Ma, se esistesse un potere mediatico degno di rappresentare il suo ruolo, questa favola non sarebbe raccontata. Dopo circa un mese il cantiere non esiste e l’unica cosa che la Val Susa ha visto nascere è una nuova caserma sperduta tra i boschi dove vivono circa mille soldati, alpini compresi. Del tunnel geognostico nessuna traccia: solo reti, sbarramenti, posti di blocco, cancelli che si moltiplicano giorno dopo giorno e sempre più soldati in assetto anti sommossa. In compenso il governo italiano in questo periodo ha introdotto il ticket sulle visite ospedaliere e il commissario europeo ai trasporti Kallas ha annunciato un ulteriore taglio ai fondi destinati alla tratta Lione-Torino.
In val Susa non doveva arrivare l’esercito perché non era necessario: lo disse a giugno il ministro Maroni. Tre giorni fa ecco arrivare cento alpini e tre mezzi cingolati del battaglione Susa. Da Kabul a Chiomonte, dalla guerra contro i talebani e i terroristi alla repressione dei cittadini italiani che osano protestare, pacifici ma implacabili. Perché tutte le sere al calare della notte, cinquecento valsusini circondano la neo caserma-cantiere di Chiomonte, impugnano bastoni ed iniziano a battere su guard rail, cancelli, segnali stradali. Un frastuono che dura fino all’alba. Così dall’altra parte poliziotti, carabinieri, finanzieri e alpini non possono che subire il molesto scandire di colpi che echeggia nel fondo della montagna e rimbomba dappertutto, che non smette mai ed entra nella testa. La scorsa notte, dopo una affollata assemblea popolare, circa duemila manifestanti decidono di allargare la protesta: non solo più dal lato ovest, dove si trova la centrale elettrica ed il primo sbarramento delle forze dell’ordine, ma anche ad est, località Giaglione, a pochi metri dal cantiere protetto da reti e filo spinato.
Presso la centrale elettrica tutto rientra nei limiti della protesta civile. C’è il frastuono, tre ragazzi che aprono una breccia di quaranta centimetri in un primo cancello largo sei metri protetto da un successivo cancello, da cento poliziotti e un idrante. Poi c’è qualche raggio laser che punta nel mucchio dei poliziotti. Ma soprattutto c’è quel tremendo frastuono che non smette mai e, evidentemente, rende nervosi.
Si inizia alle dieci e mezza. A mezzanotte non è volata nemmeno una pietra. Dieci minuti dopo sembra di essere in guerra. Idranti, lacrimogeni ovunque, folla in fuga per le montagne. Per i manifestanti la causa che ha scatenato la violenza dei soldati sarebbe l’alacre lavoro di tre ragazzi intenti ad aprire, a mano, una breccia simbolica. La polizia parla invece di lancio di bulloni.
In particolare i lacrimogeni vengono sparati in direzione del campeggio che si trova a cento cinquanta metri dal primo cancello delle forze dell’ordine. Nel campeggio ci sono le famigliole che non hanno voglia di unirsi alle proteste. Ci sono bambini che giocano, la cucina che distribuisce la cena, i tendoni con i dibattiti. I lacrimogeni volano dieci metri sopra le teste dei manifestanti che si trovano a settanta-ottanta metri dai soldati che sparano, e piombano a venti metri dalle tende. Tutto il campeggio viene invaso dal fumo che provoca spasmi di ogni tipo. La questura ieri ha smentito sostenendo che nessun lacrimogeno è stato sparato «all’interno» del campeggio. Non c’è via di fuga se non lungo il fiume perché l’assenza di vento nella notte fa ristagnare i gas. Mentre idranti vengono usati senza risparmio verso coloro che disturbano battendo con i bastoni sul ferro e lanciano sassi. Ad un chilometro di distanza, a Giaglione, la situazione è più o meno simile. Sui poliziotti vengono lanciati dei fuochi artificiali che colorano la notte. Risposta anche qui con lacrimogeni che cadono su mucchi di foglie secchi provocando piccoli incendi spenti dai manifestanti. All’una e mezza il grosso dei valsusini torna a casa. Ma la caserma di Chiomonte resta sotto assedio continuo. Tutti i giorni e tutte le notti.

Maurizio Pagliassotti da Liberazione