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No Tav terroristi? Più che un processo una farsa di Stato

Il processo di primo grado in svolgimento a Torino, nell’aula bunker del carcere delle Vallette, contro quattro giovani attivisti No Tav imputati «per condotte e atti di terrorismo» rei di aver “sabotato” un compressore, è a conclusione. Le richieste formulate dai Pm a carico di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò è di 9 anni e 6 mesi di reclusione.

«Chiunque per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico attenta alla vita o alla incolumità di una persona, è punito, nel primo caso, con la reclusione non inferiore ad anni venti e, nel secondo caso, con la reclusione non inferiore ad anni sei». Così recita il primo comma dell’articolo 280 del codice penale, quello che inquadra il delitto di ”attentato per finalità terroristiche o di eversione”, il reato contestato a Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò.

Ma su cosa si basano le accuse di “terrorismo”? Il fatto contestato riguarda un “assalto” al cantiere della Maddalena la notte del 14 maggio 2013 nel corso del quale venne “sabotato” un compressore. Il fatto venne originariamente considerato dalla Procura di Torino come reato comune ma, improvvisamente, in sede di richiesta della misura cautelare, la contestazione mutò in ”attentato per finalità di terrorismo”. I Pm pongono a fondamento della contestazione d’accusa: a) l’idoneità del fatto ad arrecare un grave danno al Paese («è indubbio che azioni violente comequella della notte di maggio arrechino un grave danno al Paese quanto all’immagine — in ambito europeo — di partner affidabile »); b) l’attitudine dell’“attacco al cantiere”, in considerazione delle modalità e del contesto, a intimidire la popolazione e a costringere gli organi preposti alla revoca delle concessioni di costruzione della tratta ad alta velocità.

È evidente, in base all’inchiesta della procura Torinese e dalla richiesta dei Pm, che il reato di terrorismo è utilizzato per criminalizzare qualsiasi forma di resistenza a quanto deciso dai poteri economici e politici. Ogni imposizione dello Stato, secondo la procura di Torino, ammette tutt’al più la lamentela, ma condanna il “diritto di resistenza”. La volontà della procura torinese di utilizzare la categoria del terrorismo è chiara nella volontà di produrre una intensa riprovazione sociale. Un’evocazione impropria del terrorismo conferisce sicuramente maggiore autorevolezza alla repressione, significa, in altre parole, introdurci artificialmente nella dimensione esistenziale di uno “stato d’eccezione” permanente, nel senso originario e letterale del termine, il quale evoca una situazione di sospensione della normalità e della Norma (a cominciare dalla Norma fondamentale, la Costituzione, per arrivare alle “normali” regole del Diritto).

Che la repressione sia un strumento del potere per negare il dissenso si sa. Che i diktat finanziari, impongono strette sul controllo è noto, ed è evidente ancor di più nei paesi in cui la condizione sociale è maggiormente aggravata dalla crisi. Tutti sappiamo che quando in gioco c’è una grande quantità di denaro, intorno a esso si eleva un muro che sospende la normale dialettica politica e le stesse regole delle decisioni democratiche. E quanto più la posta si fa ricca, tanto più quel muro si fa invalicabile, il meccanismo intoccabile, la discussione inutile perché la decisione sta a monte. Il Tav resta, oggi, la più ricca preda in questo gioco: quella in cui maggiore è la concentrazione monetaria e più facile la gestione nei circuiti affaristico-clientelari.

Ma, oggi, la lotta in Val Susa non è solo una lotta popolare contro una grande opera ma è anche una lotta di resistenza contro l’occupazione militare di un intero territorio, e con un atto di “sabotaggio” si rivendica il giusto “diritto di resistenza” di un popolo e come tale va compresa e giustificata. Nella storia del movimento operaio e di liberazione gli atti contro le cose che simboleggiano o materializzano lo sfruttamento del lavoro o le occupazioni militari ci sono sempre stati. Dai territori alle fabbriche. A volte erano giustificati altre no, ma nulla avevano a vedere con quello che oggi la procura di Torino definisce come “terrorismo”. Del resto anche la storia delle lotte nonviolente ci racconta di azioni di sabotaggi. Lo stesso Gandhi ne rivendico l’uso nella lotta contro l’occupazione britannica. Il nostro ordinamento prevede che alcuni reati possano esser commessi per motivazioni di alto valore sociale civile o morale e per questo ricevere forti attenuanti. Proprio quelle che dovrebbero essere adottate per giudicare la lotta del popolo della Val Susa, contro il tentativo, questo sì, veramente “terroristico” di creare paura per reprimere con assurdi capi d’accusa attivisti dediti all’opposizione di una grande opera utile solo alle “commesse” per le organizzazioni criminali.

Le gravissime accuse dei Pm di Torino ai No Tav, così come le condanne inflitte ai manifestanti per Genova 2001 e per il 15 ottobre 2011 a Roma, l’utilizzo continuo del reato di devastazione e saccheggio (reato introdotto dal Codice Rocco), la leggerezza con cui si richiedono dure e assurde misure cautelari, le condizioni nelle carceri e l’impunibilità delle forze dell’ordine, fanno riferimento alla “tecnica” dello “Stato d’eccezione”.

Non c’è legalità senza giustizia sociale. Le lotte sociali hanno sempre marciato su un crinale sottile che anticipa legalità future e dunque impatta quelle presenti. Quindi è giusto e necessario essere solidali con Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò e con la lotta No Tav in tutte le sue diverse espressione e manifestazioni, proprio perché si è consapevoli che sul movimento in Val Susa si stanno sperimentano dei modelli che potranno essere applicati in futuro ad ogni forma di dissenso sociale.

Italo Di Sabato – Osservatorio sulla Repressione

articolo pubblicato su Il Garantista 2 dicembre 2014

Comments ( 1 )

  • […] No Tav terroristi? Più che un processo una farsa di Stato I Pm di Torino chiedono 9 anni e 6 mesi di reclusione per 4 ragazzi del movimento No Tav «per condotte e atti di terrorismo» rei di aver “sabotato” un compressore. Un’evocazione impropria del terrorismo conferisce sicuramente maggiore autorevolezza alla repressione, significa, in altre parole, introdurci artificialmente nella dimensione esistenziale di uno “stato d’eccezione” permanente… […]