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#NoG20 Amburgo: Dal carcere Billwerder non è tutto.

Una conversazione con Maria Rocco, una delle compagne arrestate durante le mobilitazioni contro il G20 tenutesi ad Amburgo lo scorso luglio

Riportiamo in questo articolo le riflessioni che abbiamo fatto qualche giorno fa in compagnia di Maria, del Postaz di Feltre, una delle compagne arrestate durante le mobilitazioni contro il G20 tenutesi ad Amburgo lo scorso luglio.

Questo approfondimento nasce dal fatto che abbiamo registrato un oggettivo accanimento nei confronti dei manifestanti arrestati, in particolare di quelli non tedeschi, sia da parte della polizia in piazza, sia da parte dei giudici.  Questo è stato testimoniato qualche settimana fa dalla condanna a due anni e mezzo di un attivista olandese per disturbo aggravato della quiete pubblica, avvenuta solamente sulla base di testimonianze, tra l’altro contraddittorie, da parte dei poliziotti.

Partiamo dal fatto che poche sono le informazioni a disposizione degli arrestati sulla burocrazia giuridica tedesca; l’unica cosa certa sembra essere lo svolgimento del processo entro il limite massimo di sei mesi dall’avvenuto arresto. Gli avvocati del legal team hanno più volte sostenuto che ci sono state e continuano ad esserci delle palesi violazioni dei diritti umani.

Ma andiamo con ordine e ripercorriamo le giornate di Maria dal fermo all’arresto.

Maria è stata fermata il 7 luglio alle 6.30 del mattino e condotta in container organizzati apposta per il G20; l’agglomerato di prefabbricati in cui i fermati venivano trascinati porta l’inquietante nome di GeSa.

Maria viene appunto condotta nel GeSa e non ha possibilità di incontrare il suo avvocato sino alle 23.30 del 7 luglio; in quelle ore viene negata ai fermati qualsiasi informazione che fosse loro utile per difendersi o semplicemente per capire cosa stesse accadendo.

Arrivati al GeSa ci racconta: «venivamo perquisite (lei e le altre 5 fermate che erano insieme a lei ndr), alcune di noi hanno subito anche una pesante perquisizione corporale e siamo state condotte nel nostro container con la porta blindata; nessuna finestra e solo la luce di un neon sempre accesa per non farci percepire nulla di ciò che accadeva all’esterno». Là dentro hanno aspettato il primo pasto arrivato solo la sera: «nel frattempo si poteva chiedere solo acqua e per accedere al bagno bisognava essere schedate e accompagnate con gli agenti che ci scortavano tenendoci con le braccia aperte, pronti a spezzarle al primo movimento sospetto».

Il sabato sera Maria ed altre sette ragazze sono state tradotte, dopo aver subito il processo per la convalida dell’arresto, la fotosegnalazione e la presa delle impronte, a Billwerder, il carcere di Amburgo.

Ricordiamo che lo stato di arresto, anche in questo caso, viene confermato dai giudici solo ed esclusivamente grazie alle testimonianze vocali degli agenti presenti nelle strade della cittadina tedesca durante il vertice. I giudici e l’accusa non si sono avvalsi di alcuna testimonianza video in quanto le indagini erano ancora in corso e i filmati non erano ancora stati esaminati tutti.

Nella giornata di domenica tre delle otto ragazze, ovvero le cittadine tedesche, sono state rilasciate e le altre cinque, tra cui Maria, dovranno aspettare il 14 luglio, ovvero l’udienza di ricorso in primo grado, per sperare nella liberazione.

Durante i giorni di carcere Maria si scontra subito con la burocrazia tedesca, lunga e complessa: «per poter comunicare con mia madre, per aver diritto alle telefonate con l’esterno e alla visite dovevo compilare moduli in tedesco senza potermi avvalere di alcun mediatore linguistico». Sono passati almeno tre giorni perché Maria potesse parlare con il suo avvocato e altrettanti per aver il primo contatto con la madre; durante la prima settimana le quattro ragazze fermate con lei, residenti in Germania, sono state rilasciate, una di esse su cauzione di dieci mila euro e un’altra con obbligo di firma.

«A Billwerder eravamo in una ventina per piano, ognuna in una cella singola, l’ora d’aria era dalle nove alle dieci del mattino per noi ragazze e la percezione dell’esterno era quasi nulla; se c’erano dei giornali nella sala comune erano di giorni addietro, ovviamente tutti in tedesco e di impostazione conservatrice, idem per la televisione che trametteva solo programmi della tv locale e un paio di canali francesi e inglesi; le poche informazioni venivano o dal mio avvocato del legal team (avvalersi di uno dei difensori appartenenti al legal team per i giudici sembra essere un aggravante in quanto potrebbe significare essersi organizzati già in precedenza per la difesa e quindi essere già predisposti a delinquere ndr) o da mia madre quando riuscivo a vederla o a telefonarle con una scheda telefonica addebitata al mio conto», continua Maria che rimarrà nella sua cella fino all’udienza in terzo grado di ricorso del 10 agosto, quando è stata lasciata a piede libero in attesa di giudizio. Il processo dunque è ancora in corso e, come scritto sopra, dovrebbe avviarsi entro sei mesi.

Le motivazioni del rilascio sono puramente familiari e personali, mentre i capi d’accusa sono: disturbo della quiete pubblica, resistenza a pubblico ufficiale e tentate lesioni. Ricordiamo che i capi d’accusa non hanno alcuna prova a sostegno se non la testimonianza orale di alcuni agenti.

Alla fine della chiacchierata il pensiero va inevitabilmente a Fabio Vettorel che ad appena diciotto anni è ancora in stato di arresto presso l’istituto penale per minori Hahnofersand ed al quale è stato rigettato, lo scorso 31 agosto, il ricorso presso la Corte Costituzionale che ha dichiarato di non avere gli strumenti per emettere una sentenza. Dal 6 agosto per Fabio vige un regime restrittivo.

Il capo d’accusa di Fabio è “disturbo alla quiete pubblica” con l’aggravante di un giudizio che ci porta a ripensare alle teorie becere di Lombroso che dovrebbero essere state superate da almeno un secolo; i giudici ritengono che Fabio, senza averlo mai incontrato e senza nessun consulto di esperti e psicologi, abbia una carenza educativa e quindi una predisposizione alla violenza. Ricordiamo che parliamo di un ragazzo appena maggiorenne totalmente incensurato e mai coinvolto in azioni violente.

L’appello rimane lo stesso, vogliamo tutt* liber* subito, e cosa possiamo fare nel concreto? Di sicuro possiamo farci sentire intanto con Fabio, Emiliano, Alessandro, Riccardo e Orazio.

L’indirizzo per scrivere a Emiliano Puleo, Alessandro Rapisarda, Riccardo Lupano e Orazio Sciuto è:

Jva Billwerder, Dweerlandweg 100, 22113 Hamburg.

Se volete scrivere a Fabio Vettorel invece l’indirizzo è questo:

Jva Hahnofersand, Hinterbrak 25, 21635 Jork.

da GlobalProject