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Milano 16 e 17 Aprile 1975: Gli omicidi di Claudio Varalli e Giannino Zibecchi.

Nelle terribili giornate del 16 e 17 aprile del 1975, due compagni milanesi furono uccisi. Il primo Claudio Varalli dai fascisti, il secondo, Giannino Zibecchi, il giorno successivo venne schiacciato da un camion dei carabinieri che caricava la manifestazione di protesta contro l’assassinio di Varalli.

Ma negli stessi giorni in altre città come Torino e Firenze vennero uccisi altri due compagni: Tonino Miccichè ucciso da un vigilantes durante una occupazione di case e Rodoflo Boschi ucciso dalla polizia durante una delle manifestazioni di protesta di quelle giornate. Sono passati quaranta anni.

A questa ricorrenza intesa come “memoria dell’incompatibilità del conflitto di classe”, è dedicato questo contributo dei compagni del Csa Vittoria di Milano.

Nella società dei consumi e dell’ immagine tutto diventa “evento” senza contenuti ne approfondimento alcuno. Il bombardamento di informazioni fa si che tutto sia simile, che tutto appaia appiattito senza importanza ne spessore, un annichilimento delle coscienze in un sovrapporsi di eventi che si susseguono senza discontinuità.

Purtroppo, ogni tanto, ci sembra di vedere che anche a “sinistra”, molte cose si mastichino e si digeriscano senza che rimanga e sedimenti nulla di preciso.

Gli “eventi” passano e si consumano come un oggetto qualsiasi e persino il ricordo traumatico e doloroso di compagni ammazzati pare non diventare memoria storica e rabbia inesauribile ma pura memorialistica o quasi tristemente anedottica personale.

Quasi un “evento” tra gli altri.

Noi non vogliamo che il quarantennale dell’assassinio di Claudio e Giannino assomigli neanche lontanamente a qualcosa di simile, vorremmo che queste date potessero essere un’ occasione per mettere in discussione la genericità del presente.

Vorremmo potessero far saltare l’abitudine indotta e introiettata ad un gioco di ruoli perché le cose cambino senza che cambi mai nulla nella sostanza dei rapporti di classe.

Negli anni tutti e tutte noi abbiamo sentito tante definizioni: attivisti, mediattivisti, solidali, antifa, antagonisti…….. ma, senza che nessuno si debba sentire offeso, ci sentiremmo fortemente a disagio anche solo al pensiero di calare Claudio e Giannino in uno di questi ruoli.

Caselle e ruoli, separati uno dall’altro, per non sembrare troppo lontani e ritagliarsi un piccolo spazio nella realtà e nelle diverse contraddizioni che muovono il conflitto che invece ha relegato, per cause oggettive e responsabilità soggettive,  il protagonismo vitale di generazioni di compagni e compagne ad una marginalità politica e molte volte ad una autoreferenzialità che si ripropone con più forza a ridosso di scadenze più o meno importanti senza comprendere che la strada della risposta a…. della protesta contro … del contro vertice di ….. sono strade a senso unico se non si ci si pone nell’ottica di costruirsi ideologicamente e concretamente una prospettiva complessiva di trasformazione rivoluzionaria dell’esistente.

Se non si prova a volare più in alto, se non riprende in mano l’utopia, l’immaginario, l’idea di una società possibile e necessaria che nasca dalle ceneri della barbarie della società odierna

Il parlare di Claudio e Giannino, del loro assassinio ci può servire invece a riproporre il valore del sacrificio delle loro vite per far emergere la testimonianza dell’incompatibilità della loro militanza nella prospettiva di una trasformazione in senso comunista della società e degli attuali rapporti di produzione.

Militanza politica come scelta di vita, come convinzione assoluta che ognuno di noi ha un impegno da cui non può recedere nemmeno nei momenti più difficili, come assunzione soggettiva di una responsabilità di comprensione scientifica delle contraddizioni di classe, come chiarezza ideologica di un muro per separare aspirazioni e interessi inconciliabili con gli interessi del dominio di una classe su un’altra, e con chi ancora in fondo in fondo pensa che il capitalismo abbia, ancor oggi, qualcosa di buono da offrire mentre al contrario rende sempre più precarie le nostre vite e annienta risorse le vitali del pianeta.

Militanza comunista come strumento per un’ incompatibilità esplicita e strutturale con un sistema economico, politico e sociale fondato sullo sfruttamento dell’uomo sull’ uomo e dell’uomo sulla natura. Una frattura netta e frontale oggettiva a partire dalla quale si possano soggettivamente metter in moto e collettivizzare intelligenze  in grado di sporcarsi le mani nel presente ma nella prefigurazione di una società assolutamente antagonista all’attuale .

Di questo tipo di ragionamento avremmo anche oggi certamente bisogno per fugare o provare a dare sostanza alla quotidiana diffusa superficialità dell’ approccio alle contraddizioni che materialmente il proletariato di fabbrica e diffuso oggi vive.

Una quadratura che ci permetta di comprendere ogni pezzo di realtà come tassello di uno scontro più globale contro il capitalismo.

Nell’ era della “sparizione” indotta dell’ ideologia novecentesca propugnata da milioni di proletari nel mondo, riprendere in mano e riaggiornare invece la cassetta degli attrezzi che la lotta di classe del secolo scorso ci ha fornito e dare struttura e gambe per camminare ad un  immaginario di trasformazione radicale delle nostre vite.

Claudio e Giannino sono stati assassinati per questo

Perché interpretavano l’antifascismo come elemento parziale benchè importantissimo  di uno scontro più complessivo contro il dominio di classe e perché comprendevano che la lotta di classe includeva anche addossarsi la responsabilità soggettiva di organizzarsi per resistere alla violenza di stato.

Claudio assassinato a colpi di pistola da un fascista sanbabilino e Giannino assassinato dalla carica dei camion dei carabinieri utilizzati per disperdere il corteo che voleva radere al suolo la sede del Msi in via Mancini individuata come luogo di organizzazione delle bande neofasciste.

Un giorno dopo l’altro il 16 e il 17 aprile del 1975 Claudio e Giannino furono assassinati, e dopo 30 anni da quel 25 aprile del 1945 ancora compagni, ancora partigiani della nuova resistenza dovevano morire per mano della borghesia assassina.

La violenza utilizzata dalla sinistra rivoluzionaria fu diretta contro ogni sede, ogni bar, ogni luogo di ritrovo degli assassini, contro la stampa di regime e contro le forze repressive dello stato che questi proteggevano.  Non bastarono blindati e camion pieni di truppa per fermarla. Ma non fu solo sacrosanta vendetta proletaria, fu una violenza di massa forte compatta e organizzata finalizzata al togliere concretamente ogni spazio di agibilità politica e organizzativa alle bande neofasciste per molto tempo.

Pensavamo di riuscire a sconfiggere il fascismo ? Assolutamente no: il fascismo è solo una forma del dominio di classe e fin quando non sarà abbattuto il sistema economico che ne è matrice ci saranno purtroppo sempre aggressioni violenze e morti.

Questo è ciò per cui Claudio e Giannino sono morti.

Claudio Varalli, un compagno molto giovane e  Giannino Zibecchi un compagno più formato e maturo che hanno provato a dare alla società italiana un’ indirizzo rivoluzionario.

Con dedizione, studio, organizzazione e capacità di lavorare su se stessi per trovare nella loro coscienza politica il coraggio di affrontare con lucidità e determinazione le situazioni difficili causate dallo scontro di classe degli anni della strategia della tensione, delle bombe, degli agguati e delle aggressioni fasciste e poliziesche.

Senza mitomania ma con la disponibilità ad essere conseguenti alla propria scelta di vita

Due compagni. Due militanti politici rivoluzionari che provavano a dare basi scientifiche allo sforzo della costruzione di un’idea di società comunista.

Per il futuro di ogni proletario e di ogni proletaria.

A chi interessasse segnaliamo un link ad un breve documentino sugli assassinii di quegli anni:

http://www.csavittoria.org/antifascismo/claudio-e-giannino.html