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Per non dimenticare il fascismo degli anni Settanta

Quando il mainstream vuole rinfacciare alla Meloni il fascismo il riferimento è sempre e solo il Ventennio dei fez e dell’orbace. Facile per i FdI respingere le accuse di volere una ripetizione di quel fascismo. La Rsi non viene mai menzionata e tanto meno il ruolo assassino dei fascisti negli anni Settanta, forse per non offendere i LaRussa, allora capo degli squadristi milanesi, i Rauti in Parlamento e i loro degni camerati. Anche le stragi vengono ascritte a non meglio identificati “Servizi deviati” quando ormai la storia ha fatto luce sulle responsabilità della Dc, dei fascisti e della Nato. L’omicidio di Alberto Brasili è uno dei tanti che il mainstream non vuole ricordare. Per quello che possiamo facciamolo noi.

di Fabrizio Salmoni

25 maggio 1975: i fascisti uccidono Alberto Brasili

Alberto Brasili e la sua fidanzata Lucia Corna furono aggrediti alle 22.30 di domenica 25 maggio 1975 in via Mascagni a Milano.

Cinque fascisti – Antonio Bega, Pietro Croce, Giorgio Nicolosi, Enrico Caruso e Giovanni Sciabicco – li avevano seguiti fin da piazza San Babila perchè erano vestiti da comunisti e avevano osato sfiorare un manifesto del Msi. L’agguato scattò di fronte alla sede provinciale dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia: “Li ho sentiti arrivare quando erano ormai alle nostre spalle – raccontò poi Lucia – e ho visto luccicare le lame dei coltelli. Uno dei cinque mi ha afferrata e ha cominciato a colpirmi mentre gli altri si accanivano su Alberto.”

Raggiunto da cinque fendenti a organi vitali, Brasili spirò poco dopo il suo arrivo all’ospedale Fatebenefratelli con il cuore spaccato da una coltellata. E Corna, colpita due volte all’emitorace sinistro, sfuggì alla morte solo perché la lama aveva mancato il suo cuore di pochi centimetri.

“Il delitto – scrisse il Manifesto due giorni dopo – è tanto più impressionante in quanto ha chiaramente i connotati dell’azione terroristica. Alberto Brasili non era un compagno conosciuto, era un lavoratore studente che frequentava le scuole serali, l’ultimo anno dell’istituto tecnico industriale Settembrini, e il giorno lavorava per per una ditta di antifurti elettrici, la Adt. Faceva questa vita dall’età di 14 anni perché in famiglia c’era bisogno di soldi.

Brasili, dichiararono preside, professori e studenti del Settembrini, era sicuramente di sinistra e impegnato nelle lotte per il diritto allo studio. Nel 1970 aveva partecipato all’occupazione della sua scuola per l’ introduzione del biennio sperimentale ed era anche stato identificato dalla polizia quando il Settembrini fu sgomberato. Non per questo, però, era più conosciuto di altri, e poi di giovani come lui in quegli anni a Milano ce n’erano decine di migliaia. E allora, perché ucciderlo ?

“Non è – rispose Stefano Bonilli su il Manifesto del 27 maggio 75 – come alcuni giornali hanno tentato di accreditare, un errore di persona, è un delitto fascista che si lega perfettamente al clima che la destra sta preparando in Milano in vista del comizio di giovedi, anniversario della strage di Brescia. Per quel giorno il Msi ha in programma di aprire la campagna elettorale con una manifestazione in piazza degli Affari, a pochi metri da piazza del Duomo. Milano però ha negato tutte le sue piazze ai fascisti per bocca del suo sindaco, il quale dopo l’assassinio di Claudio Varalli aveva preso solennemente questo impegno. Questa uccisione a freddo, apparentemente inspiegabile, – concluse il Manifesto – ha lo stesso impatto psicologico di un attentato dinamitardo”.

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