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Non è punibile chi coltiva una pianta di marijuana

La Cassazione ha riconosciuto la tenuità dei fatti, precisando purchè la condotta sia di lieve identità e non seriale

La causa di esclusione della punibilità per la tenuità dei fatti vale anche per la coltivazione di sostanze stupefacenti, purché la condotta sia di lieve entità e non seriale.

Lo ha riconosciuto nella narrativa della sentenza, la Corte di Cassazione Sezione IV Penale con la pronuncia n. 1766/ 2019 del 16.10.2018. Si tratta di un ricorso proposto sul tema del mancato riconoscimento dell’istituto della particolare tenuità del fatto, previsto dall’art. 131 bis cp, nell’ipotesi contestata della coltivazione di una pianta di marijuana, già formulata come fatto di lieve entità nell’art. 73 c. V DPR309/ 90. La Cassazione è giunta, nel corso della trattazione, a rigettare il ricorso in argomento, ma ha valutato e riconosciuto l’errore di diritto, in cui era incorsa la Corte d’Appello, che aveva in astratto rigettato la richiesta di applicazione dell’art. 131 bis cp per il solo fatto di una ritenuta «incompatibilità tipologica ed ontologica tra reato di coltivazione e particolare tenuità del fatto».

Nell’occasione ha invece osservato la Corte di Cassazione che «è possibile che le caratteristiche della specifica condotta oggetto di giudizio permettano di qualificarla come di particolare tenuità». A proposito della condotta della coltivazione, infatti, scrive che: «il concetto stesso di coltivazione richiama la messa in esecuzione di pratiche agronomiche, su piccola ( coltivazione domestica) o larga scala ( coltivazione in senso tecnico); e quindi una serie di atti che si compenetrano in unita sino a quando non concretino una pratica, ovvero una sequenza di atti coordinati verso il conseguimento del risultato, costituito dalla germinazione del seme e dalla crescita della pianta sino alla maturazione dei ‘ frutti’». Non solo, ha aggiunto: «Anche a voler convenire che il reato è consumato con la germogliazione, non v’è dubbio che esso può ulteriori atti di cura dell’essenza vegetale, che ripetono la condotta tipica».

A titolo di esempio, scrive la Cassazione, ricorre l’ipotesi dell’art. 131 bis cp quando si versi nel caso in cui la coltivazione si esaurisca nella germogliazione di un seme «e non si concreti in ripetuti comportamenti protratti nel tempo che pure danno luogo a coltivazione» : occorre che non si pervenga alla pluralità di condotte seriali- fermo restando che la condotta sia di quelle lievi dell’art 73 c V DPR 309/ 90. Del resto è la stessa Cassazione che ricorda di aver già in passato riconosciuto la compatibilità della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131- bis cod. pen. con il reato di coltivazione di piante idonee a produrre sostanze stupefacenti e psicotrope: però rammenta che in quelle occasioni aveva precisato che fosse necessaria una valutazione in concreto dei quantitativi ricavabili e in generale dei principi soggettivi ed oggettivi ricavabili dall’art. 133 cod. pen. – ciò ai fini del riconoscimento dell’art. 73 c V DPR 309/ 90 e che non doveva trattarsi di condotte relative «a reati necessariamente abituali ed a quelli eventualmente abituali realizzati reiterazione della condotta tipica».

È per questo che, nonostante l’errore di diritto, la sentenza impugnata non poteva essere annullata: infatti «la condotta di coltivazione si era protratta fino alla raccolta delle piante, e pertanto non vi era dubbio alcuno sulla pluralità degli atti di coltivazione realizzati».

Damiano Aliprandi

da il dubbio