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Novara: multata donna con il burqa

Torna la questione del burqa e della libertà delle donne islamiche. Si comincia a Novara, dove una donna col velo integrale è stata fermata, venerdì scorso, nei pressi di un ufficio postale.
La migrante rischia una multa di 500 euro in base ad una ordinanza del sindaco leghista Massimo Giordano, che dice: «Questa è la via dell’integrazione».
Lo scorso autunno Mara Carfagna prometteva di bandire burqa e niqab nei luoghi pubblici in quanto simboli della sopraffazione maschile: «Io non ho mai creduto a quelle donne che dichiarano di scegliere il burqa, perché una limitazione della libertà non può essere una scelta autenticamente libera». Ma la ministra si è astenuta dal presentare un disegno di legge governativo, scegliendo di affidarsi alla proposta della sua collaboratrice Souad Sbai, parlamentare Pdl di origine marocchina, da anni impegnata con l’associazione Acmid-donna nella difesa dei diritti delle musulmane in Italia.
Nella proposta di Sbai, attualmente in discussione alla commissione Affari costituzionali della Camera, viene apportato un semplice ma significativo cambiamento ad una legge del 1975, varata per contrastare il terrorismo, che esplicitamente vieta l’uso di caschi integrali o altri indumenti che possano impedire il riconoscimento di una persona in un luogo pubblico. A questa dicitura verrebbe aggiunto il divieto del niqab e del burqa che, spiega Sbai, nulla hanno a che vedere con le usanze religiose dell’Islam ma sono «un obbligo» imposto alle donne dagli «estremisti».
La duplice ottica della parlamentare marocchina è quella di liberare, per così dire, le donne e isolare i fondamentalisti islamici.
A questa legge si oppone, sempre per così dire, la proposta di Paola Binetti che sfuma il divieto assoluto e ritiene indispensabile lasciare la libertà di indossare capi di vestiario simbolo di appartenenza religiosa, purché «liberamenti scelti» e che lascino scoperto il viso.
E’ proprio questo il punto: chi deciderà se una donna ha liberalmente scelto di coprire il viso e il resto del corpo? Come sarà possibile distinguere una reale volontà di imbacuccarsi col burqa dalla imposizione culturale, o fisica, di un marito-padrone? In fondo il dibattito sul velo è tutto racchiuso in quella locuzione: «liberamente scelti».
Emanuela Moroli, presidente di Differenza Donna, commenta: «Il burqa non è certamente un abito comodo, per usare un eufemismo. Ma trovo insopportabile questo legiferare sui vestiti delle donne». Moroli, però, trova giusta la proposta francese in discussione proprio questi giorni, che vuole introdurre il reato di imposizione del burqa per punire quei mariti e quei padri, e insomma chiunque imponga alle donne della famiglia di uscire completamente avvolte dalla palandrana nera. Per loro si prevedono pene pesanti: un anno di carcere e 15mila euro di multa. Per le donne, invece, una multa di 150 euro.
E’ soltanto della settimana scorsa il primo divieto europeo al burqa, varato dal Parlamento belga, che prevede una multa di 25 euro e rischia di passare sette giorni dietro le sbarre.
Il dibattito in Francia è sicuramente condizionato dalla questione della laicità dello Stato che ha portato a vietare tutti i simboli religiosi dai luoghi pubblici, a cominciare dalle scuole. La battaglia contro il burqa è una battaglia personale di Sarkozy che rischia però di cozzare con la Costituzione che tutela la libertà di coscienza. Ecco perché i socialisti, pur contrari al burqa, stanno studiano una controproposta più leggera.
In Italia la discussione sul velo integrale doveva coincidere con quella sulla cittadinanza, rimandata a dopo le regionali ma in fase di stallo per la tempesta tra finiani e berlusconiani. L’idea della maggioranza è quella di negare il passaporto italiano alle famiglie che impongono il burqa alle donne. A sinistra, invece, risulta irritante il fatto che la destra punti il dito esclusivamente contro le comunità islamiche, come se fossero gli unici luoghi di violenza contro le donne. Significativo è il fatto che, per la prima volta, il ministero delle Pari opportunità sia parte civile nel processo contro il padre di Sanaa, la ragazza uccisa a Pordenone perché frequentava un ragazzo italiano.