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Una nuova perizia sulla morte di Aldo Bianzino. La famiglia: «Riaprire il caso»

Richiesta alla procura di Perugia. «Ucciso in carcere con percosse»: elementi decisivi analizzando i resti di fegato e cervello

Rudra Bianzino, il figlio di Aldo, l’ebanista che morì dieci anni fa in condizioni oscure nel carcere di Capanne a Perugia, è diventato adulto, e dopo aver preso in mano il caso della morte del padre, chiede ora alla procura umbra di riaprire le indagini.

Assistito dagli avvocati Corbelli e Zaganelli – il legale che seguì la vicenda sin dall’inizio – il figlio di Aldo Bianzino e di Roberta Radici, che mori dopo soli due anni forse anche per il dolore patito, ritiene che ci siano «elementi nuovi» maturati negli ultimi mesi tanto da fornire alla procura diversi spunti che potrebbero motivare la giustizia perugina a «disporre la riapertura delle indagini del procedimento penale per l’ipotesi di reato di cui all’art. 575 c.p. (omicidio ndr) compiuta da terzi, allo stato ignoti, in danno del Sig. Aldo Bianzino nell’Istituto penitenziario di Capanne tra il 13 ed il 14 ottobre 20017».

Così si legge nell’istanza presentata in tribunale alla fine di aprile e giovedi 17 maggio resa nota da Rudra alla stampa in un’aula del Senato con Valentina Calderone dell’associazione “A buon diritto”, i senatori Luigi Zanda (anche lui avvocato) e Luigi Manconi – icona delle battaglie sui diritti -, e due professionisti che Rudra e i suoi legali ritengono la chiave di volta che dovrebbe portare alla riapertura del caso: il medico legale Antonio Scalzo e l’anatomopatologo Luigi Gaetti (ex parlamentare).

Dopo aver richiesto nel gennaio dell’anno scorso al tribunale di Perugia l’autorizzazione a esaminare le sezioni di encefalo e fegato di Aldo Bianzino, fissate in formalina, i due medici sono arrivati a conclusioni clamorose che confermano le numerose zone d’ombra che già gravarono sul processo per omissione di soccorso (non per omicidio) che si concluse a Perugia con l’indicazione che Aldo non era morto per le botte ma per un aneurisma. In sostanza per cause naturali.

Adesso però legali e professionisti ritengono che vi sia un «…elemento nuovo non conosciuto al momento dell’archiviazione delle indagini» e «decisivo». L’analisi dei reperti biologici di Aldo dimostra infatti due cose. La prima riguarda proprio l’aneurisma che è infatti solo un’ipotesi mai dimostrata in tribunale: «…le argomentazioni poste a sostegno di tale affermazione sono quanto meno lacunose», è scritto nell’istanza, poiché «non c’è evidenza dell’aneurisma come elemento di certezza sul determinismo dell’emorragia». Insomma questo aneurisma – che sarebbe la causa del sanguinamento cerebrale – non si trova «e del resto manca buona parte del cervello, per esplicita e candida ammissione» degli stessi consulenti dell’accusa. In sostanza «a differenza di quanto affermato e non giustificato con metodo di evidenza scientifica» (dai periti), la genesi definita naturale dell’emorragia subaracnoidea «non è dimostrabile in assenza di un reperto anatomico di sacca aneurismatica».

Infine gli accertamenti hanno consentito di datare la lesione nella regione epatica: «La lesione al fegato e quella al cervello insorsero nello stesso arco temporale. L’oggettività del dato – scrivono Gaetti e Scalzo – supera tutte le argomentazioni (già inverosimili) dei Cctt (periti ndr) del pm…» e visto che le lesioni epatiche insorsero almeno due ore prima rispetto al momento del decesso non si possono ricondurre «alle manovre rianimatorie», come era stato sostenuto, facendo risalire la lesione al fegato a un maldestro massaggio cardiaco per salvare Aldo morente dopo la ferita cerebrale dovuta all’aneurisma.

La «sovrapponilità» dei due momenti (sanguinamento cerebrale e lesione epatica) mettono in dubbio tutto l’impianto del processo . E riconducono all’ipotesi che Aldo sia stato picchiato a morte. «Spero che il caso venga riaperto. Altrimenti – dice Rudra – chiederò la revisione dell’intero processo. E se quella via mi fosse rifiutata ricorrerò alla Corte europea dei diritti dell’uomo».

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Rudra Bianzino: «Mio padre ucciso in carcere, lo Stato ci ha remato contro»

«Alla richiesta di riaprire le indagini sulla morte di mio padre ho voluto associare una petizione appello alla Procura di Perugia, al ministero della Giustizia e a tutti i parlamentari italiani. E non solo perché mi sostengano in questa battaglia ma perché venga istituita una Commissione parlamentare che indaghi tutti i casi di violenza compiuti dalle forze dell’ordine: dai più noti a quelli di cui non si è mai detto nulla. Questa battaglia non è una questione personale ma un problema di tutti. E deve dare forza e sostegno alle famiglie delle vittime, alle associazioni che si battono per la verità e per rendere giustizia a chi viene colpito nel silenzio e nell’impunità».

Aveva 10 anni Rudra Bianzino quel 14 ottobre del 2007 quando suo padre, che di anni ne aveva 43, morì nel carcere di Capanne a Perugia dopo che la polizia gli aveva trovato in casa qualche pianta di marijuana. La vicenda fu un giallo sin dal suo esordio con un percorso di omissioni, inumazioni frettolose, contraddizioni patenti e una difesa a quadrato sia dell’istituzione carceraria sia della procura perugina.

Adesso Rudra di anni ne ha 24. Non ha perso l’aria da eterno ragazzino e nemmeno lo spirito allegro e positivo che aveva sin da piccolo, ma in questi dieci anni ha maturato una coscienza politica in senso lato che, dal caso di suo padre, lo ha portato a collaborare con chi si occupa dei lati oscuri del sistema giudiziario e penale.

Hanno influito le recenti rivelazioni in casi come quello di Cucchi o del G8 di Genova?

Mi hanno solo aiutato a capire che se non c’è una persona di famiglia che si muove – penso a Ilaria Cucchi o a Patrizia Moretti, la madre di Federico Aldrovandi – non succede nulla. E questo è scandaloso. Penso che uno Stato di diritto dovrebbe essere il primo a farsi carico di scoprire la verità se sono coinvolte le sue stesse istituzioni. Avviene il contrario, una cosa che mi ha sempre indignato. Questa consapevolezza mi ha spinto in questi dieci anni e continuerà a farmi lavorare in questa direzione.

Chi ti ha sostenuto?

Tante persone e soprattutto due associazioni: Acad (associazione contro gli abusi in divisa) e A buon diritto. Fanno un lavoro incredibile di sostegno alle famiglie. Dopo la morte di mia madre Roberta, solo due anni dopo papà, ero solo, spaesato, non sapevo da dove cominciare… averli vicino è stato fondamentale.

Chi ha remato contro?

Lo Stato ma anche tanti medici legali e anatomopatologi a cui ci eravamo rivolti per poter richiedere di fare nuove analisi sui reperti del corpo di papà. Guardavano gli incartamenti e poi…”Non posso, un caso così mi taglia la carriera…”. Anche mia madre denunciò pubblicamente che quel che all’inizio gli aveva detto un medico legale non era poi diventato materia per il processo. Timori, opportunismo, silenzio. Poi l’avvocato Cinzia Corbelli ha incontrato il medico legale Antonio Scalzo e io ho conosciuto il professor Luigi Gaetti. Non solo due riconosciuti professionisti e due persone con la schiena dritta.

Emanuele Giordana

da il manifesto

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Riaprire il caso sulla Morte di Aldo Bianzino. L’appello di Rudra Bianzino

“Dopo una lunga riflessione, credo di avere trovato la risposta a tutte quelle persone che chiedevano come aiutarmi.

Oggi ho lanciato una petizione su Avaaz.org dove chiediamo che venga riaperto il processo per omicidio per il caso di Aldo Bianzino, una vicenda che merita di essere raccontata, nella quale non devono più rimanere punti oscuri su cui nutrire dubbi, per le istituzioni, per questo paese che è, e DEVE rimanere democratico tutelando i diritti dei propri cittadini e per far si che non si debba più morire sotto la custodia di quelle istituzioni che dovrebbero tutelarci.

Inoltre firmando questa petizione chiediamo che venga aperta una commissione di inchiesta parlamentare sui casi di abusi o presunti abusi sotto la custodia delle istituzioni.

sembra giusto, se non imprescindibile, allargare la mia battaglia a sostegno di tutte quelle persone che stanno lottando per avere verità e giustizia, in particolar modo quando sono le stesse istituzioni ad essere chiamate in causa.

Un primo passo in tal senso era già stato fatto dall’On. Alessandro Bratti nel 2014, depositando un DDL presso la Camera dei Deputati, nel quale era previsto la formazione di una commissione di inchiesta proprio su questi temi.

Oggi chiediamo che venga preso seriamente in considerazione dalla classe politica la proposta già presentata all’epoca, per far luce su una moltitudine di casi rimasti irrisolti.

Raggiunto un certo numero di firme, manderemo una lettera a tutti i parlamentari italiani chiedendo di agire in tal senso!

Non possiamo più permetterci di riempire la storia della Repubblica italiana con questi nomi:

Aldo Scarcella, Mario Scrocca, Stefano Consiglio, Carlo Giuliani, Carmine Spina, Federico Aldrovandi, Riccardo Rasman, Riccardo Boccaletto, Gabriele Sandri, Vito Daniele, Giuseppe Uva, Niki Aprile Gatti, Stefano Brunetti, Carmelo Castro, Stefano Frapporti, Franco Mastrogiovanni, Stefano Cucchi, Simone La Penna, Aziz Amiri, Maria Rosanna Carrus, Daniele Franceschi, Roberto Collina, Carlo Saturno, Abderrahman Sahli, Michele Ferrulli, Bernardino Budroni, Massimo Casalnuovo, Ilario Aurilia, Cristian De Cupis, Marcelo Valentino Gomez Cortes, Ettore Stocchino,  Bohli Kayes, Francesco Smeragliuolo, Riccardo Magherini, Vincenzo Sapia, Davide Bifolco, Massimiliano Malzone, Mauro Guerra, Andrea Soldi, Ciro Lo Muscio, Sekine Traore e tanti altri….

Spero di fare la cosa giusta, ora chiedo veramente il vostro aiuto.

GRAZIE A TUTTI

http://www.avaaz.org/bianzino

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