Con i recenti accordi intercorsi tra governi turco e iracheno, le truppe di Ankara potrebbero presto entrare anche a Baghdad.
di Gianni Sartori
Presentandoli come un passo avanti per la sicurezza (“avanzamento significativo nei rapporti bilaterali”) e contro il terrorismo (un riferimento neanche tanto velato al PKK), i ministri degli Esteri dei due paesi non parlavano certo a vanvera.
Infatti ora gli accordi cominciano a dare i loro frutti.
Le nuove relazioni tra Ankara e Bagdad (il “progetto del percorso di sviluppo” basato sul “Memorandum di accordo”) non sono rimaste a livello di semplici dichiarazioni o di intenti. Si vanno sviluppando soprattutto in ambito militare pianificando l’apertura di vari fronti. In particolare contro il movimento curdo, aprendo la strada all’invio di soldati turchi, già presenti e operativi nel nord dell’Iraq (Kurdistan del Sud, Bashur) anche a Baghdad. Legittimando non solo il dispiegamento di truppe turche in Iraq, ma anche ulteriori evacuazioni forzate delle popolazioni nei villaggi del nord del paese. Per qualche osservatore particolarmente critico si starebbe “legittimando una vera e propria politica di annessione territoriale”.
A rendere di pubblico dominio tali accordi, il ministro degli esteri iracheno, l’esponente del PDK Fuad Hussein. Con cui il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, aveva recentemente emesso un comunicato congiunto esprimendo “profonda preoccupazione per l’aumento della tensione in Medio Oriente, che minaccia l’intera regione”.
Ma si riferivano alla Palestina. Pare proprio che l’aggressiva politica anti-curda di Erdogan, l’escalation degli attacchi (centinaia, sia aerei che di terra) al di fuori dei confini turchi non preoccupi più di tanto i nostri politici.
Già in atto la realizzazione di un Centro congiunto di coordinamento della sicurezza a Bagdad e di un Centro congiunto di addestramento e cooperazione a Bashiqa. Nel nord, dove i turchi erano già insediati, ma ora formalmente affidata a Baghdad (“l’onere ricadrà sulle forze armate irachene”) forse per non esporsi a ulteriori attacchi sciiti.
Appare evidente che è stata avviata una nuova fase di iniziative congiunte – a livello sia diplomatico che militare – sulla questione curda. Con un preciso cambio di prospettiva da parte del governo iracheno che in precedenza aveva definito le operazioni militari turche in territorio iracheno “violazione territoriale e della propria sovranità”. Del resto già in marzo aveva classificato come “organizzazione vietata” il PKK. Andando incontro, ma non completamente, alle richieste di Erdogan che avrebbe voluto venisse definita “terrorista” tout court.
In base poi ad un altro articolo (il 5°) dell’accordo si è stabilito che “le due parti condividano informazioni di intelligence”. Nel complesso si ha l’impressione che si voglia far rientrare (direi forzatamente) nell’ambito del Diritto internazionale sia il trasferimento di soldati turchi (con la realizzazioni di basi militari nel Kurdistan del Sud, all’interno dei confini iracheni), sia l’evacuazione forzata (deportazione?) delle popolazioni (per non parlare delle devastazioni ambientali, dell’uso di armi interdette dalla Convenzione di Ginevra…).
Il ministro degli esteri turco, Hakan Fidan, aveva così commentato: “Attraverso i centri di coordinamento e addestramento congiunti previsti dall’accordo, crediamo di poter portare la nostra cooperazione a un livello superiore. Vogliamo far progredire l’intesa che stiamo sviluppando con l’Iraq sull’antiterrorismo con passi concreti sul campo”.
Alle riunioni delle “operazioni congiunte” avrebbero preso parte, oltre ai rispettivi ministri degli esteri (Hakan Fidan e Fuad Hüseyin), anche funzionari di alto livello dei servizi segreti turchi (il sottosegretario del MIT, Ibrahim Kalın), il ministro degli esteri della regione “autonoma” del Kurdistan (Rêber Ehmed), il ministro iracheno della Difesa (Sabit Abbasi) e alcuni esponenti dei Servizi iracheni (Waqqas Muhammed Hüseyin al-Hadith).
Non si esclude che in futuro Erdogan intenda applicare lo stesso modello (qualora risultasse vincente) anche nel Nord della Siria.
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