Omicidio Aldrovandi: requisitoria vicina, Intanto è scontro fra medici
- marzo 17, 2009
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«Si vede quel che si sa»: la foto del cuore spezzato di Federico è stata di nuovo al centro del processo per la sua morte avvenuta durante un violentissimo e sempre meno misterioso controllo di polizia all’alba del 25 settembre 2005. Ieri, ventiseiesima udienza, lo scontro finale tra i medici consulenti delle parti. Un cardiologo bolognese è tornato a dire della sua ipotesi di «morte improvvisa da aritmie ipercinetiche nel corso di un excite delirium». La versione dei poliziotti, insomma, per cui la roba avrebbe sconvolto il diciottenne che tornava a casa dopo una notte con gli amici. Il debito d’ossigeno, proprio di chi avrebbe assunto sostanze, avrebbe staccato l’elettricità al cuore di Federico. «Una fotocopia di una ottantina di casi esaminati nella letteratura scientifica», ha insistito il professor Rapezzi richiamando il «contesto di eccitazione personale amplificato dalle droghe» ma anche lui ha dovuto ammettere «la contenzione delle forze dell’ordine». Ma c’è un ematoma, anzi due e uno si trova nella parte più vitale del cuore, in quella foto tenuta per anni lontano dal fascicolo processuale. Le difese dicono che sarebbe un deposito di emoglobina post-mortem. Le parti civili, per bocca dell’anatomopatologo Thiene, fanno notare che la macchia blu, quella dei globuli rossi senza più ossigeno, va in profondità e sta sopra le valvole, non sotto: «Non può che essere ematoma». E un ematoma si produce con una pressione. «Un ematoma può non essere traumatico», azzarda un medico legale ferrarese. Thiene sfodera la sua lunghissima esperienza di cinquecento consulenze per morti improvvise di giovani: quell’ematoma sarebbe frutto di ripetute pressioni. E manca la prova di una «tempesta catecoleminica», ossia della tempesta di adrenalina che potrebbe aver mandato in aritmia il cuore di un giovane forsennato contenuto a forza, secondo il quadro fornito dalle difese e dai quattro imputati, equipaggi delle due volanti che accorsero in via Ippodromo una dopo l’altra. L’unica evidenza, però, è quella di Federico che si sentiva soffocare e chiedeva aiuto a chi l’aveva ammanettato faccia a terra e dopo avergli spezzato due manganelli addosso. Rapezzi prova seguire la pista dell’excite delirium syndrome per cui Federico sarebbe potuto morire anche se nessuno gli avesse messo un dito addosso. Il cuore di Federico, ematomi a parte, sarebbe troppo «puro» per giustificare i danni di una esagerata pressione. Ma poi spiega che l’ipotesi formulata non gli deriva dalle evidenze istologiche ma da un mix dentro cui c’è anche il contesto come gli è stato raccontato. E a parlare sono solo i quattro usciti vivi da quell’alba. E i testimoni. Una delle quali ha detto di Federico che andò giù quasi all’istante, tirato per i capelli, oggetto di calci e manganellate mentre era a terra. Tutt’altro della descrizione del giovane toro ringhiante che doveva essere fermato, come dissero gli imputati l’unica volta in cui hanno parlato, l’11 aprile dello scorso anno. «Si vede quel che si sa», dice Thiene ai suoi interlocutori medici. Ma vale per tutti.Ma poi esiste questa excite delirium syndrome o è un’invenzione degli americani per giustificare centinaia di morti per contenzione nelle caserme e nelle strutture psichiatriche? E’ quello che si domanda Thiene: «La più importante associazione medica statunitense – spiega al tribunale – nega che esista una causa di morte con quel nome». E nella letteratura scientifica citata dalle difese ci sono quasi solo morti per costrizione e c’è scontro anche sulla valutazione degli effetti della chetamina: la difesa ne enfatizza il ruolo ma l’autopsia ne ha rilevato solo lievi tracce e i consulenti della parte civile hanno negato che possa aver dato luogo a comportamenti aggressivi, tantomeno che possa portare all’arresto cardiaco spontaneo. Della necessità di educare i poliziotti a trattare con un disturbo non criminale parla anche l’editoriale di una prestigiosa rivista Usa, Perspectives of psichiatric care del luglio-settembre 2003. Alla necessità di tecniche operative adeguate «a non rendere difficoltosa la respirazione di un soggetto in posizione prona, di non applicargli un eccessivo carico sul dorso magari quando egli è già in debito d’ossigeno» fa riferimento anche una nota riservata di un’istruttore di polizia al suo superiore affermando l’esistenza dell’asfissia posturale di cui i consulenti delle difese sembrano negare l’esistenza ma di cui il Viminale si preoccupa di avvisare i propri allievi. Carte che arrivano dal processo Rasman di Trieste, un caso con molte somiglianze con quello di Aldro. E’ su questo che si giocherà l’ultima battaglia prima della requisitoria del pm. Ieri, il giudice non l’ha ammessa ma ha disposto la citazione dei redattori della nota.
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