Ci sono altri carabinieri indagati per il depistaggio sulla morte di Stefano Cucchi. Uomini appartenenti all’Arma che potrebbero aver contribuito alla falsificazione e alla scomparsa degli atti relativi a tutte le fasi dell’arresto del giovane geometra romano, arrestato per spaccio la sera del 15 ottobre 2009 e morto una settimana dopo all’ospedale Pertini. O che comunque sapevano del pestaggio a cui è stato sottoposto ed hanno taciuto.
Tra loro, indagati per falso ideologico, oltre a Francesco Di Sano, il carabiniere della stazione di Tor Sapienza, che aveva già ammesso davanti alla Corte d’Assise (nell’udienza del 17 aprile scorso) di aver dovuto ritoccare i verbali per «ordine gerarchico» nascondendo le reali condizioni in cui versava Cucchi, c’è anche il suo comandante, il luogotenente Massimiliano Colombo, allora a capo della stazione di Tor Sapienza dove Stefano trascorse la notte dopo essere stato picchiato nella caserma Casilina. Gli inquirenti, che interrogheranno Colombo la prossima settimana, hanno già perquisito nei giorni scorsi la sua abitazione e gli uffici, alla ricerca di eventuali comunicazioni con i suoi superiori di allora. La procura di Roma, infatti, vuole capire fino a quale livello i vertici dell’Arma fossero a conoscenza del pestaggio subito da Stefano.
I nuovi indagati – e quelli che eventualmente verranno – sono iscritti nel filone di inchiesta integrativa che il pm Giovanni Musarò ha aperto in seguito alla denuncia presentata il 20 giugno scorso da Francesco Tedesco, uno dei cinque carabinieri imputati nel processo bis che dopo nove anni ha deciso di raccontare il pestaggio a cui i suoi due colleghi, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, hanno sottoposto Cucchi dopo averlo arrestato (anche se non erano in servizio). Tedesco ha anche denunciato la scomparsa di due sue annotazioni di servizio, redatte non appena appresa la notizia della morte di Cucchi, nelle quali – a suo dire – raccontava la verità, fino ad allora taciuta, su quanto accaduto quella sera. Ecco perché la nuova inchiesta integrativa al processo bis sarebbe composta da due fascicoli: uno per falso ideologico e l’altro per soppressione di documento pubblico.
Il 26 settembre scorso, durante il suo secondo interrogatorio davanti ai pm, a Piazzale Clodio, il vice brigadiere Tedesco riconosce nel «fascicolo delle annotazioni di servizio» che i magistrati gli mostrano quello nel quale inserì i suoi verbali, «anche se – puntualizza – io ricordavo che la copertina era rossa e non grigia, e che le tabelle erano scritte a mano e non con il computer». Ma nella cartellina, come hanno appurato gli stessi inquirenti, i documenti relativi a Stefano Cucchi non ci sono più, e al loro posto compare un foglio bianco con su scritto «occupato», che nel linguaggio burocratico dell’Arma vuol dire «utilizzato temporaneamente per fini di servizio». Tedesco si accorse che erano spariti già qualche giorno dopo, e lì «cominciai ad avere paura». Non sono mai riapparsi.
Ma non è l’unico documento, presumibilmente scomparso o sostituito, che avrebbe potuto comprovare le pessime condizioni di salute di Stefano dopo il pestaggio – o forse i pestaggi – subiti quella notte. Il sospetto degli inquirenti è che siano stati ritoccati anche il verbale di arresto, quello di perquisizione e il registro di fotosegnalamento (nella caserma Casilina), oltre alle due annotazioni di servizio della caserma di Tor Sapienza (secondo Tedesco, fu il maresciallo Mandolini, comandante della caserma Appia oggi imputato per falso e calunnia, a chiederlo esplicitamente con una telefonata). Ma, soprattutto, evidentemente potrebbero essere stati camuffati tutti i protocolli informatici interni dell’Arma, che infatti non riportano notizia delle annotazioni di servizio depositate da Tedesco il 22 ottobre 2009.
Il carabiniere che per la prima volta ha rotto il muro di omertà che da sempre protegge le “mele marce” delle forze dell’ordine, ha raccontato anche di essere sottoposto a un «procedimento di Stato», che è «più grave del procedimento disciplinare e fra le sanzioni prevede anche la destituzione». E di averne ricevuto notizia nello stesso giorno in cui si è presentato a Piazzale Clodio per essere interrogato dai pm. Il suo avvocato, Eugenio Pini, ha chiesto all’Arma di «sospendere il procedimento in attesa che la Corte d’Assisi si pronunci». «Ora non mi interessa nulla se sarò condannato o destituito dall’Arma – ha però affermato lo stesso Tedesco – Ho fatto il mio dovere, quello che volevo fare fin dall’inizio e che mi è stato impedito. Sono rinato».
E a rinascere ora dovrebbe essere l’intero corpo dei carabinieri. Occorre però che lo Stato, e soprattutto chi ha sempre negato l’uso della tortura nelle nostre caserme e carceri, chieda scusa. «Il giorno in cui il Ministro dell’Interno chiederà scusa a me, alla mia famiglia e a Stefano – ha precisato ieri Ilaria Cucchi rispondendo all’inveto di Matteo Salvini – allora potrò pensare di andarci, prima di allora non credo proprio».
Eleonora Martini
da il manifesto