La logica dello stadio. E una strada che piomba nella paura con cassonetti incendiati a ogni traversa e sanpietrini che volano, senza grossi danni – così pare – se non sulla dignità di un quartiere che era sceso in piazza indignato dalla morte di uno di loro. Stefano Cucchi. La logica dello stadio è quella che fa ostentare alla questura una ventina di blindati della celere e li fa sfilare a pochi centimetri dai manifestanti e quella che fa ignorare l’appello di Ilaria Cucchi a qualche decina di persone che prende in ostaggio il corteo per l’indegna messinscena finale. E dire che dopo il volo di qualche bottiglia alla partenza della manifestazione il clima s’era rasserenato e tremila cittadini erano riusciti a comunicare con un quartiere poco avvezzo ai cortei ma consapevole di quello che era capitato a Stefano Cucchi, ucciso a 31 anni da un pestaggio e dall’incuria destinata ai detenuti. Su questo, almeno, indaga un pm dopo la denuncia dei familiari a cui è stato negato il diritto di sapere qualcosa sulla salute del figlio desaparecido nel reparto penitenziario del Pertini. Lui, come risulta dal diario infermieristico, rifiutava di mangiare finché non fosse riuscito a parlare con un legale di fiducia, con suo cognato o con l’assistente di una comunità terapeutica di cui si fidava. «Mio fratello non era un eroe – dice Ilaria che accoglie il corteo sotto la casa di famiglia, in via Ciro da Urbino – era una vttima» Lo striscione d’apertura recita: «Non si può morire così, basta vite spezzate». Il primo stop dopo cento metri dalla partenza. Applausi all’ignoto che scrive sulla saracinesca della sede di An: «Siete responsabili di questa morte». E’ quello il partito che ha scritto le leggi proibizioniste e razziste, che arma le forze dell’ordine e ne avalla le nefandezze, salvo poi varare finanziarie da fame anche per i tutori dell’ordine. Addossato al muro del bar di fronte un passante ammette che il graffitaro anonimo «stavolta ha proprio ragione». Sui muri fioriscono manifesti: «Il proibizionismo è il serial killer. Aldrovandi, Bianzino, Cucchi: consumatori uccisi dallo Stato». I cori sono tutti «Pe’ Stefanino», «Uno di noi». «Poteva capitare a chiunque di essere fermato per due canne». Dal microfono si invitano tutti a scendere, a unirsi a questo corteo senza bandiere, cucito con pazienza da alcuni comitati di quartiere, dai centri sociali, dall’osservatorio sul razzismo, dalla rete contro l’antiautoritarismo, dalle associazioni di migranti. Per Nunzio D’Erme, ex consigliere comunale, di Action il fiume di gente «è una risposta all’arroganza». E in tanti si raccontano. E le loro storie somigliano a quella di Stefano. Perquisizioni violente, fermi arbitrari, abusi. Come quello che hanno denunciato due ragazzi bengalesi alcuni mesi fa dopo essere stati costretti a pulire la caserma locale dei carabinieri. Sul portone dove vivono i Cucchi, i vicini di casa hanno piazzato un lenzuolo con foto e parole affettuose per un ragazzino che avevano visto crescere e che non doveva essere ridotto così, con la faccia gonfia e la schiena spezzata nelle 20 ore tra il fermo e l’arrivo in carcere. In mezzo una surreale udienza di convalida in cui giudice e legale di ufficio non si accorsero degli occhi neri dalle botte. I domiciliari negati con l’assurda motivazione che Stefano – cui era stata perquisita la casa la notte – sarebbe stato un senza fissa dimora. Ilaria ringrazia tutti, a nome della famiglia, circondata dai vicini di casa e raccomanda di evitare gesti sconsiderati perche «danneggerebbero la nostra battaglia per verità e giustizia». Per le poche decine di teppisti, invece, sarà più importante mimare cento metri di guerriglia urbana a uso e consumo di quella stampa felice di titolare sui momenti di tensione piuttosto che sulle evidenze delle violenze sul corpo di Stefano. Una vittima, certo, ma che ha affrontato con fermezza il suo destino. «Nessun tentativo di svilire un corteo partecipato e voluto dalla città di Stefano – dice in fondo Massimiliano Ortu, del Prc al Municipio Roma XVI – può cancellare il significato profondo per cui è stato indetto. La verità per la morte di Stefano deve venir fuori, i responsabili devono pagare. Abbiamo aderito, venendo da quartieri lontani, come tanti altri. Domani si parli della morte di Stefano e ci si interroghi su chi ne ha le responsabilità, non di problemi di ordine pubblico».
fonte: Liberazione
Share this: