Menu

Omicidio Cucchi: prima udienza. Chiesta nuova perizia

Con la richiesta di una nuova perizia s’è aperto il processo sull’omicidio di Stefano Cucchi. Trentuno anni, arrestato per pochi grammi di fumo, il geometra romano è stato ucciso il 22 ottobre dello scorso anno, dopo sei giorni drammatici iniziati in una caserma dei carabinieri e terminati nel repartino penitenziario del Pertini di Roma. Tredici gli indagati, tra sanitari e guardie, nessuno è dei carabinieri. Le foto del suo cadavere – grazie al coraggio dei suoi familiari – hanno bucato ogni schermo ma la consulenza dei periti del pm non dà conto di quell’orrore. «Ossia non individua la causa della morte», dice Fabio Anselmo, il legale di questa famiglia e di quelle di Federico Aldrovandi, Riccardo Rasman e Giuseppe Uva. I suoi periti hanno visto tutt’altro film. Che comincia «dal trauma che hanno subito la colonna vertebrale e il coccige». Quelle lesioni sono compatibili con un «meccanismo contundente». E non si può interrompere in nessun modo il nesso causale tra quei traumi e la morte.
Tutto questo perché il reato di lesioni colpose, ipotizzato per una parte degli indagati, quelli con la divisa della polizia penitenziaria, sia insufficiente e che si debba contestare loro l’omicidio preterintenzionale. Anselmo ha dunque chiesto, in apertura di udienza preliminare, che il nuovo accertamento sia svolto in sede di incidente probatorio.
Ilaria, la sorella di Stefano, non crede che sia credibile la perizia Arbarello (direttore dell’Istituto di medicina legale) che alleggerirebbe i secondini aggravando il peso sui medici. «La giustizia mi deve spiegare come possono due fratture gravi alla schiena essere considerate lesioni lievi. E anche per quale motivo mio fratello Stefano, che quando è stato arrestato stava benissimo, si sarebbe ammalato all’ospedale Sandro Pertini fino a morire. Dalle lastre è ben visibile un frammento osseo che si distacca dalla vertebra L3 e penetra nel midollo».
Ma la procura di Roma ha detto no a una nuova perizia, così come i legali delle guardie carcerarie mentre invece erano favorevoli gli avvocati dell’altro gruppo di indagati, quelli col camice bianco. Perché non c’è dubbio che la morte di Stefano sia dovuta a un cocktail micidiale di malocarcere, malasanità e malapolizia. La domanda è la seguente: quando è stata spezzata la spina dorsale di un ragazzo sostanzialmente sano che, la sera dell’arresto, era appena uscito dalla palestra dove tirava di boxe? Suo padre Giovanni ha sempre raccontato di averlo visto gonfio di botte in quell’ultimo incontro la mattina successiva a piazzale Clodio. Ma l’avvocato d’ufficio (ancora nessuno ha spiegato perché gli fu negato il legale di fiducia regolarmente nominato) e la giudice che ne convalidò l’arresto non si accorsero né di quei segni né delle carte taroccate in cui risultava albanese, più anziano di alcuni anni e senza fissa dimora. Il giudice dell’udienza preliminare deciderà il 19 ottobre a proposito di questa perizia che dovrà chiarire se davvero Cucchi era semiparalizzato in quella cella dell’ospedale in cui, in quasi completo isolamento, sarebbe morto senza sapere che ogni mattina i suoi bussavano al cancello del bunker chidendo invano sue notizie.
Solo uno dei sindacati di polizia penitenziaria, l’Osapp, pare convinto che la verità stia affiorando: se in un primo momento «il risentimento, l’odio, la pena per le immagini del geometra morto facevano ricondurre tutte le responsabilità ai poliziotti penitenziari». Quasi un anno dopo l’Osapp parla di un “agguato di sistema”, «in cui vittima sembra essere non solo il povero Stefano ma anche lo stesso “carnefice” che lo prese in carico a Piazzale Clodio quel triste giorno». Per ora, però, sembra fuori dalla faccenda, una delle dichiarazioni del Dap, in fase di indagini, sulle «altre amministrazioni» coinvolte.
L’udienza preliminare continuerà il 26 ottobre poi ancora il 9 e il 30 novembre nela cittadella giudiziaria dove per mesi, di fronte all’aula del riesame è stato un cartello, solo il nome di Cucchi listato a lutto, messo lì una aderente all’associazione nazionale forense ma dava fastidio alle «mani ignote» che proprio ieri notte l’hanno fatto sparire. Dopo Cucchi gli episodi «strani» e i «suicidi» nelle carceri romane non si sono fermati. Andrea Alzetta di Action torna a chiedere al sindaco Alemanno (uno dei tanti a farsi bello in questi mesi accanto ai Cucchi) che fine abbia fatto l’impegno a istituire un garante dei detenuti.